Dopo aver sperimentato con l’avvento del colore l’anno precedente, nel 1959 Yasujiro Ozu torna in qualche modo al proprio passato, confezionando una divertente commedia che scombina un poco le carte del suo cinema più recente andando a ripescare un suo lavoro risalente all’epoca del muto (Sono nato, ma… del 1932).
Con questo Buon giorno Ozu crea una sorta di remake della sua vecchia opera, almeno in maniera parziale. In realtà lo spunto che qui viene riproposto è la centralità di due bambini in veste di protagonisti che in qualche modo si ribellano all’autorità dei genitori.
Se in Sono nato, ma… il motivo della contesa era un comportamento del padre da loro ritenuto umiliante, cosa che scatenava nei pargoli addirittura uno sciopero della fame, in Buon giorno la pietra dello scandalo è molto più venale: i due giovani pretendono infatti l’acquisto da parte dei genitori di un apparecchio televisivo, il rifiuto del quale porta i due ragazzi ad assumere un totale mutismo, non solo nei confronti della famiglia, ma in opposizione alla società degli adulti nel suo complesso (insegnanti, vicini di casa, conoscenti).
Seppur nei film precedenti, con riferimento a quelli di fine anni '40 e decennio successivo, i toni della commedia facevano capolino di quando in quando, qui l’adesione al genere si fa decisamente più spazio andando a presentare in questo Buon giorno elementi di commedia classica, umorismo scatologico, commedia degli equivoci e tutta quella gamma di situazioni divertenti innescate dalla presenza dei bambini che in Ozu ancora non si era vista in maniera così marcata (rimanendo nel periodo preso in esame dalla retrospettiva presente su Raiplay).
È questo un alleggerimento dei toni, peraltro sempre sereni, che non impedisce al regista giapponese di occuparsi come sempre di alcuni dei temi a lui cari come il confronto tra generazioni, l’occidentalizzazione del Paese, l’avvento della modernità e via discorrendo.
Tokyo, quartiere residenziale periferico con case tutte uguali, qui vive la famiglia Hayashi composta da papà Keitar? (Chishu Ryu), mamma Tamiko (Kuniko Miyake) e dai due bambini Minoru (Koji Shitara) e Isamu (Masahiko Shimazu). I due ragazzini frequentano altri amici del vicinato, si trovano per andare a scuola tutti insieme, si intrattengono con esibizioni proprie dell’età, flatulenze, riti goliardici, troppo spesso saltano qualche lezione per andare a guardare gli incontri di sumo sfruttando una delle prime televisioni arrivate nel quartiere a casa della signora Midori (Kyoko Izumi).
Dopo essere stati ripresi per aver saltato le lezioni del professor Fukui (Keiji Sada) i due ragazzi si mettono in testa di volere una televisione tutta per loro, così non saranno costretti ad andare dalla vicina a guardarla, ma mamma Tamiko non è affatto dell’idea nonostante la società dei consumi stia prendendo sempre più piede anche in Giappone con il diffondersi nelle case di lavatrici, aspirapolvere, televisioni.
Dopo i primi rifiuti da parte dei genitori il maggiore dei due fratelli, Minoru, decide di iniziare uno sciopero delle comunicazioni, chiudendosi in uno sdegnato silenzio seguito a ruota dal piccolo Isamu che istituisce una specie di segnale per poter parlare almeno con il fratello. La situazione si sbloccherà solo dopo che i due bambini si allontaneranno da casa per un certo periodo di tempo.
Buon giorno è una commedia leggera e divertente che poggia su quella grazia che da sempre contraddistingue il cinema di Ozu. Anche negli episodi scatologici legati alla passione dei ragazzini presenti nel film per le scoregge, la narrazione rimane sempre elegante e non scade mai nel triviale al quale molte commedie più recenti ci hanno abituati. Inoltre, la scelta del mutismo adottata dai due protagonisti genera nelle signore del vicinato una serie di equivoche incomprensioni che danno vita a un sottogenere della commedia, quella degli equivoci appunto, spesso frequentato dagli americani e che anche qui riesce a creare dei siparietti divertenti basati su alcuni piccoli fraintendimenti che le protagoniste alimentano a inizio del film (questioni di soldi, pagamenti apparentemente non effettuati e cose del genere).
Tutte le sequenze comiche sono supportate con estro perfetto dalla scelta delle musiche di accompagnamento di Toshiro Mayuzumi che con particolare efficacia sottolineano e amplificano i passaggi divertenti del film. Intorno alla vicenda legata alla televisione si innestano anche le storie del vicinato: le sortite del venditore ambulante, la gestione del club delle signore, l’amore non esplicitato tra il maestro e Setsuko (Yoshiki Kuga), il vicino sempre ubriaco (vizio proprio anche di Ozu), un affresco che contribuisce a rendere più vivace la narrazione.
Scelto il tono lieve e umoristico, Ozu non rinuncia a riflettere sul suo presente, mettendo sotto i riflettori i rapporti tra generazioni, con due bambini che non hanno più quel rispetto timoroso verso i genitori che apparteneva alle generazioni precedenti; di contro i genitori, pur se con qualche ritrosia, sono più propensi a viziare i propri pargoli.
Interessante anche il discorso sulla comunicazione: nell’azzerarla i due bambini rinfacciano ai genitori la vacuità di molte loro formule di cortesia, quel parlare degli adulti senza dirsi nulla di davvero significativo e sincero, tema ripreso anche dalla reticenza del maestro Fukui e di Setsuko nel confessarsi il loro reciproco amore. Lampante il focus sul consumismo e su una società sempre più volta al capitale della quale la questione sulla televisione è solo uno dei simboli che ne rappresentano il cambiamento.
Le scelte di stile rispecchiano ciò che già abbiamo visto nei precedenti film di Ozu: la telecamera ad altezza tatami, avendo qui per protagonisti dei bambini, è semplicemente perfetta, la gestione dei movimenti degli attori nelle sequenze iniziali (quelle con la sopraelevata) dettano il ritmo sereno e studiato che accompagnerà tutto il film, così come fanno i già noti stacchi tra interni (con le sequenze vivaci) e gli esterni (momenti di “riposo”). Nonostante il cambio di genere si può quindi ammirare comunque un “classico” di Ozu, magari ancor più leggero del solito ma affatto privo di interessanti spunti di riflessione.