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REVIEWSLE RECENSIONI
01/11/2018
All Them Witches
ATW
ATW è una prova più che dignitosa e, a tratti, convinta e convincente; manca, però, agli All Them Witches quell’intuizione o quello scarto fantasioso che permetta loro di alzare il livello della proposta

Ricondurre la città di Nashville al country è una cosa così immediata che la saprebbero anche i bambini. Eppure, in un ambiente così legato alla tradizione (ma dal un suono prevalentemente radio friendly), talvolta nascono band che se ne vanno in direzione ostinata e contraria.

E’ il caso dei All Them Witches, combo di stanza in Tennessee, nato nel 2012 e autore al momento di cinque full lenght in studio, compreso questo di cui scriviamo, nei quali di roots non compare traccia. Anzi, a dire il vero, qui siamo agli antipodi, e l’architettura del disco si fonda prevalentemente su chitarroni distorti e tonnellate di fuzz, che prendono corpo in un contesto sonoro prevalentemente cupo e stanno a debita distanza dalle frequenza FM.

Gli All Them Witches, infatti, si muovono in ambito noise, ampia definizione nella quale i nostri riescono a far confluire in gran quantità (e coagulare) psichedelia, doom, stoner, blues e rock tout court. Non si può certo dire che qui l’originalità sia di casa; ciò nonostante, il quartetto originario di Nashville, imbastisce una scaletta solida, rumorosa, in cui a ballate livide e crepuscolari (HJTC) si alternano improvvise accelerazioni rock (l’iniziale, adrenalinica, Fishbelly 86 Onions) e blues di matrice zeppeliniana, come la lunghissima Harvest Feat, più di dieci minuti dilatati in una coda strumentale dagli accenti psichedelici.

Se da un lato la band dimostra di avere il completo controllo della situazione, sia sotto il profilo della produzione che degli arrangiamenti (l’odore delle chitarre che bruciano lentamente si sente proprio tutto), dall’altro, mi pare che manchi quell’intuizione che elevi lo standard compositivo, e la sensazione finale è quella di aver sentito queste canzoni già un migliaio di volte, visto che il disco pullula di citazioni, a partire dagli Zep (Rob’s Dream sviluppa un tema da No Quarter) per finire ai Blue Cheer, qualcosa in più che una semplice fonte di ispirazione.

Non c’è nulla, comunque, che non funzioni in questo quinto album in studio, intitolato con l’acronimo della band, ATW, e il disco, soprattutto per gli amanti di quel suono risalente agli anni ’70, funziona dall’inizio alla fine, pur non presentando picchi qualitativi eccelsi.

Insomma, ATW è una prova più che dignitosa e, a tratti, convinta e convincente; manca, però, agli All Them Witches quell’intuizione o quello scarto fantasioso che permetta loro di alzare il livello della proposta: la matrice è una sola e da cinque dischi è riproposta in modo pressoché identico.