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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Appena 40 anni dopo
Banana Republic
(Vololibero Edizioni)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
29/04/2019
Banana Republic
Appena 40 anni dopo
Ferdinando Molteni pubblica “Banana Republic. Dalla - De Gregori e il tour della svolta”, un breve viaggio tra le pieghe fondamentali di quello che a tutti gli effetti è da considerarsi un evento mediatico di massa...

“Ma l'amore non ha sempre a che fare con l'estetica”. (F. Molteni)

Ve lo preannuncio. Rapida e indolore. Un grazie di cuore a Ferdinando Molteni che si è fermato nella corsa verso gli Stati Uniti per rispondermi in tempi brevi. Certo avrei preferito parlare con lui molto più approfonditamente visto che di cose da dire, questo libro e quel tour, ne ispira a sacchi, a ceste, a scatoloni rigidi di quelli grandi usati per i traslochi. Ferdinando Molteni, giornalista, saggista, musicista… docente… scrittore in ultima istanza. Grazie alla Vololibero Edizioni (e un grazie lo rivolgo anche sfacciatamente a Luca Trambusti che cura la promozione del loro catalogo - occasione ghiotta e del tutto inaspettata per ritrovarlo dopo anni in cui ci eravamo persi di vista, da quelle puntatine metropolitane al Rock’n’Roll di Milano) mi ritrovo tra le mani un libro documentario, un breve saggio su quel che è stato il tour della svolta, come lo chiama nel titolo, l’evento estivo che ha determinato un cambiamento della fruizione e del significato della canzone d’autore italiana.

Lucio Dalla e Francesco De Gregori impegnati in quel tour che tutti conosciamo come “Banana Republic”… e assieme a quei due non dimentichiamo la figura di Ron, giovanissimo anche lui, ovviamente, lui a cui si chiedeva di dirigere la scena artistica, lui a cui veniva lasciato il palco per qualche momento. Era il 1979, erano i mesi estivi: sono stati concerti memorabili che hanno portato i due cantautori negli stadi - esattamente: negli stadi - di tutta Italia. Finiva quel periodo in cui il nostro paese era bandito dai grandi concerti internazionali, andavano scemando le azioni sovversive degli autoriduttori, si tornava a celebrare lo stare assieme con la musica - qualsiasi essa sia, forse, bastava che codificasse il linguaggio, l’estetica, l’amore e, soprattutto, la voce del popolo. Per caso e per fortuna (nostra) nacque il tour di “Banana Republic”.

Ferdinando Molteni pubblica “Banana Republic. Dalla - De Gregori e il tour della svolta”, un breve viaggio tra le pieghe fondamentali di quello che a tutti gli effetti è da considerarsi un evento mediatico di massa, capace di sdoganare al grande pubblico la figura e le canzoni del cantautore, portando la sua voce, che fino ad allora trovavamo nei folk club, nelle balere o al più nei palazzetti, fin dentro gli stadi di calcio radunando ad ogni data decine di migliaia di persone. Cose mai viste… e di sicuro, in questo modo, mai ripetute in futuro.

Una scrittura che forse in alcuni momenti poteva concedere meno spazio a ripetizioni e a ridondanze ma che, al tempo stesso, si dimostra pregno di aneddoti preziosi dipanati lungo 117 pagine arricchite anche da fotografie a colori e in B/N. È un saggio che ripercorrere le tappe, è una cronaca dal piglio giornalistico ma è anche un ricordare con occhio attento alla realtà, puntando anche il dito su ciò che andava condannato e aprendo con resa immotivata il cuore a ciò che va tutt’ora celebrato. Ho apprezzato molto la penna critica di Molteni che non manca di rispetto né si atteggia a mitizzare a prescindere, ma descrive la realtà dei fatti mettendo a nudo, ad esempio, la fragilità estetica e qualitativa del disco “Banana Republic” pubblicato proprio sul finire del tour e poi a seguire di un documentario che ha davvero momenti imbarazzanti. Ma non importa. Come dice Molteni, l’amore non ha sempre a che fare con l’estetica e qui di amore ne abbiamo a profusione. Quel disco… che custodisco anche io come una cassaforte segreta di grandi emozioni… io che, come i figli di De Gregori, in quel tempo nascevo.

E Ferdinando Molteni, invece, era presente al debutto di quel tour: lui se lo ricorda, dopo 40 anni, quel paese che abbandonava una lunga serie di stagioni ricoperte d’oro e di fuoco.

E forse fu per gioco e forse per amore che i due colleghi e - prima di tutto - amici cantautori accettarono l’idea di salire assieme su un palco a girare l’Italia… e firmarono, con il loro nome firmarono… e il loro nome era DALLADEGREGORI.

"Banana Republic". Ho scoperto cose nuove e rinfrescato ciò che già sapevo. Per me resta un piccolo e grande “mistero sociale” il successo così grande di una tournée che in fondo ha prodotto solo cose assai discutibili. Vorrei proprio dirigere la chiacchierata su questo fronte. È stata una tournée ma anche, e forse per prima di tutto, un evento sociale. Secondo te quanto ha contato la musica e quanto il linguaggio sociale del popolo di quel preciso momento storico italiano?

La musica molto meno del contesto. Dalla e De Gregori intercettarono, forse inconsapevolmente, il nuovo clima. Si stava superando la stagione delle proteste e dell'autoriduzione. Ma loro non lo sapevano. Le motolov continuavano a volare, soprattutto a Milano. Ma ancora per poco.

E quindi, in altre parole, secondo lei, se la formula fosse stata applicata a due altri artisti come loro, due altri nomi che cioè codificavano in canzone il linguaggio del popolo quotidiano di allora? Si sarebbero ottenuti risultati analoghi?

