Quando la tradizione arcaica contadina della Campania assorbe stili musicali contemporanei, giunge a incrociarsi con la world music, senza dimenticare di tuffarsi nel Mediterraneo, con i suoi cieli azzurri ed orizzonti speranzosi. Inoltre dentro le canzoni in dialetto di Black Tarantella, accanto ai vari ritratti di vita, al desiderio di riscatto, ci sono anche disperazione e travaglio, comunanza e fratellanza nei confronti degli oppressi e un’empatia per gli emarginati.
Enzo Avitabile è così da sempre. Principe della contaminazione (termine che, in realtà, per l’incredibile percorso tracciato, a lui sta stretto), personaggio non personaggio, ha fatto parlare la sua musica costantemente, senza mai inserirvi il tipico egocentrismo da artista. Dalla cantina dell’infanzia nel quartiere di Marianella, a Napoli, alle collaborazioni con gli amici Pino Daniele ed Edoardo Bennato, fino ai successi pop, alla composizione di opere per quartetti e orchestre da camera, agli smisurati progetti artistici senza confini. Vincitore di due premi Tenco (uno proprio per Black Tarantella), due David di Donatello, tre Nastri d’argento e un Globo d’oro, dall1982 ad oggi ha inciso una ventina di album (da segnalare la recente uscita, Il treno dell’anima, con special guests sorprendenti), cantato in centinaia di concerti. Ma vi ha messo ovunque la stessa umiltà, l’identica voglia di imparare e conoscere, e pure questo incredibile e affascinante disco, pubblicato nel 2012, dieci anni orsono, profuma della sua sincerità, di una spiritualità molto forte, paradossalmente accentuata da una mancanza di sacralità e solennità, in favore di un forte senso di appartenenza, di fratellanza universale.
Reduce dal precedente Napoletana (2009), in cui puntava al recupero dell’antico lirismo napoletano, Avitabile confeziona un lavoro che trasforma il meticciato sonoro in un tratto distintivo, coinvolgendo undici celebri musicisti in altrettanti duetti, avvalendosi di diversi strumentisti provenienti da più paesi. Solo due brani, i potenti e taglienti "A nnomme ‘e Dio" e "Nun vulimm’ ‘a luna" non presentano ospiti, ma in tutti il punto di partenza è la tarantella, alludendo così sia alla forma musicale tipica del sud sia al modo di dire campano traducibile come “vero casino”: sincopato come il ritmo del ballo tipico, l’animo del napoletano turbato danza veloce. E dunque, davanti ad un problema di dimensioni enormi, l’espressione “Mamma mia che tarantella!” sembra perfettamente adeguata.
“Negli anni Ottanta cantavo in italiano perché Pino Daniele cantava in napoletano. In seguito Pino scrisse in italiano e io in napoletano. Dopo i rispettivi viaggi ci siamo ricongiunti in È ancora tiempo, un canto a due voci”.
E' ancora tiempo,
Dint' 'o core.
E' ancora tiempo,
Amaro e doce, 'o sient'.
E' ancora tiempo,
Russ' 'e sera.
E' ancora tiempo.
“È ancora tempo, dentro al cuore. È ancora tempo, amaro e dolce, lo senti. È ancora tempo, rosso di sera”.
La voce e la chitarra nostalgica di Pino Daniele si innestano perfettamente nell’opener "È ancora tiempo", splendida ballata “visionaria” che immortala con sentimento la speranza che si possa ancora rimediare a tutte le ingiustizie con la bontà. Il ruggito di "Raiz" sconvolge beatamente la seguente "Aizamm’ na mana", grido di libertà che attinge musicalmente dalla tradizione popolare per poi virare verso territori e ritmi africani. Il pezzo colpisce per la ricerca di un suono inedito, non solamente originale, ma vitale ed essenziale, demolendo ogni sovrastruttura di stampo mainstream ed ogni moda.
"Gerardo Nuvola ‘e povere" ricorda alcune composizioni degli Avion Travel, con i quali il sassofonista campano è strettamente legato da un profondo legame di amicizia; si rivela memorabile per la comparsata in dialetto emiliano di Guccini che, al di là di un’iniziale stupore da parte dell’ascoltatore, si adatta perfettamente al contesto e all’atmosfera della canzone. Si narra la storia di un uomo del Sud che si trasferisce a Modena per lavorare come muratore, trovando però la morte in un cantiere. Il cantautore canta le sofferenze degli ultimi, che si evidenziano anche nella struggente "Elì Elì" insieme agli artisti spagnoli Enrique & Soleá Morente e in quella forte invettiva, che si potrebbe annoverare fra le protest song, intitolata "Nun è giusto", con il cantante algerino Idir ad accompagnare mirabilmente. Tuttavia emergono solidarietà e desiderio di riscatto nella bellissima "Mane e mane", manifesto dell’umanesimo di Avitabile, brano già pubblicato precedentemente, con ospite Mory Kanté in "O Issa" (1999). Ora vede la partecipazione dell’eclettico autore e polistrumentista mauritano Daby Touré, ed esplode in tutta la sua implorazione di pace: “Tutto il mondo sa che solamente gli uomini si riuniscono per darsi la mano. Tutto il mondo sa che gli uomini sono capaci di riunirsi per camminare sulla strada della pace”, sono parole pesanti che rimbombano pesantemente sulle teste dei capi di stato ancor maggiormente nei giorni nostri, in un ambiente avvelenato da guerre, manicheismo e pensiero unico.
