Dopo più di due anni Apice pubblica un nuovo disco, Attimi di Sole. Già il titolo incuriosisce se accostato a quello della sua prima opera, BELTEMPO: sembra quasi che tra un disco e l’altro ci sia stata una tempesta, di cui possiamo vedere solo alcuni resti bagnati da questi Attimi di sole.
In effetti il tempo è passato anche per Apice, e l’importante cambio di rotta nella sua scrittura si sente, anzi, quella che si percepisce è una evoluzione, come lui stesso raccontava durante l’intervista fatta in occasione della pubblicazione del singolo “Geronimo” (qui):
“Quello che bene o male sto cercando di fare sul secondo disco è di continuare a proporre un linguaggio pop che allo stesso tempo possa variare e contaminarsi attraverso quella che considero la mia materia di pertinenza, ovvero la scrittura, le parole e le strutture”.
È infatti questa la grande forza di questo disco, la scrittura. Tutto ciò che ci abita all’interno, tutti i suoi elementi, hanno l’unico scopo di valorizzare quello che racconta attraverso i testi, come se creasse un alveo attraverso cui il torrente delle parole può scorrere e defluire.
Musicalmente le sorprese non sono state poche e, se già con “Geronimo” qualcosa si era intravisto, è solo nell’ascolto completo del disco che l’effettiva evoluzione che ha avuto Apice è diventata tangibile.
Con il primo disco Apice ci ha fatto sentire, oltre al suo talento al pianoforte e alla sua voce graffiante, delle canzoni legate al mondo del pop e del nuovo cantautorato: quasi tutte con una struttura molto più regolare, con un utilizzo dell’elettronica tipica del genere e al contempo una scrittura dei testi che richiama molto i grandi maestri della musica italiana.
Con Attimi di sole, invece, si sente una maggiore libertà: ci sono elementi di elettronica che in alcuni brani sono predominanti e secondi solo alla voce, alternati a parti molto più suonate, come in “Ortiche”, in cui si sente una tanto inaspettata quanto gradita ondata rock creata soprattutto dalla chitarra elettrica. Un altro esempio è senza dubbio “Mia”, molto più pop “vecchia guardia”, con un pianoforte che parte dall’inizio insieme alla voce in un piacevole mix che ricorda Dalla e Cremonini. Ciò che sorprende più del brano è che, dopo la metà dell’introduzione, Apice cambia sia la melodia sia gli accordi del brano, una scelta bizzarra e di cui non si comprende il significato fino a che non arriva l’ultima frase prima della pausa, dove tutto prende senso e compiutezza.
Con Attimi di sole Apice raccoglie sapientemente quello che ha seminato con BELTEMPO e lo espande, contaminandolo e destrutturandolo: va a briglie sciolte, si spoglia dei canoni e ragiona sull’unica cosa che conta, le storie che vuole raccontare.
Ciò che colpisce, però, è che tutte le diverse influenze incluse non stonano mai l’una con l’altra e sono sempre ben contestualizzate fra di loro. Ascoltando il disco non si sentono canzoni separate, ma un unico percorso.
Tutti questi elementi accompagnano l’ascoltatore in un percorso introspettivo, all’interno di momenti assolutamente personali della vita di Apice. Il modo in cui parla di sé nei suoi brani, in cui si mette in gioco e si spoglia di tutti i suoi preconcetti davanti all’ascoltatore è qualcosa che colpisce già dalle produzioni precedenti e in questo disco non è da meno: ogni brano è fatto di strati ed ogni ascolto permette di approfondire un po’ di più l’incontro con l’artista. Non si tratta di una seduta dall’analista, bensì di una confessione davanti ad un amico, e quando la musica è questo, non si può che ringraziare.