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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
10/03/2023
Live Report
Blackberry Smoke, 07/03/2023, Alcatraz, Milano
Quello dei Blackberry Smoke è stato un concerto impeccabile, al limite della perfezione, pienamente in linea con lo standard qualitativo da sempre offerto dai nostri.

C’era effettivamente ancora un concerto da recuperare causa pandemia. I Blackberry Smoke sarebbero dovuti venire a promuovere l’ultimo You Hear Georgia nel 2021, ma la situazione incerta ha fatto sì che si rinviasse ad oggi, dopo un ulteriore tentativo di recuperare la data a febbraio dello scorso anno. La band di Atlanta nel nostro paese è sempre stata di casa, è lo stesso Charlie Starr a ricordare dal palco che il primo concerto lo hanno tenuto nel 2009 ed anche questa sera l’Alcatraz è bello pieno. Si è andati anzi decisamente a crescere perché se nel 2018, l’ultima volta che sono passati, quello stesso locale era stato allestito a capienza ridotta, a questo giro si suona sul palco principale, col colpo d’occhio che dice di una situazione molto vicina al sold out.

 

In apertura ci sono i Red Southall Band, anche loro con l’ultimo disco (For The Birds, il terzo in carriera) uscito nel 2021. Vengono dall’Oklahoma e, a giudicare dai numeri degli stream, sono già parecchio noti, almeno oltreoceano (io personalmente non li conoscevo).

Per quanto mi riguarda, la loro esibizione non riesce a coinvolgermi. Il loro è un Rock piuttosto standard, fortemente venato di Blues, che viene però declinato attraverso un repertorio anonimo e privo di mordente. Le canzoni non hanno nulla che possa farle arrivare all’ascoltatore, le esecuzioni sono mosce, prive di dinamica e la prova vocale, al di là dei volumi, risulta insufficiente. Ci provano, fanno il loro, soprattutto nel dialogo tra le varie parti soliste, ma il tutto scorre via senza lasciare traccia. Anche la presenza scenica non ha giocato a loro favore: sul palco sono sembrati insicuri e impacciati, hanno svolto il compito in maniera prettamente scolastica, senza metterci troppo del loro. Probabilmente a sentirli su disco si ricaverebbe un’altra impressione, tuttavia sembra difficile che possa trovare la voglia di farlo.

 

Quando salgono sul palco gli headliner la musica cambia completamente: bastano appena pochi accordi della nuova e robusta “All Over the Road”, per capire che saper suonare dal vivo non è un optional e che quando si incontra una band che sa farlo davvero è impossibile non riconoscerlo immediatamente.

Quel che ha sempre colpito dei Blackberry Smoke è la continuità: suonano insieme da più di vent’anni, senza mai un cambio di line up, sempre loro cinque (una rarità assoluta nella storia della musica) e anche dal punto di vista della produzione artistica sono esenti da ogni critica: sette album tra 2003 e 2021 e mai un passo falso, nonostante sia fisiologico che ogni fan abbia i suoi preferiti.

Se i Black Crowes sono ormai una band del passato (nonostante si vociferi della possibile uscita di un nuovo disco), se i Lynyrd Skynyrd con la scomparsa di Gary Rossington hanno fisicamente cessato di esistere, si può dire che la bandiera di un certo Rock sudista sia salda nelle loro mani, oltre che in quelle dei Gov’t Mule, sebbene questi ultimi siano in generale più vari nella proposta e maggiormente devoti al Blues.

“All Over the Road” è anche l’occasione per rendersi conto che dietro le pelli, contrariamente ad ogni previsione, siede sempre Brit Turner. Il batterista era stato operato nei mesi scorsi per un tumore al cervello e, sebbene non fosse mai stato annunciato che non sarebbe stato presente, nessuno credeva veramente che si sarebbe ripreso così in fretta. Il sollievo e la gioia dei presenti nel vederlo tranquillo al suo posto si è manifestato al momento della presentazione di rito dei vari componenti, dato che il suo nome è stato di gran lunga quello che ha ricevuto l’applauso più lungo ed intenso, a tratti commosso. Il suo stato di forma è peraltro sorprendente ed è un autentico godimento vederlo suonare, sempre molto compassato ma in grado con un semplice tocco di dare ai brani un groove e un tiro incredibili.

