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REVIEWSLE RECENSIONI
Are We Still In?
An Early Bird
2022  (AWAL )
ALTERNATIVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ITALIANA
8/10
all REVIEWS
25/01/2023
An Early Bird
Are We Still In?
"Are We Still In?" nulla aggiunge e nulla toglie a quanto già sapevamo di An Early Bird. L’artista napoletano padroneggia sempre a meraviglia il linguaggio dell’Alt Folk e può permettersi di non scandalizzare nessuno col suo essere derivativo, perché l’ispirazione con cui lo si ritrova ad ogni disco è sempre notevolissima. Nulla di più dell’ennesima conferma di un nome validissimo di cui dovremmo essere fieri, e scusate se è poco.

Il progetto An Early Bird è arrivato al quarto capitolo, traguardo non scontato di questi tempi. Are We Still In?, questo il titolo del disco uscito negli ultimi giorni dell’anno appena concluso, porta con sé diversi spunti ed apre a domande a cui sarebbe decisamente importante rispondere. L’interrogativo del titolo è già di suo significativo. Che la title track sia stata scritta per una ex (non è l’unica, da un certo punto di vista questo disco può essere considerato come un’antologia di conversazioni con amori passati) importa fino ad un certo punto, perché il senso è decisamente più profondo: ci siamo ancora? Che poi vuol dire: che valore diamo alla realtà? Alle cose in cui crediamo? Siamo ancora disposti alla fatica, al sacrificio?

Ed è anche un discorso che entra dentro le attuali dinamiche musicali: lo stesso Stefano De Stefano ha pubblicato a ridosso dell’uscita un post in cui parlava dell’abitudine, oggi più attuale che mai, di centellinare la pubblicazione di un album buttando fuori un brano dopo l’altro, fino in pratica ad esaurire la tracklist. Non ci avevo mai pensato troppo ma in effetti è l’altra faccia del problema: se da una parte continuiamo a rassicurarci del fatto che, nonostante il maggior numero di singoli immessi sul mercato i dischi esistono ancora, allo stesso tempo si tende a non considerare che l’ascoltare un disco a pezzi, un brano oggi e un altro la settimana dopo, non rappresenta esattamente il modo con cui l’artista ha immaginato che il suo lavoro sarebbe stato fruito.

E dunque? Che si fa? Niente, perché ormai il trend è questo e niente e nessuno potrà cambiarlo. Are We Still In? è uscito in questa forma, nel senso che ne sono stati anticipati quattro brani su nove. E prima di questo disco Stefano aveva fatto uscire due singoli, “Roll the Dice” e “Crash Into Me”, che hanno svolto un’ideale funzione di collegamento tra l’ultimo lavoro ed il precedente Diviner.

È così e non ci si può fare niente, ma l’essere consapevoli del problema è già un inizio, non è uguale a zero.

 

Da parte sua, Are We Still In? nulla aggiunge e nulla toglie a quanto già sapevamo di An Early Bird. L’artista napoletano padroneggia sempre a meraviglia il linguaggio dell’Alt Folk e può permettersi di non scandalizzare col suo essere derivativo, perché l’ispirazione con cui lo si ritrova ad ogni disco è sempre notevolissima. Penna pregevole, la sua, tanto mestiere ma non nel senso di vuoto manierismo: è il mestiere di chi ama ciò che fa e utilizza alla perfezione gli strumenti per farlo bene, per trasformare ogni volta l’urgenza in un prodotto funzionale e ben confezionato. A partire dalla produzione di Stefano Bruno, che ancora una volta riesce a dare alle canzoni una pulizia ed una limpidezza non scontate, perché avere a che fare con un genere basato più di altri sulla linearità delle canzoni non vuol dire per forza di cose che sia semplice da rendere.

A livello stilistico, dicevamo, non ci sono cambiamenti di sorta, se si eccettua una “Song of the Year” in odore di Indie Pop, un ritmo incalzante e una tastiera a tappeto, per un brano ammantato di romanticismo che potrebbe essere uscito dal canzoniere di Wild Nothing o dei compianti Pains of Being Pure at Heart; oppure una “Wake Up Wake Up” che gioca un po’ sui ritmi tribali (Stefano ha scritto scherzando che “volevo dimostrare di saper suonare la chitarra” e difatti le ritmiche qui sono un po’ più elaborate che altrove) e che si avvale del magnifico contributo vocale di Agnes Milewski.

 

Ecco, se vogliamo quello dei featuring è un altro fattore di novità; non perché non sia mai accaduto (a memoria, mi pare che l’ospitata di qualche collega e amico ci sia stata in tutti e tre i lavori precedenti) ma perché a questo giro quattro canzoni su nove sono arricchite dalla presenza di un ospite. Oltre al brano già citato (che potrebbe anche fungere da occasione per scoprire una cantante davvero talentuosa), c’è l’opener “Huge”, vero e proprio compendio della scrittura di An Early Bird, ideale biglietto da visita dell’intero album, nonché riuscito duetto con un Meadows davvero ispirato. In “Lights Off”, che è una delle più classiche nonché delle più belle in scaletta, c’è Marti West, mentre nella conclusiva e malinconica “Fading Into Day” c’è uno splendido cameo di Her Skin, che è un’artista bravissima, di cui purtroppo si parla sempre troppo poco (ma è il problema che questo paese ha con la musica, mi verrebbe da dire).

In mezzo, un lotto di canzoni che trasmettono un certo senso di piacevole liberazione, soprattutto nei ritornelli, tutti molto diretti e di facile presa (la title track e “Little Wild Heart”, di cui è uscito anche un video, sono due fulgidi esempi di questa dinamica).

 

Nulla di più dell’ennesima conferma di un nome validissimo di cui dovremmo essere fieri, e scusate se è poco. Con la speranza che il tour tedesco che sta per partire in questi giorni sia solo il preludio ad una serie di date nel nostro paese. Purtroppo è un genere, lo sappiamo, per cui in Italia c’è sempre stato poco spazio, fatta eccezione la fase di hype dei grandi nomi internazionali.