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REVIEWSLE RECENSIONI
02/05/2025
Silverstein
Antibloom
Antibloom è la messa a fuoco nitida del suono più distintivo dei Silverstein, per quello che è solo il primo di un doppio album che vedrà il suo compimento in autunno. Già da solo, però, realizza con mestiere e gusto il suo compito: celebrare il primo quarto di secolo della band canadese.

Al netto delle immagini di fioritura primaverile che il titolo può richiamare, o del suo opposto, visto il prefisso anti-, il titolo del nuovo album dei Silverstein, Antibloom, si rifà piuttosto il processo di controllo del blooming: la dispersione di carica fotografica da un pixel sovraesposto ad altri pixel vicini, ovvero quando la carica in un pixel supera il livello di saturazione e la carica inizia a riempire i pixel adiacenti. Per eliminare le cariche in eccesso prima che possano traboccare dal pixel, viene utilizzata la struttura dell’anti-blooming, che le scarica altrove permettendo un’immagine più nitida, ad esempio, in tutte quelle che sono le immagini nei nostri moderni sistemi di telecomunicazione o nella fotografia in campo astronomico.

A livello metaforico, è un po’ lo stesso processo che i Silverstein hanno effettuato con il loro nuovo album, il primo di un doppio, Antibloom / Pink Moon, la cui seconda parte (Pink Moon) verrà pubblicata in autunno: la messa a fuoco nitida di quello che è il loro suono più distintivo, che ha permesso alla band di distillare (invece che pixel dopo pixel) canzone dopo canzone, nota dopo nota, quello che è (ed è stato) il sound più caratteristico dei Silverstein nei loro primi 25 anni. Una sintesi di un quarto di secolo insieme che non si limita alla pubblicazione di un best of o di un album live, ma ad un lavoro creativo ex novo che potesse riassumere lo stile musicale della band attingendo alle influenze di tutta la loro discografia.

 

I cinque canadesi hanno definito Antibloom / Pink Moon:la raccolta assoluta del nostro stile musicale e delle idee di cui siamo stati pionieri in questi anni” e la definizione, lungi dall’essere autocelebrativa, sintetizza nei fatti quel suono al confine tra post-hardcore, emocore e pop punk che ha fatto la loro fortuna fin dagli esordi, permettendogli di declinarlo nelle sue versioni più melodiche ed emotive, come in quelle più heavy e disperate e, soprattutto, di renderlo ogni volta incontrovertibilmente “Silverstein”, qualunque coniugazione di forme e suoni decidessero di assumere.

Una capacità di coerenza e variazione che ha avuto modo di sperimentarsi in album che si sono succeduti con una cadenza pressoché metronomica ogni due, massimo tre anni e che hanno plasmato il suono e il riferimento di un’intera generazione. Il tutto praticamente senza cambi di formazione (se si esclude uno sporadico cambio di chitarrista). Anche per questo, la volontà di celebrare il traguardo raggiunto è più che legittima.

 

A introdurre il lavoro, registrato interamente a Joshua Tree, nel bel mezzo del deserto, una cover di grande impatto (anche) mistico, dove da un deserto sta iniziando a sorgere un tramonto, che si irradia colorando una grande nuvola in cielo. Al centro troviamo due mani con una fede in ogni anulare: per gli antichi romani era il dito dei sentimenti poiché da lì passa una piccola arteria, chiamata “vena amoris”, che conduce direttamente al cuore. Le due mani, a loro volta, reggono un cerchio con stilizzato all’interno un Erzgamma, una stella a dodici punte.

Questo poligono stellato, nelle sue diverse conformazioni e fogge, è riconosciuto sia come amuleto magico sia come simbolo cristiano di fede e armonia, ma anche come simbolo indù, che vede identificare la stella Erzgamma con il cuore di una persona, in cui l'energia dell'universo è concentrata; la fonte della vita responsabile dell'amore per tutto ciò che esiste. L'ebraismo vede nell'amuleto la doppia stella di David, ma il segno era usato anche dai Celti, dai Semiti e dagli antichi popoli del nord della Russia. Alcune teorie associano l'intersezione dei raggi con la lotta interna delle passioni in una persona e attribuiscono il loro significato a ciascun raggio (anima, saggezza, conoscenza, esperienza, peccati, errori, tempo, corpo, vita, dolore, pentimento, fede). Se dorato, è un talismano che assume lo scopo di aumentare l’energia e aiutare le persone che stanno vivendo la depressione.

