Jesse Fink nasce a Londra nel 1973 ma è vissuto in Australia e di certo si è invaghito del rock che girava da quelle parti; all’inizio è stato un giornalista sportivo che, nel tempo, ha deciso di diventare un romanziere peculiare, che prende storie reali per indagarci sopra e reinventarle, scavando in quelle zone d’ombra che ogni narrazione ha, soprattutto se già intrisa di leggendaria ambiguità.
Certamente il signor Fink ama gli AC/DC e ha già dedicato un libro ai fratelli Young e alla loro ascesa spettacolare nel mondo musicale (The Youngs: The Brothers Who Built AC/DC, 2013). Nel 2017 tocca a Bon: The Last Highway, che oggi viene tradotto in italiano e arriva da noi grazie all’editore Il Castello, in cui Jesse usa un approccio da puro investigatore, andando ben oltre a quello del mero scrittore.
Fink affronta gli ultimi trentadue mesi di vita di Bon Scott restituendo al pubblico quello che viene definita dalla stampa internazionale "un racconto necessario e completo sul primo cantante degli AC/DC". Fink viaggia per il mondo rintracciando compagni di tournée, conoscenti, giornalisti, amici di bevute, ex fidanzate e addetti ai lavori, tutti più o meno disponibili a raccontare le informazioni in loro possesso. Tra sesso, droga, alcool e rock’n’roll, l’autore ricostruisce questa figura tanto complessa quanto controversa. Retroscena mai raccontati, leggende sfatate, personaggi nell’ombra, costellano questa biografia che vuole innanzitutto fare luce sulla morte del cantante avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite.
Jesse Fink si affida alla testimonianza di chi fu accanto a Bon negli ultimi giorni della sua esistenza terrena, come Paul Chapman e Pete Way (UFO), Alistair Kinnear, Silver Smith e Leslie Loads, valutando come molto approssimative le indagini successive che chiusero il tutto con una semplice “intossicazione da alcool.” Per Fink, invece, la strada dell’overdose dovuta alle droghe e a qualcuno che era ben presente in quelle ultime ore, anche se non fu mai citato, è decisamente uno spunto per andare a ritroso e ricercare una verità che per lo scrittore inglese sembra sempre più chiara, anche se alla fine, rimane decisamente contraddittoria.
Nella storia della fine di Bon Scott, infatti, mille sono le versioni date da una serie di individui che riportano informazioni dirette o arrivate da altre fonti, che spesso non sono né chiare e, soprattutto, sono ricche di ambiguità, smentite e ricordi perlomeno annebbiati da sostanze varie, o soltanto dal passare del tempo. Ci si può credere, se si vuole farlo, ci mancherebbe, ma alla fine l’intreccio di questo “giallo” da manuale colpisce più per l’inventiva da romanziere di Fink che per un'effettiva ricerca della verità; la scrittura infatti, avanza in modo intrigante ed è sapientemente assemblata. Ma siamo davanti a un fantasioso film, piuttosto che a un accademico documentario.
A Jesse interessa costruire un ritratto umano di Bon che è davvero molto lontano da quando si poteva pensare di una leggenda spavalda del rock. Un uomo controverso, che spesso anche negli stessi AC/DC si è trovato escluso perché più maturo degli altri ragazzi (Scott nasce nel 1946 e, per esempio, Angus Young ha nove anni in meno di lui) o per il suo stile di vita non proprio salutista, o perchè spesso creò qualche difficoltà alla band e alle sue attività. Sembra che, nel 1979, lo stesso Bon volesse smetterla con il circo del rock’n roll e provare a reinventarsi una nuova vita, ma anche qui è difficile capire se quegli furono semplici sfoghi di un uomo in difficoltà, oppure una crisi umana più profonda.
Un capitolo a parte è dedicato poi al famoso dubbio sull’effettivo contributo di Bon Scott a parte dei testi che poi finirono su Back In Black. Per Jesse Fink la cosa è sicura e possiamo ricordare un paio di botta e risposta avuti negli scorsi anni su alcune riviste, tra lui e un contrariato Brian Johnson, ovviamente molto sicuro di essere lui l’autore delle liriche dei brani del disco.
Nel novembre 2022, la Bon Scott Estate ha rilasciato una dichiarazione sul suo sito web per affermare che la proprietà non aveva mai ricevuto "nessuna royalty di scrittura per nessuna canzone" su Back in Black, sebbene ciò sia stato contraddetto nel 2006 dal defunto Vince Lovegrove, ex compagno di band di Scott nei The Valentines, che ha riferito che la proprietà ha ricevuto "una piccola quota di royalty da Back in Black, che si presenta sotto forma di pagamenti semestrali". Lovegrove ha anche scritto sul suo sito web personale nel 2011 che Derek Scott (fratello di Bon) "mi ha detto che la famiglia ha sempre ricevuto le royalty di scrittura di Bon per l'album".
E anche qui si potrebbero dire molte cose e magari considerare l’atto degli AC/DC come una gentilezza verso i parenti di Bon, oppure prendere l’informazione come qualcosa di riportato erroneamente, ad esempio considerando che magari Derek ha semplicemente confuso le royalty di un album con un altro. Magari invece una parte di quanto Bon scriveva e appuntava per creare i suoi testi è arrivata ad Angus Young ed è finita a Brian Johnson con l’accordo tacito di non poter riferire nulla a nessuno di esterno. E’ questo il bello del rock e delle sue storie.
Certamente il libro è piaciuto talmente tanto che, nel 2024, anno in cui si festeggiavano i cinquanta anni dall’entrata di Bon Scott negli AC/DC, è arrivato da Fink Bon: Notes from the Highway, un seguito in cui si esplora ulteriormente un passato su cui evidentemente c’è ancora molto da narrare. Intanto, godetevi questo primo tassello!

