Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
13/05/2025
Negrita
Canzoni per anni spietati
Che rumore fa la consapevolezza politica di questo periodo storico in cui veniamo sottomessi dai potenti che governano il mondo e la democrazia traballa? E' il rock di “Canzoni per anni spietati” ultimo lavoro dei Negrita.

Dopo aver festeggiato i trent’anni anni dall’uscita dell’omonimo album d’esordio con un live esplosivo all’Unipol Forum di Assago nel 2024, i Negrita tornano con Canzoni per anni spietati e di certo non le mandano a dire, consapevoli delle ingiustizie perpetrate dai potenti del mondo in questo periodo storico particolarmente buio, confezionano un album politico, attuale di grande impatto e coerenza, di cui tutti noi avevamo bisogno.

Diretto e compatto, ottimamente arrangiato, il sound rock’n’roll/blues che contraddistingue da sempre la band aretina e i testi genuinamente arrabbiati rendono Canzoni per anni spietati la miglior colonna sonora per questo 2025, confermando i Negrita una colonna portante del rock italiano oggi più di ieri, anche a livello live.


Energia certo, ma anche consapevolezza degli anni che scorrono, donano più corposità, il blues  abbraccia il rock in modo adulto, inserendo molte delle influenze della band, che confeziona un album contemporaneo nel pensiero e negli argomenti, arrabbiato anche quando non preme sull’acceleratore.

Del resto già “Nel blu (Lettera ai padroni della terra)” scelta come canzone d’apertura, è un’autentica dichiarazione d’intenti, uno dei brani più diretti, un paniere di pensieri universali che quotidianamente ci assillano ma anche balsamo per le anime inquiete, incomprese, battagliere ispirate dal rock di Pau, Drigo e Mac.

E volete che ammazziamo per due confini e tre bandiere/ Delle stupide pedine sul vostro lurido scacchiere/ Con l’antica strategia del dividi ed impera/ ma mandate i figli vostri a crepare alla frontiera”.

 

A spiazzare subito l’ascoltatore ci pensa “Noi siamo gli altri”, dove il ritmo cambia decisamente e si muta in una splendida ballad introspettivamente sincera, una poetica lettera alle persone in bilico, piene di aspettative ma che si ritrovano ad affrontare macigni, un trasporto emotivo amplificato dagli intrecci di chitarra e il malinconiconimente nostalgico assolo di Drigo.

Noi siamo quelli/ Quelli sempre in minoranza/ L’alternativa alla vostra arroganza/Siamo gli antieroi/ E siamo liberi, i liberi pensatori/ Siamo i figli, siamo i genitori/ Che non si arrendono mai”.

Un groove di ispirazione etnico/folk introduce “Ama o lascia stare”, dove l’amore viene indagato nel modo più ampio e attuale possibile, tema sempre difficile da affrontare ma unito a riff funky, molto catchy, che diventa subito inno generazionale.

Ama o lascia stare che in questa vita qua, gente che sa odiare c’è l’abbiamo già/ Ama o lascia stare se non fa per te, gente che sa odiare quella già c’è n’è”.

 

Sempre di amore si tratta, anche se di diversa concezione, nella folk ballad “Song to Dylan”, omaggio al menestrello del rock ispiratore del gruppo; un atto di riconoscenza ad un “fratello maggiore” che ha accompagnato la scoperta non solo musicale, ma anche culturale di molti amanti della musica.

Hey, hey, Mr. Dylan/ a volte servono eroi per quelle notti che non passano mai/ e io voglio cantare in onore di te/ canzone a un poeta, il più saggio che c’è”.


Non sfigurano, a seguire, le influenze southern di “Non esistono innocenti amico mio”, testo spietato dove nessuno ne esce salvo, un vero e proprio duello tra le ingiustizie a cui inermi assistiamo e l’impossibilità di cambiare le situazioni, percepita come un alibi per normalizzare la deriva violenta del mondo.

La mia paura, e sto tremando/ È che ci stiamo abituando/ E che tra questa indifferenza ci sia anch’io/ Ricorda/ Non esistono innocenti, amico mio”.

 

Splendida la scelta di rivisitare un classico di Francesco De Gregori come “Viva l'Italia” in cui spicca l'armonica di Pau e le chitarre blues capaci di riportare l'ascoltatore in un epoca lontana, consapevole delle debolezze, della fatica per rinascere ma comunque fiduciosamente resistente.

Questa affilata disamina della situazione generale, delle insofferenze, dubbi e paure di tutti noi, inermi di fronte a questa società, a questa democrazia che sta regredendo senza possibilità di fermarla, si conclude con “ Non si può fermare” dall'appeal decisamente pop, dove è Drigo a cantare di ricordi che si riflettono nella speranza di un futuro migliore, un’illusione che porta però a vivere un difficile presente, il lockdown è l’ispirazione di questo testo, la natura, la ciclicità delle stagioni la nostra salvezza.

E ritorna l’estate/ Si sente qualcosa nell’aria/ Quante notti di merda in passato/ Ma si risale sul treno che porta/ A tutte le prime volte”.


A fine ascolto rimane la consapevolezza di non essere soli, la sensazione che qualcuno abbia teso una mano per non camminare separati in questi momenti instabili, un prezioso kit di pronto soccorso per anime sperdute ma pur sempre speranzose.