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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/07/2018
The Smiths
Breve guida alla discografia
Gli Smiths sono stati uno dei pochi gruppi della scena musicale inglese degli anni ‘80 a essere davvero seminali, ad avere, cioè, inventato un linguaggio universale dal quale ha attinto, rielaborandolo, un’intera generazione di musicisti

Gli Smiths sono stati uno dei pochi gruppi della scena musicale inglese degli anni ‘80 a essere davvero seminali, ad avere, cioè, inventato un linguaggio universale dal quale ha attinto, rielaborandolo, un’intera generazione di musicisti (si pensi agli Stone Roses o ai Suede, per citarne solo due come esempio). Non solo gli Smiths aprirono le porte al movimento brit pop (che trovò qualche anno più tardi il proprio manifesto nel primo e unico lavoro dei La’s) e diedero visibilità a livello sociale al tema dell’omosessualità e della diversità in genere, ma grazie all’estro di Johnny Marr, riportarono al centro della scena lo strumento chitarra, che in quel decennio viveva in posizione prevalentemente defilata.

È il 1982, e Manchester è una cittadina ribollente di fermenti musicali (lo sarà anche a fine decennio sotto l’egida Madchester). In città, domina la Factory Records del mecenate Tony Wilson, che ha appena concluso la tragica avventura dei Joy Division, sta formando il progetto New Order, e spinge gruppi alternativi come i Durutti Column e gli Happy Mondays.

Gli Smiths si affacciano a questo contesto storico, e nascono grazie all’incontro fra lo scrittore Steven Patrick Morrissey, appassionato di letteratura anglosassone e in particolar modo dell’opera di Oscar Wilde, e il chitarrista, giornalista e promettente calciatore, Johnny Marr, all’anagrafe John Maher (“Ero abbastanza buono per il City”- disse in un'intervista Marr a proposito dei suoi trascorsi pedatori – “ma non ho poi dato seguito alla cosa, perché ero probabilmente l'unico giocatore ad usare l'eyeliner”).

I due iniziano a comporre, scelgono il nome per la band (The Smiths, un nome anonimo in reazione a quelli troppo pomposi usati dalle band synth pop) e reclutano il batterista punk Mick Joyce e il bassista Andy Rourke, amico d’infanzia di Johnny Marr. La musica degli Smiths è caratterizzata fin da subito da due elementi fondamentali: il cantato monocorde e dolente di Morrissey, la cui scrittura, a tratti caustica, più spesso malinconica, non lesina attacchi frontali al governo Thatcher e infarcisce i testi di riferimenti culturali; e soprattutto il suono di chitarra di Johnny Marr, colorato, luccicante, a volte addirittura stralunato, costruito su cascate di morbidi arpeggi che vestono alla perfezione, esaltandone la drammaticità, il canto di Morrissey.

Di chiara derivazione byrdsiana, la peculiarità del suono di Marr (che influenzerà in seguito giovani musicisti come Noel Gallagher, Bernard Butler e John Squire) è determinata dall’utilizzo di una Rickenbacker 300 a dodici corde (un tempo appartenuta a Pete Townshend) su cui il chitarrista sfoggia un’invidiabile tecnica, sia col plettro che con le dita. Musicista intuitivo e moderno, Marr, a differenza dell’istrionico Morrissey, ama una posizione defilata, mettendosi al servizio della canzone piuttosto che del proprio ego. Ecco perché durante la sua militanza con gli Smiths si cimenta esclusivamente in due assoli (uno in Shoplifters Of The World Unite e l’altro in Paint a Vulgar Picture) preferendo caratterizzare i brani con una vasta gamma di tecniche diverse che vanno dal glissando scintillante di How Soon Is Now?, al folgorante riff di Bigmouth Stikes Again, fino al wah wah epocale dell’attacco di The Queen Is Dead.

Il 6 maggio del 1983, gli Smiths firmano il loro primo contratto discografico con la mitica Rough Trade, etichetta specializzata in post punk e alternative rock, e sfornano successivamente il loro primo singolo, Hand In Glove, che sarà seguito da un altro pugno di singoli e poi, finalmente, il 20 febbraio del 1984 da The Smiths (1984, voto: 9), primo full lenght della band mancuniana.

Nonostante i dubbi di Morrissey sulla resa delle canzoni contenute nel disco, l’album schizza al numero due delle charts britanniche. Negli anni del synth pop, dei capelli cotonati, di un’estetica disperata e inconsapevole, questi quattro ragazzi dal nome anonimo, che citano con orgoglio Oscar Wilde, restituiscono un ruolo predominante alla chitarra elettrica e lanciano stilettate contro le crudeli contraddizioni dell’epoca thatcheriana, riaccendendo gli entusiasmi verso il pop rock di derivazione britannica.