Al suo interno, però, è un simbolo stilizzato che richiama in parte anche il sole nero della runologia esoterica, talvolta denominato anche ruota solare, significato altrettanto calzante visto il riferimento al binomio sole-luna sia nella stessa cover sia nei titoli degli album (la gestione della sovraesposizione si ha in presenza di una fonte di luce, come quella di una stella – e quindi anche del sole – e il secondo album si chiamerà Pink Moon, la luna rosa). Una delle caratteristiche del sole nero (escludendo l’utilizzo che ne è stato fatto nel misticismo nazista) è, a livello alchemico, la presenza, oltre che dei raggi esterni, di un “sole interiore” come quello disegnato all’interno dell’Erzgamma: un fuoco interiore che alimenta la combustione fino al compimento del nigredo, la prima fase del processo alchemico: un periodo di caos, decomposizione e rottura delle vecchie strutture, sofferenza, disperazione, morte dell’ego, ma anche punto di partenza per la trasmutazione e la rinascita. È solo attraversando questa profonda introspezione purificatrice che si giunge all’illuminazione spirituale, all’oro alchemico; un sole nero come viaggio spirituale, in cui il cercatore deve attraversare l’oscurità prima di raggiungere la luce. Da questo nucleo, che richiama la natura ciclica dell’esistenza, si irradia quella che alcuni mistici moderni definiscono un’energia cosmica nascosta, che si sintonizza verso l’esterno, a eterno promemoria dell’interconnessione di tutte le cose, materiali, spirituali e universali.

Se l’esperienza nel deserto e la ricerca del contatto con la propria musica più rappresentativa ha fatto sentire la band “come se stessimo iniziando con una tela completamente bianca, senza distrazioni esterne” dove potevano “ritrovarsi a rivolgere la loro attenzione verso l'interno”, un luogo da cui hanno sempre sviscerato le emozioni più profonde, emotive, introspettive e di riscatto, quale simbolo migliore dell’Erzgamma e del sole nero alchemico per simboleggiare questo processo di illuminazione personale attraverso la sofferenza per giungere ad un’armoniosa sintesi celebrativa del passato, del presente e del futuro?

 

Ad accompagnare i Silverstein nel loro processo di registrazione e ricerca di nitidezza e sintesi al Fireside Sound di Joshua Tree troviamo Sam Guaiana (Neck Deep, Holding Absence, Bayside) che ha prodotto e mixato sia Antibloom sia Pink Moon. La band è arrivata con 25 demo e ha scelto i suoi 16 preferiti. È poi merito (o colpa) del batterista Paul Koehler la suggestione di dividere la musica in due album e di trasformare il 2025 in una festa lunga un anno. L’obiettivo è da un lato di rendere le celebrazioni più lunghe, dall’altro di dare agli ascoltatori più tempo e spazio per assorbire e connettersi con le canzoni, che abbracciano in egual misura il passato storico della band e le sue inclinazioni postmoderne, dando vita a esperienze diverse.

Antibloom vede quindi 8 brani per soli 25 minuti di musica, ma dopo l’ascolto si può con certezza definire un album e non un EP poiché, al netto del tempo ridotto, si dota di tutte le tracce necessarie per esprimere la sua sintesi di riff e melodia, emotività e rabbia, disperazione e volontà di reagire, andando ogni volta direttamente al punto, senza la presenza di tracce-riempitivo, esprimendo tutto ciò che in effetti i Silverstein hanno avuto modo di rendere manifesto nel corso dei loro 25 anni di carriera. Concisi ed equilibrati nel proporre qualcosa che sfiora solo la nostalgia, per lasciare invece spazio alla freschezza di quello che è un suono in pace con la sua storia; quella di una band che rispetta tutte le sfumature del suo passato usandole per rendere vivo e vibrante il suo presente, affinché possa diventare un futuro in cui non vi è la voglia di fossilizzarsi ma di creare ancora. In fondo, spesso si capisce dove andare solo dopo essersi dati il tempo di ricapitolare la strada che si è fatta.

