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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/07/2025
Live Report
Beth Gibbons, 11/07/2025, Triennale Milano
Meritatissimo sold-out per Beth Gibbons alla Triennale di Milano, nell’unica data italiana del suo tour. Un concerto breve ma intenso, dalla forte portata emotiva per nostalgici e non. (servizio fotografico a cura di Domenico Aprile)

Pochi artisti al mondo possono concedersi il lusso di tornare sul palco per i bis e suonare “Roads” e “Glory Box”, due tra i più iconici brani della storia della musica. Ma è riduttivo sostenere che la scaletta dell’unica data italiana live di Beth Gibbons abbia raggiunto l’apice del pathos solo con quei due pezzi da novanta (e dei novanta), sbilanciando la forte portata emotiva di un concerto fino a quel punto estremamente toccante, ma per registri la cui definizione non è così scontata e che richiederebbero più di una riflessione.

Certo, si tratta di due canzoni che giocano un altro campionato rispetto a Lives Outgrown, il suo straordinario ritorno sulle scene dello scorso anno, ma che risulterebbero fuori luogo in qualunque setlist. E chissà quanti, tra il pubblico del sold-out milanese di ieri sera, erano lì per la cantautrice che ha raccolto dieci anni di vita musicale in uno dei dischi più raffinati del 2024, oppure per la voce dei Portishead. Ma si tratta di una chiave di lettura ingannevole, l’inevitabile equivoco in cui cadiamo tutti noi che ascoltiamo musica voltando sempre lo sguardo all’indietro, vittime dell’incantesimo del suo potere evocativo. Nella musica - mi verrebbe da dire nell’arte in generale, ma non ho sufficiente competenza - non esiste un prima e un dopo. C’è solo un durante, un presente che si stempera lungo le esecuzioni, un piacere permanente del qui e ora che permette di assaporare, nella pienezza del suo significato, un’esperienza live come quella di Beth Gibbons in tempo reale e senza tanti rimpianti.

Al pubblico decisamente attempato e raccolto con una devozione fuori dal comune (e una gentilezza d'altri tempi) sotto il palco dei Giardini della Triennale non servono nemmeno gli smartphone per immortalare il meglio di ciò di cui è testimone. Le nuove composizioni, quelle meno nuove e quelle che risalgono a una notte dei tempi struggente come è stata solo la stagione del trip-hop, in quel decennio straordinario e irripetibile in cui ha preso forma (e che qualcuno ha avuto il privilegio di vivere in diretta) sono un tutt’uno, questa sera. Ed solo in quest’ottica che le tracce più significative di una delle band più influenti della fine del secolo scorso perdono il loro status di appartenenza. Suonate in queste versioni, con la stessa inusuale strumentazione che ha reso tangibili i brani del primo vero e proprio lavoro solista di Beth Gibbons, assumono un significato più ampio. Un culmine, certo, ma in cui il trasporto indotto dalle canzoni che, lungo il concerto, hanno contribuito alla sua resa, alla fine risulterà indispensabile, se non propedeutico, all’efficacia di una scaletta, nota dopo nota.

Ma provate a isolare uno scatto fotografico della voce dei Portishead per ritagliarlo e sovrapporlo a quello di Beth Gibbons oggi, in tour con il suo repertorio al contagocce. Il tempo si è davvero fermato, e quella figura carica di intensità e affanni la vedrete sempre uguale, un’antidiva in abiti ordinari avvolta in un’aura dalle tinte cupe, abbarbicata al microfono, il volto semicoperto dal ciuffo di capelli e gli occhi socchiusi a vedere cose che noi, rivolti dalla parte opposta al suo sguardo, riusciamo a immaginare solo grazie alla portata suggestiva della sua voce.

Del resto, non è un caso che i biglietti della sua unica apparizione dalle nostre parti fossero andati esauriti da tempo. Beth Gibbons si presenta alle dieci spaccate, si libera dei sandali e si mette scalza al microfono in un palco avvolto da un denso fumo artificiale che, per tutta la durata del live, compenserà le sigarette che non ha fumato cantando e darà luogo a effetti suggestivi con le luci di scena, alle spalle dei musicisti.

Insieme a lei, una band di sette elementi che, al netto del tastierista e della batterista - dietro a un set inusuale in grado di rispondere a una varietà timbrica non indifferente - è composta da polistrumentisti. Basso talvolta suonato con l’archetto, chitarre acustiche ed elettriche (a partire dalla Telecaster con wah wah per il solo filologicamente ineccepibile di “Glory Box”), viola e violino costantemente presenti sia in ricami melodici che in sezioni strutturate e, a sovrastare il tutto, un pittoresco sciamano che si alterna tra percussioni di ogni genere e suggestivi bordoni di sax basso.

Com’era facile intuire, il programma prevede solo le dieci tracce di Lives Outgrown in una successione leggermente differente rispetto all’ordine del disco, mantenendo l’incipit di "Tell Me Who You Are Today" e chiudendo, dopo i bis, con “Reaching Out”. In aggiunta, oltre alle due hit tratte da Dummy, trovano spazio due composizioni presenti in Out Of Season (l’album scritto a quattro mani con Paul Webb dei Talk Talk), “Mysteries” e “Tom the Model”, per un totale di quattordici pezzi. L’acustica, nel complesso, è soddisfacente ma non ineccepibile. D’altronde dev’essere tutt’altro che semplice amplificare una strumentazione così eterogenea.

Tra un brano e l’altro, Beth Gibbons volta le spalle al pubblico abbandonando i suoi fan in un silenzio religioso e, considerata la folla presente, così assordante da risultare surreale. Si lascia andare a un paio di ringraziamenti in un italiano stentatissimo misto al francese. Un finto distacco che smentisce però a fine serata, quando scende dal palcoscenico e si concede a lungo al caldo abbraccio delle prime file.

Negli inchini finali, a godersi gli applausi in fila in mezzo ai suoi musicisti come una pièce teatrale qualunque, ci lascia però a un rigurgito della stessa malinconia che aveva suscitato in noi poco prima, implorando, per l’ennesima volta e con la stessa classe di sempre, un confronto con un interlocutore invisibile, in un ritornello che ha fatto la storia. Ma il concerto è finito e, mai come questa volta, it's time to move over.

(servizio fotografico a cura di Domenico Aprile)