In copertina, Joe Dallessandro, attore e modello americano, proveniente dalla Factory di Andy Wharol (i chiaroscuri del salmodiare iniziare di Reel Around The Fountain dimostrano che gli Smiths hanno mandato a memoria anche la lezione dei Velvet), e in scaletta dieci canzoni che vanno, per citare De Andrè, “in direzione ostinata e contraria”. Un disco che, peraltro, viene attaccato ferocemente dalla  stampa inglese, che in molte liriche di Morrisseey vede espliciti riferimenti sessuali di matrice pedofila (l’iniziale Reel Around The Fountain, che doveva uscire come singolo ma fu censurata, e la conclusiva Suffer Little Children, che prende spunto dai fatti criminosi -i cosiddetti “moors murders” - che ebbero luogo nell'area di Saddleworth Moor, nel nord di Manchester, dove, tra il 1963 e il 1965, una coppia di amanti rapì e uccise tre bambini, lasciando la città in stato di shock).

In un disco che non conosce riempitivi, la fanno da padrone Hand In Glove, attacco al perbenismo dell’abito che fa il monaco, Still Ill, storia malinconica di amore e odio verso l’Inghilterra che un incipit testuale folgorante renderà leggendaria (“Oggi io stabilisco che la vita è semplicemente prendere senza dare/L'Inghilterra mi appartiene e mi deve una vita/Chiedimi perché e ti sputerò in un occhio/ Chiedimi perché e ti sputerò in un occhio”), e la livida Pretty Girls Make Graves, esplicito riferimento all’omosessualità di Morrissey.

Un altro pugno di singoli, e poi nel 1984 esce Hatful Of Hollow (1984, Voto: 8), prima raccolta che mette ordine nella già molto frastagliata discografia degli Smiths: materiale di provenienza BBC, alcune B sides e soprattutto singoli scintillanti come Heaven Knows I’m Miserable  Now e How Soon Is Now?. Il gruppo, dopo le polemiche dell’esordio, decide di autoprodursi, facendosi aiutare da Stephen Street, che, in seguito, collaborerà anche con Blur e Cramberries.

Esce così Meat Is Murder (1985, Voto: 7,5), in cui i testi di Morrissey, divenuto portavoce delle inquietudini della gioventù britannica, si fanno più radicali e meno elusivi. Un vero e proprio attacco frontale nei confronti del sistema educativo inglese con due canzoni esplicite fin dal titolo (The Headmaster Ritual – Il Rituale del Preside- e Barbarism Begins At Home - la barbarie ha inizio ha casa propria), così come sono espliciti la copertina e il titolo del disco (Meat Is Murder – la carne è assassinio) che lancia la campagna di Morrissey e Marr a favore della dieta vegetariana (sia il cantante che il chitarrista sono vegani dichiarati).

Lo stile cambia leggermente, nel disco compaiono anche sonorità funky e rockabilly, ma la svolta piace comunque al pubblico, visto che l’album arriva fino al primo posto in classifica, l’unico peraltro della breve, ma intensa, discografia degli Smiths (mentre il singolo estratto dall’album, That Joke Isn’t funny Anymore, si attesta solo alla 49° piazza).

Il suono Smiths è ormai un marchio di fabbrica e la band va in tour facendo sold out quasi ovunque, Stati Uniti compresi. A celebrare questo successo internazionale esce il quarto disco ufficiale della band: The Queen Is Dead (1986, Voto: 10). È l'anno del Signore 1986. La regina è morta, canta Morrissey, leader di quello che ormai è uno dei gruppi più influenti e seminali del decennio. Muore la regina e prende forma compiuta il brit-pop, un bel po' di anni prima che Oasis e Blur se ne attribuiscano la paternità. Autoprodotto con il consueto supporto di Stephen Street, l'album è un capolavoro a partire dalla copertina, che ritrae un giovane e bellissimo Alain Delon dallo sguardo sognante immerso in uno sfondo verde scuro. L'attacco è fulminante: la title track inizia con un coro che intona la tradizionale Take me back to dear old blighty e che prelude all'attacco tribale della rullata di Mike Joyce, al basso martellante di Andy Rourke e al riff ipnotico di Marr. Morrissey canta l'Inghilterra bigotta, conservatrice e ferita dalle politiche conservatrici e reazionarie della signora Thatcher, canta di vite spese nei pub, in povertà e solitudine (…life is very long when you're lonely), dipinge con sarcasmo iconoclasta la disperazione di una generazione mutilata nelle prospettive e nella speranza.

