Cerca

logo
Banner 2
SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/11/2025
Degustazione Verticale
Baustelle
Tutta la musica dei Baustelle, disco dopo disco, alla ricerca delle emozioni, delle suggestioni e del gusto che il tempo ha arricchito, valorizzato o cambiato. Come quando si degustano le diverse annate della stessa etichetta di vino in una degustazione verticale, qui proviamo a fare lo stesso gioco con i dischi, riascoltandoli e mettendoli in ordine crescente dal meno convincente al migliore.

Tutta la musica dei Baustelle, disco dopo disco, alla ricerca delle emozioni, delle suggestioni e del gusto che il tempo ha arricchito, valorizzato o cambiato. Come quando si degustano le diverse annate della stessa etichetta di vino in una degustazione verticale, qui proviamo a fare lo stesso gioco con i dischi, riascoltandoli e mettendoli in ordine crescente dal meno convincente al migliore.

 

 

La musica dei Baustelle ci accompagna da 25 anni. E anche se a tratti “è triste, dark e depressiva”, aiuta a tirarci su. A ogni nuova uscita Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, pur rimanendo fedeli a stile e tematiche riconoscibili, espandono la mappa del loro mondo, portandoci a esplorare territori dove scopriamo atmosfere differenti e nuove emozioni. Insomma, ogni nuova uscita, un viaggio nuovo.

Il 2025 ha visto l’arrivo del loro album El Galactico, il primo festival estivo organizzato direttamente da loro e la consacrazione giunta col Premio Tenco alla Carriera. In vista delle due date nei palazzetti che chiuderanno il loro anno in musica, la degustazione verticale comincia proprio con i Baustelle, 

 

 

10) L’Amore e La Violenza Vol. 2

Non tutti i Kid A possono essere seguiti da un Amnesiac, e anche se questo Volume 2 non è esattamente frutto delle stesse sessioni del suo fratello maggiore ed esce a un anno di distanza dal primo (nel gennaio 2018), la sostanza stilistica dei dischi è associabile. In questo secondo episodio, tuttavia, mancano le canzoni che lasciano il segno e che elevavano il predecessore a un livello superiore. Sembrerebbe non mancare nulla dei Baustelle che tornano a un pop “osceno” (Bianconi dixit), distaccandosi dalle ambizioni delle produzioni di poco precedenti, ma appunto è il confronto col Volume 1 a far sembrare questo album più piatto, con pochi picchi.

 

9) I Mistici dell’Occidente

I Mistici dell’Occidente ha la sventura di venire pubblicato (nel marzo 2010) dopo Amen e La Malavita, due album che avevano scolpito nell’immaginario di un pubblico più vasto la poetica e lo stile dei Baustelle. O per meglio dire, lo stile a cui i Baustelle avevano abituato il pubblico fino a quel momento. L’arrivo di questo disco, con la copertina che annuncia importanti suggestioni (non richiama forse Sgt. Pepper... ?), spariglia le carte. Ha il pregio di proporre il lavoro che una band deve avere il coraggio di realizzare quando sente di essere arrivata all’apice, cercando di allontanarsi dalla propria formula consolidata, ma il disco risulta purtroppo sottotono in alcuni episodi, sensazione che si conferma dopo il passaggio degli anni.

Umbratile e autunnale per la maggior parte degli episodi, varia da temi morriconiani, a incursioni moderatamente pop, a richiami (ovviamente) misticheggianti, senza che il senso pervasivo di malinconia e il nostalgismo trovino uno scarto che sorprenda o una scossa imprevista che cambi le carte in tavola, come spesso successo in altri dischi.

Tracce migliori: “La canzone della rivoluzione” e “Gli spietati". Produzione affidata a Pat McCarthy (già dietro la consolle per REM e U2).

 

8) La moda del lento

Il sophomore album dei Baustelle, uscito nel maggio 2003, conferma le buone sensazioni dell’esordio. I toni seppia dei brani ben si accompagnano a pezzi in cui si agita un immaginario popolato da Brigitte Bardot, dove fanno capolino Jaguar e Gitanes. Forse il sound risente del passare degli anni, e con l’avanzare delle tracce il disco perde un po’ di brillantezza. Rimangono però memorabili “Love Affair”, “La canzone di Alain Delon” e –su tutte- “Arriva lo ye-yé”

 

7) Sussidiario Illustrato della Giovinezza

L’esordio assoluto, datato luglio 2000, s’impone al tempo all’attenzione di critica e pubblico grazie a sound e atmosfere retrò, ma risultando in realtà nel lungo periodo, ad ascolti successivi, molto più vario. Nei testi si ravvisa un ingrediente che ritornerà e che caratterizza ogni episodio della produzione dei Baustelle: la rara capacità di scandagliare temi e sensibilità giovanilisti e riuscire sempre credibili, come se il gruppo fosse capace di immedesimarsi nella contemporaneità di qualsiasi epoca con lo spirito dei vent’anni (o meno). Tra i brani spiccano “Gomma”, “L’Estate dell’83” e “La Canzone del Riformatorio”.

