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REVIEWSLE RECENSIONI
08/08/2025
The Wants
Bastard
I The Wants alle prese con la seconda prova, quella decisiva a cinque anni dall’esordio, che superano brillantemente.

Ci ho messo un bel po’ a notare che sulla copertina di Bastard (il secondo disco dei The Wants) ci sono due blatte in agonia, se non già morte, asfissiate sotto un bicchiere capovolto, e una mosca che non sembra passarsela molto meglio, stecchita insieme ad altre decine di moscerini su un pannello di carta insetticida sullo sfondo. “Death is Everywhere”, cantavano i Depeche Mode e proprio con una metafora da entomologi. Avevo frainteso il disordine disposofobico, tipico della quotidianità in uno scorcio di cucina qualunque, come elementare contrasto al rigore estetico della composizione still life dell’artwork di Container (il precedente disco dei The Wants) e le conserve senza etichetta aperte che vi sono immortalate.

Come a dire che sono passati cinque anni tra un album e l’altro e lo sforzo di mantenere quel rigore new wave (lo sfondo grigio dell’album d’esordio non lasciava spazio ad equivoci di palette) nel calo di intransigenza a cui la routine condanna anche le persone più metodiche, non è davvero sostenibile.

Il fatto però è che la foto usata per la copertina di Bastard nasconde una realtà molto più tragica. È trascorso qualche giorno dal Natale 2019 quando Madison Velding-VanDam, l’inquietante voce dei The Wants, viene informato del ritrovamento del cadavere del padre nella sua roulotte in Michigan, a otto giorni dal decesso. Una macabra scoperta in cui lo scenario di oggetti accumulati, bottiglie di liquore vuote, contenitori di ossicodone e foto appese al frigo ricoperte di sporcizia, è diventato uno sfondo emotivo per la composizione di nuove canzoni. Un’esperienza che non poteva avere un’iconografia tristemente più adeguata e che, in musica, si è tradotta in un approccio la cui sintesi si colloca dalle parti di “meno forma e più sostanza”.

 

Nel frattempo, lungo il lustro che separa i due ellepì (la band newyorkese fa parte della generazione Covid, una delle tante costretta a mettere in stand-by il proprio progetto a causa della pandemia) la polistrumentista Yasmeen Night si è aggiunta al duo composto da Velding-VanDam e Jason Gates.

Il nuovo ingresso ha sicuramente contribuito a definire il suono della band, mai come oggi nervoso e graffiante grazie a una perfetta complementarietà tra matrice elettrica e suffisso elettronico. Un mix che paradossalmente, anziché rendere lo stile più raffinato, ne ha potenziato la componente ancestrale che fonda le sue radici nella no wave più elettronica e nel noise/industrial, ma senza mai precludersi una salutare fuga da queste macro-categorie per composizioni di più ampio respiro e serenità.

 

La band ha quindi dato continuità a tutti gli spunti che nel primo disco risultavano appena accennati, consolidandoli e capitalizzandoli come valore aggiunto del loro stile. Un’evoluzione che non è da poco e tutt’altro che garanzia di successo, considerata l’abbondanza di offerta di post-punk e la conseguente saturazione del mercato. Ma i The Wants, con il nuovo disco, riescono a fare la differenza: non solo sono originali, ma suonano in modo diverso da tutti gli altri, sfoggiando credibilità e sicurezza e una maturità non scontata per un gruppo tutto sommato ancora agli inizi. 

Un aspetto che, nelle tracce di Bastard, si percepisce soprattutto nella totale assenza di incertezze, ingenuità e trascuratezza dei dettagli. La sperimentazione di cui il trio newyorkese si fa paladina restituisce un’impressione tutt’altro che di improvvisazione, bensì di una verve artistica frutto di esperienza e consapevolezza delle proprie forze. Il disco si compone infatti di dodici canzoni scomode e forgiate orgogliosamente secondo tutti i loro marchi di fabbrica, pezzi che scorrono con freschezza e senza mai risultare ripetitivi.  

Non c’è un brano che lasci con l’impressione di essere un riempitivo, per intenderci, come invece le tracce strumentali “Ramp”, “Machine Room”, “Aluminium” , “Waiting Room” e “Voltage”, pensate per raffreddare l’atmosfera di Container. All’interno delle singole canzoni del nuovo disco si colgono trame compositive che tengono costantemente sulle spine e impongono un ascolto attento. In Bastard, un titolo che è più che un calzante epiteto, nessuno ti prende per mano, ti fa da guida, tantomeno ti accompagna all’uscita. Sobri e senza fronzoli, i The Wants professano pochi registri ma ne bilanciano perfettamente la presenza senza appesantire le dinamiche nelle strutture dei pezzi e mettendo in risalto, in ogni tratto, i loro punti di forza. 

 

Bastard si presenta con due brani che incarnano perfettamente il nuovo approccio dei The Wants. “Void Meets Concrete” è la band del futuro, un pezzo dal dubbio equilibrio e dall’improbabile beat che si snoda a singhiozzo con gli accenti tutti spostati. Un ritmo che non deve mandarvi in crisi. Provate a contarlo (io l’ho fatto per voi) e risulta un normalissimo 4/4 a 160 bpm. “Data Tumor” invece sono i The Wants come li conosciamo e in cui cercare e trovare lo stile che ha permesso loro di catturare l’attenzione del pubblico grazie a un fortunato mix di pop-no wave, il cui esempio in Container è più che eclatante nella hit “Fear My Society”. 

La tracklist di Bastard prosegue con una serie di brani dalle ben definite atmosfere gotiche. “87 Gas”, “Disposable Man” e “All Comes At Once”, con il loro cantato insolente, il perfetto equilibrio tra chitarre e sintetizzatori e un inconsueto drumming frutto della sovrapposizione tra pattern acustici e fill e ricami elettronici, rimanda ad atmosfere di band come Alien Sex Fiend e Bauhaus. Con “Too Tight” torniamo alla no wave di partenza, un brano che risalta per un’interessante apertura di tastiere e per il deciso finale in cui il ritmo prende il volo. Altrettanto spettrale “Explosions”, con il suo recitato teatrale, brano che ci spinge a immaginare la sua portata esplosiva e la resa degli stacchi finali trascinati dal synth dal vivo.

Ma è con la struggente melodia di “Cruel” che Madison Velding-VanDam ammorbidisce un po’ il suo tono, ci fa tirare un sospiro di sollievo e ci lascia un barlume di speranza. Sicuramente la traccia più ispirata e profonda del disco, insieme a “Lover Sister Mother”, brano che presenta più di un richiamo familiare, e “Feeling Alright”, composizione con originali parti di tastiere che si distinguono per l’encomiabile intreccio con la chitarra.

“No Need”, infine, è una perfetta canzone di arrivederci, una traccia che ci lascia con tantissimi interrogativi. Forse i The Wants vogliono avvisarci di qualcosa, con quel crescendo che sfocia in una coda rock, nel senso proprio del termine. Un riff punk stoner che ci accompagna fino alla stretta finale di una serie di stacchi quasi prog. 

Ed è così che Bastard si congeda come opera ambiziosa dalle ampie potenzialità, un concept con il quale la band di Velding-VanDam interpreta le paure di un’intera generazione dando voce e volto alle angosce personali, cantate con distacco e sarcasmo. La testimonianza più autorevole dell’evoluzione di un genere, che nella narrazione dei The Wants incarna la perfetta colonna sonora dell’imminente estinzione della nostra società.