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REVIEWSLE RECENSIONI
Belgian Hop(e)
The Nuv
2021  (Moquette Records / Mottow Soundz)
ALTERNATIVE ROCK ITALIANA
7/10
all REVIEWS
11/11/2021
The Nuv
Belgian Hop(e)
Belgian Hop(e) ha una copertina bellissima e un titolo che strizza l’occhio alla loro passione per la birra. Un terzo album che conferma quanto i Nuv siano uno dei pochi gruppi in Italia con una proposta fortemente esportabile, fatta di riff assassini, ritmi coinvolgenti, ritornelli di facile presa.

I milanesi The Nuv sono uno di quei gruppi (pochi) all’interno del nostro paese con una proposta fortemente esportabile e difatti in questi anni hanno calcato diversi palchi esteri, sia europei sia americani. Belgian Hop(e), che arriva a cinque anni di distanza da The Nuv Sucks (No, Really), ha una copertina bellissima ed evocativa ed un titolo che, immagino, strizza l’occhio sia alla loro passione per la birra (le loro composizioni vengono simpaticamente definite come “disinibiti pensieri alla terza pinta”) sia al loro deal con l’etichetta belga Mottow Soundz, che ha licenziato il lavoro in collaborazione con la nostrana Moquette Records.

Registrato interamente tra la provincia di Lecco e quella di Como, al Clocwork Studio di Cernusco Lombardone e al SPVN Studio di Guanzate, con la produzione di Stefano Santi, il terzo capitolo nella discografia del trio ha indubbiamente una marcia in più e ci consegna un act che, al di là di un fisiologico tributo alle proprie influenze, sa bene come si scrivono belle canzoni, attraverso una bilanciata combinazione di riff assassini, ritmi coinvolgenti, ritornelli di facile presa e condendo il tutto con una potenza ed una pulizia sonora davvero invidiabili.

Siamo nel campo del rock alternativo e nonostante loro citino tra le influenze principali Queens of the Stone Age, Foo Fighters, Deus, Nine Inch Nails e Soulwax, quel che sentiamo concretamente in queste undici tracce è frutto di una visione sintetica e di una rielaborazione che mette in primo piano il discorso dell’impatto sonoro e meno quello di un’immediata riconoscibilità dei riferimenti.

Emerge anche una certa varietà dello spettro stilistico, che parte dall’iniziale “Check Out”, un breve Blues strascicato e saturo di distorsione, con un certo feeling Desert Rock che ritroveremo a più riprese disseminato nell’intero lavoro, ma che poi prosegue lungo altre piste, la chitarra elettrica come ingrediente principale ma senza disdegnare una qualche spruzzata di elettronica. “The Wolf of Green Street” è una cavalcata anthemica con un ritornello che è tra le cose migliori del disco; “Clockhurst” e “Pulp!” sono dei rocciosi mid tempo che vivono sull’interazione della sezione ritmica di Dante Brin (basso) e Andrea Caristo, con la chitarra di Demis Maloy Tripodi (che è anche il responsabile delle vocals), sempre molto lucida nella costruzione dei riff. “Gold Digger” è un altro episodio irresistibile, col suo ritmo saltellante, mentre “Spillover” (il primo singolo, dal titolo che è tutto un programma, visto che è uscita in piena pandemia) è più scura ed ha un andamento a tratti sinistro, grazie alla collaborazione coi Romano Nervoso, collettivo italo-belga anch’esso affiliato alla Mottow Soundz, con cui i The Nuv sono amici da tempo. “Plasma” è un altro bel brano, che ha un retrogusto Sludge tipico delle prime cose degli Alice in Chains; “Supervisor” invece è più ruffiana e ammiccante, sembra guardare dalle parti di Strokes e Franz Ferdinand, mentre “Red Carpet” ha questo riff un po’ Mad Chester che mi ha ricordato i Kasabian degli esordi (e niente, avevo detto il contrario ma sono caduto anch’io nella trappola del “trova le influenze”).

Chiusura alquanto particolare poi con “Buena Suerte”, che al di là dell’utilizzo dello spagnolo (non è comunque la prima volta per loro) è una ballata che si muove a metà tra suggestioni desertiche e grandeur epica in stile Western, un brano che parla (sembra) di commiato e che è quindi adatto a salutare l’ascoltatore, oltre che a mostrargli un lato più melodico rimasto fino a quel momento inedito.

Gran bel disco questo Belgian Hop(e), una bella occasione per rendersi conto che in Italia, quando si parla di rock, non si è per forza obbligati a nominare i Måneskin.