 

 

 

 

6) L’Amore e la Violenza

È il disco che rappresenta il ritorno alle sonorità pop dopo le escursioni sui livelli di musica più complessi e ambiziosi de I Mistici dell’Occidente e (soprattutto) Fantasma. D’altronde è proprio Bianconi a definire il disco come “oscenamente pop”, motivando l’apparente abbandono di certi sentieri sperimentali con la constatazione che “spingere i confini delle possibilità sinfoniche ci avrebbe portato verso la dissonanza”. Tastiere e campionamenti di batteria tornano a riempire le canzoni, sostituendo le parti orchestrali che abbondavano nel disco precedente.

Costruzioni ardite e citazioni raffinate permangono invece nei testi. Fin dai titoli si individuano: "Vangeli, musica sinfonica e lepidotteri", ma ci sono anche "Amanda Lear" e l’Eurofestival, che sono altrettanti pezzi trainanti. “L’Era dell’Acquario” nasconde dentro una spericolata suggestione un piccolo trattato sulla civiltà occidentale. “Basso e batteria” parte col giro di basso mutuato dalla sigla del Sandokan televisivo degli anni ’70. In concreto, un disco che contiene grandi pezzi e lascia tanto spazio per sperimentazioni e divertissement ben riusciti.

 

5) El Galactico

In questo disco uscito nell’ aprile del 2025 i Baustelle approfondiscono il lavoro di ricerca sonora appartenente alla fase già inaugurata con il predecessore Elvis, confermando la formazione allargata del precedente disco e aggiungendo Federico Nardelli (come produttore e strumentista addizionale) e una combo di archi e fiati. Il sound attinge alla California degli anni ’60, annunciato fin dai primi solchi dal jingle-jangle di chitarra che introduce la stralunata e provinciale “Pesaro”.

Non ingannino i suoni retrò, dato che invece i temi trattati sono attualissimi. Dilaniati da una realtà presente che viene definita come “orribile”, i Baustelle cercano di trovare uno squarcio di luce dentro e fuori di noi, alla ricerca di una felicità anche solo momentanea. È la sgomenta constatazione vissuta dalla protagonista dell’eponima “Filosofia di Moana”, è l’amara sensazione di trovarsi di fronte al baratro a causa di un mediocre presente politico in “Canzone verde, amore tossico”. “L’ Arte di lasciare Andare” è uno dei momenti più alti di tutta la loro discografia. “Lanzarote” è sicuramente il brano migliore dell’estate italiana del 2025, ma non c’è più nessun Festivalbar e nessun juke-box per farla diventare un tormentone.

 

4) Amen

Nel 2008 i Baustelle raggiungono la loro maturità, con un album ricco ed equilibrato, che mostra il vasto spettro espressivo della band, che mette d’accordo pubblico e palati raffinati (Disco di Platino e Targa Tenco). “Charlie fa surf” ottiene un consistente airplay anche su radio e programmi mainstream, con il suo incedere apparentemente scanzonato, che maschera una vicenda di quotidiano disagio. Il meglio però si nasconde in altre tracce.

“Il liberismo ha i giorni contati” è il manifesto critico della società contemporanea e dell’impossibilità di sfuggire alle sue spire. “Colombo” prosegue sullo stesso tema rievocando personaggi, atmosfere e cliché del celebre telefilm, in una gustosa e azzeccata allegoria di disperazione. Di altra disperazione, ricorrendo a personaggi e suggestioni dei primi anni ’80 nostrani, si parla in “Alfredo”. Un album che non stanca mai.

 

 

3) Fantasma

Continuando alla ricerca di espressività più complesse e ardite, dopo l’ambizioso I Mistici dell’Occidente, nel 2013 arriva Fantasma. Si tratta di un lavoro se possibile ancora più elaborato, in cui l’Orchestra Filarmonica di Breslavia (con gli arrangiamenti curati da Enrico Gabrielli) è una presenza importante nei 73 minuti del disco. Il suono è permeato di motivi classici e barocchi, con escursioni verso le colonne sonore e le sperimentazioni.

