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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
01/05/2018
U2
Bolliti e lessati #2
Seconda puntata di Bolliti e Lessati dedicata questa volta agli U2, la più grande band irlandese dopo Dubliners, Hothouse Flowers e Virgin Prunes. (Questa naturalmente è una battuta. O forse no.)
di Alessandro Menabue

È bene puntualizzarlo subito, a scanso di equivoci: la questione non è l'allegra gestione dei propri beni finanziari da parte di Bono, nonostante diverse polemiche più o meno recenti sembrino cozzare spiacevolmente con il suo ultradecennale - e da sempre enfatizzato - impegno umanitario. Quella è una faccenda che nulla ha da spartire con le vicende artistiche del gruppo, tocca la sua coscienza ed il suo personale concetto di coerenza. Il problema è squisitamente musicale. Oggi gli U2 non hanno nulla da dimostrare, hanno scritto uno dei capitoli più appassionanti della storia del rock tra gli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, inanellando un'inaudita sequenza di capolavori: "War" (1983), "The Unforgettable Fire" (1984), "The Joshua Tree" (1987), "Rattle And Hum" (1988), "Achtung Baby" (1991). Nulla da dimostrare, si diceva, e ben poco da dire da almeno vent'anni, volendo considerare - probabilmente con un eccesso di benevolenza - "Pop" del 1997 un esperimento discutibile ma in parte riuscito. Da allora, almeno per chi ama la band pur mantenendo dritta la barra dell'obiettività, ogni loro uscita discografica è risultata il più delle volte straziante, se comparata ad un così luminoso passato: dischi impalpabili, talvolta decisamente brutti. Un collasso creativo che i poveri Brian Eno, Daniel Lanois e Steve Lillywhite (produttori storici del gruppo, col quale hanno continuato a lavorare fino al 2009) sono riusciti parzialmente a dissimulare grazie alla loro esperienza in studio di registrazione.

Negli ultimi anni le aspettative riguardo alla qualità dei loro lavori si sono talmente abbassate che in occasione dell'uscita di "Songs of Experience" - il loro ultimo lavoro - in tanti, tra pubblico e critica, lo hanno valutato come un ottimo disco. Se lo avessero pubblicato i Keane lo si potrebbe in effetti considerare un grande album; per gli U2, anche questi U2, si tratta semplicemente del minimo sindacale. Forse, per un discorso di rispetto verso la loro stessa carriera, Bono e soci dovrebbero domandarsi se ha senso andare avanti come grigi amministratori di un meraviglioso passato che, almeno per il loro vasto pubblico, ha probabilmente una valenza un pelo superiore a quella del loro pur ragguardevole patrimonio finanziario. Restano - almeno fino a quando Bono non gronda autocompiacimento - una grande live band: dovrebbero limitarsi a quello. È già più di tanto.