Dopo una lunga campagna promozionale è uscito il nuovo disco di The Night Skinny, il terzo e ultimo capitolo della saga saga iniziata nel 2017 con Pezzi. Un’ora abbondante e un totale di 21 brani per provare a fotografare la scena urban al momento.
Gli ospiti sono trentanove e infatti il disco risulta estremamente sfaccettato. Ad alcuni è stato dato maggior spazio ad altri meno come è giusto che sia: artisti molto più vicini a Skinny come Noyz Narcos partecipano ben a tre tracce altri invece compaiono una sola volta.
Visti questi primi dati sul disco si può benissimo immaginare come in realtà suoni più come una playlist che come un disco coerente e costruito; non esiste infatti un chiaro filo conduttore se non che tutte le produzioni siano state realizzate da Skinny.
Questo porta inevitabilmente ad avere dei momenti decisamente più interessanti di altri nel corso dell’ascolto, in linea generale quando si va a puntare su sound più hip-hop i brani funzionano maggiormente e si adattano meglio alla natura del produttore, quando vengono coinvolti artisti più pop invece risultano meno convincenti.
Nella prima categoria troviamo sicuramente l’apertura del disco, "Fake", con Geolier e Luchè che regalano ottime strofe, ma anche “Doppio Hublot” con Guè e un più che sorprendente Baby Gang che sfrutta davvero bene lo spazio che gli è stato dato in questo progetto. “Coki” con un campione di una scena di “Blow” e che risulta il pezzo maggiormente crudo del progetto in cui l’argomento centrale è, come intuibile dal titolo e dal campione, quello della cocaina. Tra tutti, però, il brano uscito meglio è sicuramente “Prodotto”, realizzato con il campione di “No More Sorrow” dei Club Dogo, in cui partecipano Jake La Furia, Paky, Ernia e Lazza e che diventa un monumento della scena milanese in cui tutti riescono a fare delle strofe veramente di livello e portare a casa uno dei migliori brani di quest’anno. L’ultimo di questi brani è “Per la strada” con Rkomi, Coez e Guè, dove quest’ultimo regala una strofa da fuoriclasse e in cui è presente un campione di “Ready or not” dei Fugeez.
I brani citati sono appunto quelli più degni di nota, per il resto del disco purtroppo c’è davvero poco poco da dire. Questo non porta direttamente alla conclusione che gli altri brani siano da scartare a priori, anzi, spesso si tratta di buone canzoni, alcune anche con ottime produzioni, ma che di sicuro non si fanno notare e non hanno un elemento originale che le contraddistingue nel susseguirsi del disco. La conseguenza è presto detta: avere così tante tracce di questo tipo su un album da 21 brani rende l'ascolto dell'intero disco inevitabilmente pesante.
Ciò, purtroppo, non mi ha stupito particolarmente. In un certo senso Skinny ha semplicemente seguito le logiche di mercato per cui negli ultimi anni gli artisti che partono da una base numerica solida preferiscono creare dischi molto corposi (che significa più streaming totali) e puntare su alcuni singoli brani che si sa andranno maggiormente e entreranno nelle diverse playlist di Spotify. Provare a costruire un progetto più leggero e che si possa fruire facilmente dall’inizio alla fine risulta semplicemente di scarso interesse commerciale e, cosa più grave, spesso risulta di scarso interesse anche per lo stesso pubblico di questi artisti.