Per il resto, si è trattato di un concerto impeccabile, al limite della perfezione, pienamente in linea con lo standard qualitativo da sempre offerto dai nostri.

Charlie Starr è protagonista e mattatore assoluto, prova vocale superlativa e suono di chitarra unico, copre le parti ritmiche e quelle soliste con grande naturalezza e, senza nulla togliere agli altri, non è un’assurdità affermare che da solo tenga in piedi l’intero show.

 

Sul palco sono in sette (compresi i due membri aggiunti Paul Jackson alla chitarra e Preston Holcomb alle percussioni, che suonano con loro dal 2018) e l’affiatamento è palese, suonano alla grande e mostrano di divertirsi tantissimo: si scambiano sorrisi in continuazione e guardano spesso in direzione delle prime file, mostrando di apprezzare l’entusiastica partecipazione del pubblico. Potrà sembrare banale ma non lo è affatto, soprattutto per una band che è in giro da parecchio tempo e che potrebbe essere tentata di ridurre il tutto a routine. I Blackberry Smoke, al contrario, sembrano assolutamente grati del mestiere che fanno e l’entusiasmo che dimostrano contribuisce non di poco alla riuscita del concerto, che vive di una continua interazione tra musicisti e pubblico.

La scaletta cambia ogni sera ma rimane fissa nelle fondamenta, quelle che comprendono cartucce pesanti come “Six Ways to Sunday” (brano di festa e celebrazione collettiva, non a caso arrivato quasi subito), “Pretty Little Lie”, “Good One Comin’ On” e “Run Away From It All”, con le loro melodie ariose, la simil Country “One Horse Town”, le bordate Hard di “Waitin’ for the Thunder” e “Let it Burn”, nonché una “Sleeping Dogs” che diviene il punto di partenza per una lunga Jam (l’unica, di fatto, all’interno di un concerto molto compatto e incentrato sulle canzoni) che ad un certo punto cita anche “Don’t Come Around Here No More” di Tom Petty.

I brani di You Hear Georgia, nonostante la stranissima assenza della title track, occupano un certo spazio, probabilmente maggiore rispetto alle ultime date: in astratto lo avrei considerato un problema (per quanto mi riguarda, si tratta del loro disco più debole) ma in sede live gli episodi ne escono decisamente migliorati, soprattutto “Hey Delilah”, intrisa di atmosfere Southern, la cavalcata anthemica di “Ain’t the Same” e la bordata Heavy Blues di “All Rise Again” realizzata assieme a Warren Haynes e che infatti viene a lui dedicata; tra i momenti migliori del concerto, col fantasma dei Gov’t Mule a far capolino soprattutto nella gestione delle parti di tastiera (tra parentesi, Brandon Still rimane apparentemente defilato, nell’economia di un suono incentrato sulle chitarre, ma ad un ascolto più attento si comprende che il suo ruolo è fondamentale).

Tra le cose che invece non si sentono spessissimo, fanno piacere i ripescaggi di due vecchi brani come “Restless”, eseguito con potenza non comune,  e “Living in the Song”, ballata semiacustica dal sapore Folk, mentre abbastanza inattesa, almeno per il sottoscritto, è stata “Flesh and Bone”, un mid tempo scuro e massiccio, che è stato suonato come primo bis.

Da segnalare anche una sempre emozionante “The Whipporwill”, resa speciale da un bel singalong del pubblico e da una raffinata coda chitarristica; molto bella anche “Old Scarecrow”, indubbiamente una delle migliori dell’ultimo album, che il gruppo ha voluto qui suonare in memoria di Gary Rossington.

A chiudere il tutto, dopo due ore di assoluta goduria, ci ha pensato “Ain’t Much Left of Me”, spesso suonata come traccia finale, ulteriore occasione per valorizzare un altro talento di questa band in sede live, vale a dire l’impasto vocale col chitarrista Paul Jackson e il bassista Richard Turner perfetti nell’affiancare Starr sulle varie armonie.

La cosa positiva è che in Italia ci vengono spesso. Speriamo non debbano passare altri quattro anni per vederli di nuovo.