È solo l’inizio di un filotto di gemme che riscrivono con nuova consapevolezza le coordinate del rock anglosassone. Dalla marcetta straniante di Frankly, Mr.Shankly, alla struggente e dolentissima I Know It's Over, storia in chiave soul di un amore (omossessuale) destinato a finire (…love is natural and real but not for you and I, my love), in cui la voce di Morrissey, spostando continuamente gli accenti del cantato, in un finale tesissimo, recita i versi: Oh mother I can feel the soil falling over my head, in una sorta di disperata accettazione del fallimento. Nel disco trovano spazio anche un’accorata elegia sul dramma della solitudine (Never Had No One Ever) e la querelle letteraria di Cemetry Gates, in cui Morrissey prende le distanze dall’austera poesia anglosassone in favore del genio anticonformista di Oscar Wilde (…Keats and Yeats are on your side, while Wilde is on mine).

La tirata nonsense di Bigmouth Strikes Again, nobilitata dall’intuizione di un controcanto accelerato ai limiti della parodia, è il preludio che introduce a There Is A Light That Never Goes Out, classico fra i classici della produzione smithiana e struggente presa di coscienza dell’impossibilità di vivere alla luce del sole un amore omosessuale, il cui destino vira inesorabilmente verso la morte (...and if a double decker bus crashes into us, to die by your side, such an heavenly way to die).

La chiosa è lasciata alla superba Some Girls Are Bigger Than Others, nella quale la chitarra byrdsiana di Marr inventa sublimi riff ad incastro e Morrissey, sarcastico e ispirato come non mai, canta un geniale paradosso sul senso della vita: “… From the ice-age to the dole- age there is but one concern and i have just discovered: some girls are bigger than others”. Nel 1996, nel decennale della pubblicazione dell'album, uscì un imperdibile tributo dal titolo The Smiths Is Dead (1996, Voto: 8), in cui artisti del calibro di Supergrass, Placebo, Divine Comedy, etc.etc, omaggiarono i maestri, riproponendo in chiave personalizzata l’intera scaletta del disco.

Il clamoroso successo del disco, accompagnato dalle inevitabili polemiche per i testi antimonarchici e per i continui ed espliciti riferimenti all’omosessualità, rappresenta il vertice della discografia degli Smiths, che di lì a poco si scioglieranno, a causa dei continui litigi fra Morrissey e Marr.

La tensione all’interno della band è ormai insostenibile: Morrissey, egocentrico e dittatoriale, non vuole cambiare di una virgola la formula vincente, mentre Marr, sfinito dai lunghi tour e da un’insana propensione all’alcol, ha la volontà di percorrere strade nuove. Esce una raccolta degli ultimi singoli della band, The World Won’t Listen (1987, Voto: 7; per il mercato americano la raccolta è doppia e porta il titolo di Louder Than Bombs) e poi finalmente il nuovo album, Strangeways, Here We Come (1987, Voto: 7,5), il cui titolo prende ispirazione da una prigione di Mancheter, la Strangeways Prison, e che nonostante i dissapori interni è considerato dai componenti della band come il loro miglior lavoro.

Il suono si arricchisce di orchestrazioni psichedeliche, e il fascino di certe canzoni, nonostante non tutto sia perfettamente centrato, resta inalterato. Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me, ultimo singolo ufficiale della band e una delle canzoni più cupe dell’intero repertorio smithsiano, la graffiante Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before, censurata per presunti riferimenti nel testo ad assassinii di massa e in seguito riportata al successo nel 2008 da Mark Ronson, e la profetica e conclusiva I Won’t Share You, che suona come commiato di Morrissey all’amico/nemico Marr, sono il meglio di un disco comunque di buon livello.

Si chiude così, rapidamente come è iniziata, una delle stagioni più intense del pop rock britannico. Rank (1988, Voto: 7), live registrato a Kilburn, Londra, esce dopo lo scioglimento della band e ne celebra le esequie. Morrissey inizierà una carriera solista di grande successo, mentre Marr parteciperà a svariati progetti, tra cui quello, interessantissimo, con gli Electronic, in compagnia di Bernard Sumner (Joy Division, New Order), e solo negli ultimi anni inizierà a pubblicare dischi in proprio.