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MAKING MOVIESAL CINEMA
Azor
Andreas Fontana
2021  (Mubi)
DRAMMATICO
7,5/10
all MAKING MOVIES
17/06/2024
Andreas Fontana
Azor
Raccontare senza mostrare, non una cosa semplice all'apparenza, eppure con Azor il regista svizzero Andreas Fontana ci riesce in maniera egregia riportandoci, senza troppo evocarla, ai tempi della dittatura militare argentina.

Dai primi mesi del 1976 fino alla fine del 1983 l'Argentina attraversò uno dei periodi più bui e crudeli della Storia moderna del Paese; sotto la dittatura militare sparirono circa 30.000 persone: le famiglie videro scomparire i propri parenti, videro rapire i propri figli, i propri genitori, senza che nessuno desse loro notizie dei loro cari.

Le torture si susseguivano su base quotidiana, i morti non si contavano, le forze dell'ordine erano il vero nemico in un Paese allo sbando; ancora oggi definizioni come "desaparecidos", "voli della morte", "Garage Olimpo", "centri di detenzione clandestina" fanno accapponare la pelle per il terrore che ancora riescono a evocare. Anni terribili, la vera morte di tutto ciò che è giusto, buono e democratico. Un contesto, questo, durissimo e già narrato in alcuni ottimi film, come il bellissimo Garage Olimpo di Marco Bechis.

Con Azor il regista svizzero Andreas Fontana torna a quegli anni a Buenos Aires, nello specifico al 1980, compiendo un'azione narrativa molto originale e interessante: andando a raccontare quell'infausto periodo omettendo completamente qualsiasi bruttura del regime e il regime stesso che qui si percepisce forte ma che non viene mai mostrato, nominato, raccontato ma solo alluso, lasciato intuire, lambito per vie indirette. Eppure la sua presenza è forte, aleggia per tutto il film, sovrasta la gente per bene e i profittatori, la vecchia borghesia e tutti i collusi, compresi politici, banchieri, ricchi possidenti e alti prelati.

È quindi un oggetto cinematografico da studiare questo Azor, molto godibile nella sua lateralità, nel suo viaggiare leggermente spostato dalla deflagrazione della cronaca, un film che nasce da un'idea egualmente intrigante. È lo stesso regista a raccontare come l'idea sia nata dal ritrovamento di un diario di viaggio di suo nonno, un banchiere privato e diplomatico svizzero in viaggio in Argentina per andare a trovare dei parenti.

Fontana si meraviglia di come suo nonno, persona colta e informata su ciò che accadeva nel mondo, su quel diario tacesse totalmente della situazione politica in Argentina, dei fatti terribili che vi accadevano in quegli anni e ovviamente se ne chiede il perché. Da qui l'idea di romanzare un viaggio di un banchiere privato in cerca di opportunità e affari a Buenos Aires, in quegli anni, in quella situazione terribile, raccontandola (la situazione) tramite un'assenza, tramite i non detti delle persone, della Storia, dei protagonisti, andando poi ben oltre le vicende del nonno che in tutto ciò che vediamo (e non vediamo) in Azor non ebbe nulla a che spartire. Mi sembra tutto sommato una base molto succulenta da cui partire e che Fontana è stato in grado di gestire davvero molto bene, e non era cosa facile da fare.

 

Yvan De Wiel (Fabrizio Rongione) e sua moglie Inés (Stephanie Cléau) arrivano a Buenos Aires dopo un lungo viaggio dalla Svizzera; nell'arrivare incappano in alcuni ritardi dovuti ai controlli dell'esercito argentino. De Wiel è un banchiere privato svizzero, socio di una banca storica e portata avanti dalla sua e da altre famiglie da almeno tre generazioni; De Wiel è a Buenos Aires per chiudere alcuni affari con diversi importanti clienti argentini, affari da principio messi in piedi dal collega e socio René Keys ora scomparso senza aver lasciato traccia di sé.

Si intuisce da subito, dalle parole delle varie personalità che De Wiel si trova a incontrare, come l'approccio agli affari dei due soci sia molto diverso, si dice che Keys, sicuramente uno di forte presa e capace di coinvolgere anche emotivamente le persone, abbia trasceso in alcuni suoi comportamenti, esagerato, fatto o detto qualcosa di poco consono. Ora, in quell'ambiente all'apparenza ovattato e poco permeabile, dove le cose vanno intuite e capite al volo, Keys è scomparso, non c'è più, nessuno ne sa nulla. Starà ora al nuovo arrivato rappresentare la banca, prendere contatti nei salotti buoni, muovere capitali dell'alta borghesia e tirare le fila di ciò che Keys aveva imbastito. Ma cos'è che aveva imbastito Keys?

 

C'è una scena nel film in cui Inés, la moglie del protagonista, parla con la padrona di casa in cui si tiene il piccolo ricevimento a cui sono stati invitati lei e il marito, le spiega come nel gergo dei banchieri svizzeri ci siano espressioni inventate, usate per non farsi capire da chi non appartiene a quel mondo; in questo gergo la parola "azor" significa qualcosa tipo "attento a ciò che dici". Forse è proprio questo precetto, azor, che Keys non ha rispettato muovendosi nella Buenos Aires del 1980.

Non lo sappiamo per certo, Fontana ci porta in un mondo che sembra viaggiare per compartimenti stagni, l'orrore è là fuori, l'inquietudine serpeggia, alcuni incontri, alcuni dialoghi sembrano portare con loro una crescente dose di minaccia, ma nessuno parla di ciò che sta succedendo fuori le mura di una casa, al di là della tenuta di un anziano benestante, oltre le pareti di un club esclusivo dove banchieri, prelati e affaristi si ritrovano per muovere capitali.

Nessuno sa dove sia Keys, nessuno dice cosa in realtà abbia fatto; eppure, nel suo spaesamento iniziale, De Wiel non sembra essere all'altezza del socio scomparso, nessuno parla chiaro e lui necessita di tempo per ascoltare, capire, affrontare una questione che prima di ogni altra cosa diviene affare morale.

Gioca in maniera magnifica con l'assenza Fontana (aiutato molto per la sceneggiatura da Mariano Llinás), con la mancanza di Keys, con la mancanza di informazioni, con la mancanza della feroce dittatura argentina, tutti elementi che ci sono, incidono forti nel racconto ma non si vedono, sono ignorati.

Nel giocare con l'assenza Azor è forse uno dei film più riusciti che mi sia capitato di vedere. Il lavoro fatto da Fontana, come quello di tutto lo splendido cast, è di una calibrazione impressionante: gli interni, la recitazione misurata (bravissimi Rongione e Cléau, inquietante Pablo Torre Nilson nei panni del Monsignor Tatoski), i singoli dialoghi, riescono a creare una sensazione palpabile causata da un pericolo a noi invisibile, cosa che spesso non riesce neanche ai registi di film horror.

Fontana arriva dopo alcuni corti a questo esordio nel lungo nel migliore dei modi possibili, con un approccio al cinema originale e allo stesso tempo solido e inattaccabile, un nuovo nome da tenere d'occhio nei prossimi anni.