 

Il viaggio inizia con il suono della vibrazione di un telefono e da lì si entra in un mondo a parte, dove la disperazione poetica ha la meglio, ma senza rinunciare a ottime cavalcate che non possono che far muovere teste e cuori ad un ritmo sostenuto. L’iniziale “Mercy Mercy” non concede pietà, iniziando subito a prendere a schiaffi l’ascoltatore e carezzarlo con melodramma, la seguente “Don't Let Me Get Too Low” è genuina e solare, fondendo il sound classico della band con le influenze hardcore e il pop punk, mentre si gioca con ironia su quanto a volte siamo noi gli unici in grado, al contempo, di salvare noi stessi e di affossarci ancora più a fondo. Piccola nota di colore la regala la realizzazione del video, dove il cantante Shane Told racconta: “eravamo nel bel mezzo del deserto fuori Las Vegas e io scavavo la mia tomba con un gran sorriso stampato in faccia. Per fortuna non è arrivato nessun poliziotto a chiederci cosa stessimo facendo, sarebbe stato difficile da spiegare!”.

“Confessions” torna su toni più melodici ed emotivi, unendo sensibilità pop, archi e una batteria sostenuta, mentre si parla dell’importanza di ammettere i propri errori, anche se l’apice emotivo del disco è senza dubbio “Skin & Bones”, una sentita e profonda canzone sull’improvvisa perdita che Shane Told ha avuto: l'omicidio della sua ex fidanzata. Un ritratto schietto della fragilità della vita, che porta Told a ricordarla ogni volta che la canta.

Nota di particolare merito va invece alla penultima “Stress”, dove si può apprezzare un’ottima escursione in territori nu-metal per quella che può tranquillamente diventare una delle migliori colonne sonore per chiunque viva un periodo stressato e si senta attorniato da obblighi e scadenze: nulla di meglio che un inno schiacciasassi dove eliminare ogni ansia da prestazione a colpi di breakdown hardcore e riff martellanti.

 

Antibloom, per quanto solo metà di un percorso celebrativo di completezza mistico-spirituale, risulta ottimo anche senza il suo futuro doppio, distillando in maniera nitida (anche a livello di produzione) il loro suono più caratteristico e realizzando un quadro coerente e conciso che li rappresenta, reso vivo dalla capacità di introspezione dimostrata nel carpire cosa li rende caratteristici. Certo, alcune frasi potrebbero dirsi tratte da un generatore automatico di testi emo e la costruzione dei brani è più che classica (in senso “Silverstein”), tra chitarroni, ritornelli catchy e momenti che a seconda del caso accendono scintille super melodiche ed emotive o la voglia di spaccare tutto senza mezzi termini; ma in fondo questa è una sintesi del loro percorso, quale occasione migliore per riproporre le proprie formule?

Nel complesso quindi, Antibloom risulta solido, riuscito e capace di alcuni guizzi davvero brillanti. Per i vecchi fan è un’occasione per ritrovare tutti i riferimenti a vecchi brani e album, come un gioco alla ricerca di easter egg; mentre per i nuovi ascoltatori è un buon bigino per capire con chi si sta avendo a che fare, disponendo di una playlist ad hoc sintetica di tutto ciò che la band canadese è stata, è e può diventare in futuro.

Non sappiamo ancora quale direzione prenderà Pink Moon: se i richiami alla luna primaverile (anche se uscirà in autunno) e al lato più introspettivo che il titolo può richiamare siano effettivi o se invece si tratterà di tutt’altro; se sarà anch’essa una celebrazione vera e propria “parte seconda” o più un passo verso una direzione specifica nel loro futuro. Quello che però è chiaro è che i cinque non hanno alcuna intenzione di fermarsi, e questa occasione di festa, introspezione e condivisione con i loro fan è solo un primo momento conviviale che aprirà al loro nuovo quarto di secolo. Se la capacità di resa live ineccepibile, la prolificità e la voglia di suona insieme resteranno costanti, non potranno che confermarsi come un riferimento per il genere anche per i decenni a venire, pronti a far sentire a casa le generazioni cresciute con loro e quelle che vorranno unirsi a questo viaggio intimo e universale tra gli abissi e le stelle che ognuno di noi ha dentro.