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REVIEWSLE RECENSIONI
05/01/2024
Rick Astley
Are We There Yet?
Nono album in carriera e figlio di una seconda giovinezza artistica, Are We There Yet? conferma il talento di un musicista che, oggi, guarda agli States, al soul, al gospel, al country, senza tuttavia rinnegare il proprio background pop.

Are We There Yet?, nuova fatica di Rick Astley, è, per quanto mi riguarda, la sorpresa dell'anno. Dimenticato il travolgente, quanto effimero successo di fine anni Ottanta (chi non ricorda Never Gonna Give You Up), dopo un periodo di anonimato, il musicista britannico, si sta costruendo una seconda parte di carriera di livello altissimo. Il suo ritorno è iniziato con il suo album del 2016, intitolato 50, il cui inaspettato successo in rete, ha spedito il disco direttamente alla prima piazza delle classifiche inglesi, vendendo più di centomila copie. Insomma, Astley si è scrollato di dosso l’etichetta scomoda di residuato bellico degli anni Ottanta, tornando misteriosamente nel cuore di tanti appassionati. Questo ritrovato ritorno di popolarità è stata riaffermato anche al Glastonbury di quest'anno, quando Astley ha fatto la sua prima apparizione al Pyramid Stage davanti a un pubblico estasiato, seguito, poi, da una seconda esibizione all'evento, durante la quale ha cantato cover di Smiths insieme al quintetto indie dei Blossoms.

Che Astley sia rinato artisticamente, ne è dimostrazione anche questo nono album in studio, attraverso il quale il cantante britannico, mai come prima, ha dato finalmente lustro alle sue capacità compositive e a quella splendida voce "nera" e potente, a cui gli anni hanno regalato ulteriore profondità.

 

Are We There Yet? è un disco che guarda agli States, che plasma soul, gospel, r&b, Stax e Motown, attraverso una sensibilità unica, infiocchettata dal quel luccicante background pop che arriva dritto al bersaglio senza alchimie, ma con la forza dirompente di melodie avvolgenti, calde, consapevoli. E così, momenti brillanti e ballabili si alternano a ballate che accarezzano il cuore di languida nostalgia e dolci malinconie, con un’efficacia sorprendente.

Astley, che oggi ha 57 anni, ha iniziato a realizzare il nuovo disco nel suo studio di casa durante il lockdown, suonando lui stesso la maggior parte degli strumenti e dando voce a diversi generi musicali, liberandosi finalmente dagli stereotipi con cui veniva inquadrato da tempo e che lo tenevano lontano dai radar della critica che conta.

In scaletta, dodici canzoni eleganti, appassionate, cantate da una voce che sa come colpire il cuore dell’ascoltatore, e che spaziano attraverso un sensibilità eterogenea, ben lontana da quella del ragazzo col ciuffo, che ballava sbarazzino sulle note di una dance pop divertente ma senza profondità.

 

Il disco si apre con "Dippin’ My Feet" un brano country rock che evoca il suono di Nashville, riletto, però, attraverso uno sguardo vagamente brit-pop. Anche la successiva "Letting Go" si muove rilassata sul velluto di trame country, ed è possibile cogliere in sottofondo vaghe eco di quei lontani anni Ottanta in cui Astley fu protagonista con hit di straordinario successo. "Golden Hour" è una raffinatissima ballata gospel, "Waterfall" abbraccia il soul in un brano che evoca Bill Withers, il northern soul di "Forever And More" spinge con allegria verso il dancefloor, mentre la conclusiva e meditabonda "Blue Sky" veste abiti francescani per riflettere sull’immobilità del tempo durante la pandemia.

Tra le tante belle canzoni spuntano soprattutto "High Enough", mid tempo morbido, malinconico, che punta diretta al cuore senza artifici e che trabocca di appassionato soul, e ovviamente, non poteva mancare il marchio di fabbrica, quel "never gonna" che tanto lo rese famoso, e che qui viene ribadito "Never Gonna Stop", brano che trova in Al Green il suo nume tutelare.

 

Are We There Yet? è, in definitiva, il nuovo elegante capitolo di una seconda giovinezza, che Astley sta vivendo percorrendo una direzione che porta lontanissimo dal suo luccicante, quanto effimero passato. Fuori da impellenze commerciali e forte di anni di anonimato, in cui nessuno si sarebbe mai aspettato nulla da lui, Astley si è, con molta probabilità, riconnesso alla sua vera anima musicale, e sta camminando lungo una strada (quella richiamata dalla copertina del disco) che, senza eccessivi clamori, gli sta restituendo quella dignità artistica che troppo spesso gli fu negata. Dategli credito, non ve ne pentirete.