Come un Canerandagio (titolo dell’album) il rapper salernitano torna a brancolare nel buio e a ululare alla luna, raccontando la società e sé stesso con un'occhio rivolto al passato e l’altro fisso sul presente. Neffa stesso plasma con cura artigianale ogni produzione, tessendo un arazzo sonoro che fonde hip-hop, rap, jazz e atmosfere oniriche e ipnotiche, sostenuto da bassi profondi e batterie incisive. I testi, introspettivi e riflessivi, si muovono tra italiano e un pizzico di napoletano (“Argiento” feat. Lucariello, STE), osservando il passato con occhi critici e citazioni precise, scavando nei demoni di una società contemporanea frammentata. È un viaggio nel tempo che lascia l’artista smarrito, forse intenzionalmente ai margini, più deciso a distinguersi che a conformarsi.
Il disco non si lascia racchiudere in una forma precisa o in un’identità già definita, ma vive nella tensione stessa della ricerca. Un cammino fatto di dubbi e interrogativi, attraversato da una malinconia che sfuma in illusioni e disillusioni, ma anche punteggiato da autentiche soddisfazioni. È questo vagare incerto e profondo a dare all’album la sua forza, un’eterna esplorazione che si fa musica e parola, capace di risuonare nel presente con rara intensità.
Il progetto è fluido e stratificato ma compatto: dieci tracce per una mezz’ora densa, scolpita con misura e arricchita da numerosi featuring di alto profilo. Una coralità che se da un lato rischia a tratti di diluire la voce del protagonista, dall’altro riflette la natura sfaccettata di un artista che ha smesso di rincorrere un’identità unica, preferendo abbracciare la complessità. È un disco attraversato da molte voci, ma forse perché Neffa stesso è molte cose: interprete e produttore, memoria e presente, silenzio e parola. In quest’ottica si illumina anche la copertina: un mosaico in bianco e nero di volti sovrapposti, sguardi accesi come fari nella notte. Un’immagine che sembra restituire visivamente il cuore del disco: un’identità non da ritrovare, ma da moltiplicare.
Il brano d’apertura, “Littlefunkintro”, ha il peso di un testamento musicale: un bilancio in versi di una carriera - e di una vita - vissuta fino in fondo. È un manifesto in perfetto stile old school, forse il vero fulcro del disco. Neffa riemerge con un flow senza tempo, intatto, sorretto da un ego misurato che solo i maestri possono concedersi: guadagnato sul campo, mai ostentato:
"Non so che dire, ma mi chiamano "maestro"
Un po' per dire che mi sono fatto vecchio
E non mi dire che è tutto finto
Finisce che nemmeno io lo so quanto ho perso e quanto ho vinto"
L’artista campano non teme di esporsi: si scava dentro, affronta ansie e disillusioni, lasciandosi attraversare da una società in continuo mutamento. “Cuoreapezzi” si muove su un beat ammaliante, cavalcato con intensità da Guè e Joushua, specchiandosi in un mondo ormai irriconoscibile. La realtà si smaterializza: l’IA rimpiazza la televisione, la voce si fa automatica, e perfino la luna - identica a sé stessa - sembra guardarci in modo diverso. È un viaggio allucinato tra sogni spezzati e nuove percezioni, dove forse non è il mondo a cambiare, ma lo sguardo con cui lo attraversiamo.
A fondere passato e presente in un unico respiro ci pensa la title track, “Canerandagio”: la nostalgia della golden age si intreccia all’energia affilata e moderna di un riscoperto Izi. Un dialogo generazionale senza compromessi, che costruisce un ponte tra epoche dove esperienza e urgenza convivono senza annullarsi. Proprio come un cane randagio senza museruola né padrone, l’invito dell’artista è chiaro: vivere controcorrente, rifiutando di farsi addomesticare dalla vita.
“Hype (nuoveindagini)” si presenta come il sequel ideale di "Scattano le indagini", cult del primo Fibra targato Turbe giovanili. Sulla stessa base ipnotica, Neffa, M¥SS KETA e lo stesso rapper di Senigallia aggiornano la riflessione con un sarcasmo chirurgico, vestendo i panni di un moderno David Lynch per smascherare l’epoca dell’apparenza: un mondo in cui non conta più ciò che fai, ma come lo vendi. L’hype diventa così il vero oggetto d’indagine: una febbre passeggera, costruita a tavolino, che ha soppiantato talento e visione con like, views e algoritmi. Tra punchline taglienti e un disincanto lucido, il brano scoperchia le contraddizioni di un sistema in cui l’autenticità è un lusso raro, sacrificato sull’altare della visibilità, evocando quell’atmosfera lynchiana di inquietudine e artificiosità che si cela dietro le superfici patinate.
Neffa dimostra ancora una volta di saper scandagliare anche le nervature più intime dell’amore, affidandosi a una scrittura evocativa e a una sensibilità musicale fuori dal tempo. In "Miraggio", il suo universo sonoro si intreccia con l’autenticità ruvida e tormentata di Gemitaiz e con l’etereo timbro cristallino di Joan Thiele. Il risultato è un’atmosfera sospesa tra realtà e illusione, in cui il deserto diventa metafora di un vuoto emotivo profondo: la figura amata è un luogo arido, che non nutre ma inganna, promettendo presenza, amore o stabilità che spesso tendono ad evaporare. Ne nasce una riflessione sottile sulla dipendenza affettiva e sull’impossibilità di afferrare ciò che più ci ossessiona:
"Ehi, credo alla vita, ma mi ha messo all'angolo
Credo in un diavolo, ma ho visto un angelo
Tutte 'ste cose che ti cambiano, segni che ti segnano
Sogni che ti svegliano, e vedi o no
Perfino i saggi mo si sbagliano"
Canerandagio Parte 1 è un disco da assaporare con calma, da scomporre e ricomporre, proprio come la società liquida che il filosofo Bauman descriveva. Tra contraddizioni, frammenti di speranza e malinconia, questo primo capitolo non offre soluzioni facili, ma esorta a guardare la complessità con occhi critici, a non smettere di interrogarsi sull’amore, sul successo e sull’insuccesso, e a riconoscere che il cambiamento, seppur incerto, è l’unica vera direzione possibile - o forse solo un’illusione necessaria. Come sembra dirci Neffa in "Tuttelestelle", insieme a Francesca Michielin ed Ele A, il desiderio di rinascita si deve imprescindibilmente intrecciare alla consapevolezza di dover attraversare l’ombra per ritrovare la luce:
"Nemmeno piove più, 'ste lacrime che cadono e bagnano
Strade perse, sbagli fatti, alti e bassi, passi falsi, cuore a pezzi
Si dice sempre che ci resta un altro giorno, ma nessuno lo sa"