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REVIEWSLE RECENSIONI
30/06/2018
Joe Bonamassa
British Blues Explosion
Un disco tributo a una delle stagioni d’oro della musica britannica, che Bonamassa recupera evitando però banalità, e allestendo una scaletta live di brani noti, ma non notissimi

Che Bonamassa sia uno dei musicisti più prolifici al mondo, tanto da pubblicare un album ogni tre mesi circa (da solo, con Beth Hart, con i Black Country Communion o con i Rock Candy Funk Party) è un dato di fatto incontrovertibile.

Questa esposizione mediatica più piacere o meno, ma, a parte un talento tecnico indiscutibile, il chitarrista newyorkese è in grado comunque di stupirci ogni volta, evitando il compitino di maniera, ma cercando modalità di espressione, che pur in un ambito a lui congeniale, sono ogni volta diverse.

Dopo il blues americano, il funky jazz dei RCFP, l’hard rock dei BCC e il soul e il r’n’b in condominio con Beth Hart, il nostro guitar hero torna indietro nel tempo fino agli anni ’60, per rendere omaggio al british blues, senza il quale, come spiega lo stesso Joe nelle note di copertina dell’album, il rock blues che conosciamo oggi non sarebbe mai potuto esistere.

Un disco tributo, quindi, a una delle stagioni d’oro della musica britannica, che Bonamassa recupera evitando però banalità, e allestendo una scaletta live di brani noti, ma non notissimi, di artisti del calibro di Eric Clapton (Mainline Florida, Pretending), Led Zeppelin (Tea For One, Boogie With Stu, How Many More Times), Cream (Swlabr), John Mayall (Little Girl) e Jeff Beck (Beck’s Bolero/Rice Pudding).

Con la consueta band di fuoriclasse (Michael Rodhes al basso, Reese Wynans alle tastiere, Anton Fig alla batteria e Russ Irwin alla chitarra ritmica) e la produzione del sodale di sempre, Kevin Shirley, Bonamassa reinterpreta con gusto personale canzoni lontane nel tempo e dalla grande resa live, a cui manca il british touch che le aveva contraddistinte (Bonamassa è irrimediabilmente americano) ma a cui il chitarrista dona nuova linfa grazie a versioni frizzanti e a una performance chitarristica come al solito debordante, a volte, anche eccedendo in virtuosismi e prolissità, in altre sfoderando il giusto mix fra tecnica ed energia (Swlabr, How Many More Times e, soprattutto, Double Crossing Time).  

Da un lato, molti non approveranno l’operazione, ritenendola fuori tempo massimo e figlia di un inutile e nostalgico passatismo, mentre altri, più abituati a una musica di sostanza e a un rock chitarra-centrico, troveranno in questa nuova avventura di Bonamassa un ulteriore meritevole titolo da inserire nella propria discografia.

Non spetta a noi giudicare i gusti, il nostro compito semmai è quello di garantire la qualità di un disco. Per cui, se vi piace questa musica, questa è musica buona. Garantito al limone.