Probabilmente sì. Le persone volevano semplicemente ascoltare canzoni, stare insieme, divertirsi. Toccò a Dalla e De Gregori, ma poteva toccare anche a Venditti e Vecchioni. Non sarebbe cambiato nulla.

Che sia quello che sta accadendo oggi con la musica “social” che viene celebrata da ogni parte? Celebrazione di qualcosa più per costume sociale che per contenuto. Prima si andava negli stadi o nei grandi raduni, oggi si scende sui social network…

Sono d'accordo. Le cose non sono cambiate poi così tanto. Cambiano i mezzi, ma non la sostanza. I ragazzi vogliono ascoltare musica e stare insieme. Oggi tocca a Mostro e Anastasio, a Ultimo e Achille Lauro ma la situazione non è molto diversa.

Leggere questo libro proprio con una chiave sociale, dunque tornare a riascoltare quel disco e a guardare quel documentario proprio con questo punto di vista, rende il tutto assai più prezioso e sicuramente diverso. Ad ora ho due modi diversi per interagire con “Banana Republic”. Secondo lei qual è quello giusto, alla fine della fiera?

Il disco e il film non furono granché. Ma lo spirito fu straordinariamente coinvolgente. Io credo che l'estetica, in questi casi, passi in secondo piano rispetto alla voglia di esserci e di testimoniare un evento unico.

Dicevo di aver ampiamente apprezzato le critiche che trapelano senza filtri. Critiche che rivolgi (e che raccogli anche nelle varie testimonianze) in direzione della qualità del disco e del documentario. Ennesima dimostrazione di quanto sia stata una dimensione sociale ad unire il popolo? Io ci leggo anche fortissime analogie con quello che accade oggi. Anzi io penso che sia un evento importantissimo per l’osservazione della massa… e i tempi cambiano ma i vizi restano…

Be', se vogliamo farne un evento sociologicamente importante sono d'accordo. Il "popolo", come lo chiama lei, in alcuni momenti ha esigenze molto facili da soddisfare. Qualche buona canzone e un paio di cantanti che non lo prende in giro.

E restando sul tema delle pubblicazioni: perché, sapendo di avere materiale di così scarsa qualità, hanno deciso di pubblicarlo ugualmente? Solo ed esclusivamente impegni di marketing?

Gli organizzatori temevano il bagno di sangue. Così fecero a tutti i costi il disco. Che, nonostante la sua scarsa qualità, fu un grande successo. Nel 1979 ci si rese conto che la musica pop italiana poteva essere un grande affare. Come in effetti è stato.

Lo sa che in anni di carriera nel mondo della musica, amante della canzone d’autore in prima persona, è la prima volta che sento una diretta critica alla qualità di “Banana Republic”? Ho come l’impressione che la verità delle cose sia assai più immediata e opportunista di quanto invece la si voglia artisticamente ricamare prima di presentarla al pubblico. Non è così?

Non lo so. Sinceramente. Il disco fu davvero pessimo, e lo capì subito De Gregori che cercò di impedirne la pubblicazione. Poi fu molto amato da pubblico, me compreso. Ma l'amore non ha sempre a che fare con l'estetica.

E proprio parlando di verità tra le righe, sempre restando (se me lo permette) sul filo dell’inchiesta. Romanticamente i due del 2010 hanno spiegato il perché ritornare in scena, anche se io penso che un target importante fosse replicare qualcosa per recuperare uno spazio nella scena che ormai non aveva più il vigore di un tempo… chissà… Insomma, una lunga tournée altamente lontana però da quei risultati di successo. Ed era prevedibile. Secondo lei perché?

Perché ne avevano voglia. Perché erano amici. E perché De Gregori intuì che Dalla era in difficoltà. E voleva aiutarlo. Il tour del 2010 è una bellissima storia d'amicizia.

Però va detto anche che è stato il momento storico italiano di rottura verso l’embargo dei grandi concerti ma soprattutto il momento in cui la canzone d’autore raggiungeva gli stadi e il mainstream. Questo in qualche modo ha un poco levato quella patina culturale e di prestigio che aveva (o che sembrava volesse avere) la canzone d’autore restituendola davvero al pubblico tutto invece che lasciarla solo per quei pochi eletti di partito o di cultura?

Non c'è dubbio. Quel tour spiegò a tutti che, come avrebbe detto Bennato qualche anno dopo, si trattava in fondo solo di canzonette. Bellissime e profonde, ma pur sempre di canzonette.

A chiudere: la scrittura di questo libro è stata anche un lavoro di ricerca e di incontri? Chi ha potuto e voluto raggiungere? E chi invece le ha chiuso le porte?

Mi interessano poco le testimonianze a posteriori, soprattutto a distanza di quarant'anni. Preferisco le fonti. Dunque, ho lavorato soprattutto sulle cronache del tempo. Nessuno mi ha chiuso le porte. Ma non tutti si sono resi conto della portata dell'avventura che avevano vissuto.

E De Gregori (ormai potendolo chiedere solo a lui), secondo lei cosa pensa o cosa penserebbe di questo libro? 

Immagino che lo amerà. È lui il centro di tutto. Il vero architetto di questo tour. Distante e appassionato. Come è tutta la sua meravigliosa musica.

A chiudere: questo libro ci racconta come tante cose grandi sono nate dal caso. Ed io ci credo. Ci voglio credere. E allora questo libro? Da quale caso nasce?

Dal fatto che da ragazzino vidi il primo concerto del tour, a Savona ne giugno nel 1979. E che quarant'anni dopo ho incontrato un meraviglioso editore, Vololibero, che ha creduto nell'idea.