Il tema portante dell’opera è il tempo, che viene rappresentato in forme e prospettive diverse nei brani, ma viene evocato soprattutto nella sua cadenza inesorabile che porta alla fine dell’esistenza o di un ciclo di vita (il concetto ricorre sottoforma di morte, fine, oblio ed estinzione nei titoli di almeno una mezza dozzina di canzoni della scaletta). “La morte (non esiste più)” è una dichiarazione che può ingannare e che poi viene poi chiarita nella ricerca mistica elaborata ne “La Natura”, nel felice momento del disinganno di “Maya colprisce ancora”, nella distorsione che non ci consente di vedere oltre “L’orizzonte degli eventi”.

Riesce difficile individuare dei brani chiave nell’opera, che va gustata quasi come un concept e sicuramente non consigliata come primo ascolto del gruppo. Non è un disco d’approccio, è un disco di arrivo. Meglio far prima sedimentare nel nostro cuore altri album e poi provare con questo. Alla fine di tutto, ovviamente.

 

 

2) Elvis

Nell’aprile del 2023 i Baustelle pubblicano un nuovo disco dopo cinque anni di silenzio. Il ritorno al pop-rock dei due volumi de L’amore e la violenza aveva rappresentato una svolta rispetto alle precedenti uscite contrassegnate da un sound barocco e complesso, ma qui si cambia ancora. Bianconi, Bastreghi e Brasini ingrandiscono la formazione e portano a bordo Lorenzo Fornabaio (chitarra), Milo Scaglioni (basso), Giulia Formica/Julie Ant (batteria) e Alberto Bazoli (piano), più una nutrita sezione di fiati.

Il profondo rinnovamento incide anche sul sound e l’atmosfera del disco. Elvis racconta di personaggi in una fase difficile della vita o in caduta, facendo riferimento proprio al crepuscolo della carriera di Elvis, tragico e kitsch. Ciò che di grandioso possiamo apprezzare ascoltando il disco è che insieme a una ritrovata originalità in fase compositiva, esplode una varietà e una ricchezza nel sound che in un certo senso sorprendono.

Elvis è anche un viaggio nel rock americano che più si avvicina alle origini, con tracce di blues, soul e gospel che traspirano in “Betabloccanti cimiteriali blues”, “Gran Brianza lapdance...”, “Milano è la metafora dell’amore”. Chitarre, basso e batteria (spesso con un tocco di glam rock) tornano centrali nel tratteggiare l’ansia e la disperazione di vite alla ricerca di conferme e riconoscimento personale, mentre oltre il nostro privato quotidiano il mondo affronta sfide ben più gravose. Sono i temi presenti in “Contro il mondo” e in “Los Angeles” (dove il “distruggono/bombardano/invadono l’Ucraina” che ricorre nei ritornelli, definisce la distanza incommensurabile tra una tragedia vera e le ambizioni personali di individui comuni).

In un album che è un caleidoscopio di suoni che richiamano le varie sfaccettature del rock classico, tragedia e ironia convivono fino ad elevarsi in brani con profondi accenti poetici (“Il regno dei cieli”) e in un pezzo come “Andiamo ai rave”, che nasce dalla disperazione individuale e quasi diventa un anthem di protesta.

 

 

1) La malavita

Annunciato da un’eloquente copertina con una ragazza con la pistola languidamente appoggiata sulla fiancata di una Citröen DS, nel 2005 i Baustelle licenziano il loro terzo album (il primo con una major, l’ultimo che vede il contributo di Fabrizio Massara, che era nella band fin dagli albori) riuscendo a realizzare l’opera che meglio esprime il loro spirito e la loro poetica.

Ragazza, pistola, auto retrò: c’è veramente tutto per scomporre e ricomporre gli elementi costitutivi di un album di cui si può dividere in due metà anche il titolo (male e vita) e identificare la disperata protagonista de “La guerra è finita”, una disperazione diversa della teenager che dialoga col suo prof in “A vita bassa”, e ancora più diversa di quella de “I provinciali”.

Non c’è veramente traccia che non sia un potenziale manifesto per i Baustelle, e come si direbbe con il gergo di oggi, l’album è letteralmente un “No skip”, persino quando ci avventuriamo in tracce scabrose come “Sergio”. “Un romantico a Milano” ci appare quindi in mezzo al disco come un divertissement, una boccata d’ossigeno in un marasma in cui nessuna cupezza umana ci viene risparmiata. Il climax viene raggiunto verso la fine, con “Il nulla”. Vietato arrendersi, però. La vita si schiude sempre su un caffè di Parigi o sul porto di Amsterdam e basta un tramonto per emozionarsi.