La peculiarità dell’approccio sonoro così originale e pieno di sentimento è sicuramente quella di attingere da un’arte antica e creare un linguaggio musicale ricercato e innovativo, utilizzando qualsiasi tipo di strumentazione. Così per buona parte dell’album imperversa una formidabile sezione fiati grazie a un ensemble chiamato "La Scorribanda", che incorpora sassofoni, trombe, un flicorno, un trombone e un basso tuba e si distinguono i Bottari, gruppo musicale campano che suona botti, tini e falci a mo’ di percussioni. E Avitabile, uno dei fondatori del neapolitan power, oltre a dare l’impronta al progetto con la propria voce lussureggiante, subito riconoscibile, spesso è mattatore con il sopranino sax, il tenor sax e l’arpino, quest’ultimo di sua recente invenzione. In "Mai cchiù" sceglie poi di giocare in casa, invitando a cantare i conterranei "Co’ Sang" di Luchè e Ntò, accomunati da una missione irrinunciabile quale è l’attenzione agli ultimi, ai diseredati, ai travolti da tutte le disgrazie, senza possibilità di fraintendimento.
"Suonn’ a pastell’" rappresenta uno degli highlights di Black Tarantella, fonde l’essenza partenopea a quella irlandese di Bob Geldof e dipinge con rara intensità un triste quadretto di morte a causa della guerra, dell’odio che spinge l’uomo a uccidere i suoi eguali. Eppure basta “una briciola d’amore” a consentire di tendere irriducibili verso la speranza: “E saranno gli occhi a dare luce alle parole. In queste acque mai sicure, una briciola d’amore.” In "No è no" si riprende il tema dell’ingiustizia e della forza che ci vuole a ribellarvisi, a dire di no a tanto scempio, e qui il compare Franco Battiato da buon siciliano illumina con il suo dialetto e la sua poesia.
Si avvicina il finale di un album che non stanca mai, con una forza immane costruita canzone su canzone, così eterogeneo eppure così coeso, intenso, sincero, privo di ipocrisia. Proprio per questo motivo David Crosby non ci ha pensato nemmeno un attimo e si è immedesimato in questa invocazione tendente a un’accezione universale, con la figura della Madonna che oltrepassa il significato religioso per manifestarsi a tutti come simbolo di riscatto e redenzione, in uno dei luoghi della terra più sfruttato e teatro di ingiustizie, sfruttamento e indifferenza: ”E la Madonna apparve in Africa e attraversò l’inferno e gli occhi di quelli che non l’amano, l’orrore, le guerre, il buio, il vento e la marea, il sangue e la carne bruciata sotto ai piedi…Un milione di occhi si alzarono riempiti della speranza, carichi di speranza.” L’intensità e la profondità presenti rendono "E ‘a Maronn’ accumparett’ in Africa" il brano più toccante della raccolta. Una canzone che rispecchia i temi tanto cari all’artista americano, il quale con umiltà si mette in gioco e contribuisce con liriche e interpretazione a rendere indimenticabile tale duetto. Le loro voci si rincorrono e si intrecciano per tutto il motivo fino a fondersi nella parte finale, per poi terminare in una dissolvenza a cui non si vorrebbe mai arrivare.
Lasciata in chiusura, "Soul Express" con il “maestro” Mauro Pagani (suoi i magici “ricami” di mandola e bouzouki) e il maliano, “re” della kora, Toumani Diabaté, ha un alto valore simbolico; difatti narra, attraverso un coinvolgente groove, l’esistenza di un treno, nella cui bandiera è rappresentata una nota, che abbatte ogni confine tra le terre e i generi per trasportare verso il futuro le anime, finalmente e definitivamente insieme. Ed è anche la chiusura di un cerchio, in quanto è una composizione ripescata e reinterpretata ventisei anni dopo la prima pubblicazione, avvenuta all’interno di S.O.S. Brothers, uno degli album più vicini come tematiche a Black Tarantella.
La Musica che unisce, la Musica che è valore, anima, cuore pulsante dell’esistenza e vita stessa. La Musica che è altruismo ed elimina ogni barriera, questo è il manifesto di Enzo Avitabile, che non smetterà mai di lottare per quello in cui crede, un mondo più giusto, in cui si assottiglino le disparità, perché citando ancora la sua bellissima "Mane e mane", “ È quando gli uomini e le donne conoscono fame e miseria che iniziano le guerre”.
“La crisi economica porta anche a quella dei valori, ma la parte spirituale non si esaurisce. Il bene continua ad esistere: non potrebbe essere altrimenti: se ti svegli ogni mattina, ringrazi per essere in vita e se lo fai devi andare avanti”. (Enzo Avitabile)