Il decimo disco di Fabri Fibra inizia mettendo in chiaro l’intenzione di tutto il progetto: fare il punto della carriera dello storico rapper milanese, un’operazione che dopo 5 anni di silenzio risulta necessaria.
In “Intro” infatti, accompagnato da un sample di Gino Paoli, Fibra ripercorre le tappe principali del suo percorso musicale e arriva alla conclusione “Senza musica probabilmente non sarei niente. Ti giuro, non saprei che fare senza lei”. Nei due brani successivi il rapper milanese si rimette al centro della scena, rivendicando la sua importanza per questo genere in Italia ma, mentre “Good Fellas” suona parecchio bene (anche grazie al ritornello di Rose Villain), “Brutto Figlio Di” è un brano poco scorrevole, esattamente come “Ghetto Cowboy” di Yelawolf alla quale si è ispirato.
Con le tre tracce successive si cambia completamente registro e si va verso un Fibra più radiofonico, quello conosciuto ai più e sempre particolarmente apprezzabile, “Sulla Giostra”, “Stelle” e “Propaganda”: la prima insieme a Neffa, dall’atmosfera particolarmente rilassata, la seconda con Maurizio Carucci (Ex-Otago), forse un po' più sfacciata e meno originale rispetto alle altre, mentre la terza, con Colapesce e Dimartino, è la vera hit del disco, e i passaggi radiofonici di queste prime settimane ne sono la prova. Un brano ben costruito, accompagnato dal fin troppo orecchiabile ritornello della coppia sanremese e da un video con una produzione cinematografica.
Il resto del disco varia molto sia a livello sonoro che qualitativo, la title track con Lazza che riprende il flow di Bandolero di Don Omar (sì, quella di Fast&Furios) non è molto convincente, mentre in “Pronti al peggio” con Ketama si vede anche un Fibra che esce dalla sua confort zone, grazie alla chitarra elettrica presente nella produzione di Big Fish.
Prima di avviarsi alla conclusione troviamo ancora un paio di episodi particolarmente interessanti: il primo è “Demo Nello Stereo”, in cui un Fibra super classico se la prende un po’ con tutti, con un flow stupendo in cui ricorda, quasi come un monito a detrattori e nuove generazioni: “ho fatto i soldi, ma rimango me stesso”; il secondo invece è “Cocaine”, con Guè e Salmo, dove Salmo sembra essere tornato in gran forma e Fibra porta a casa un ritornello stupendo e melodico, ruolo che prima d’ora aveva sempre lasciato ai featuring.
L’ultima parte del disco è quella più personale e si apre con quattro minuti di Fibra e Marracash senza ritornello su un sample di Miles Davis, un brano che, nella sua forma e nella stesura, porta a tema la noia. Anche la chiusura del disco supera i quattro minuti e non ha un ritornello, scrive la fine di un disco sicuramente bello e curato, in cui però non mancano dei difetti.
Caos viaggia senza particolari problemi, è scritto molto bene ed è un disco molto rap senza doverne fare una rivendicazione, il tutto tenendo comunque conto delle logiche del mercato musicale nel 2022; i featuring sono più o meno tutti azzeccati, peccato solo per alcuni brani decisamente sottotono. È normale che in un disco di 55 minuti ci siano punti più alti e più bassi, ma in questo caso quelli bassi non sono soltanto dei filler ma sono pezzi non immediati e un po' difficili da apprezzare, come “Fumoerba”, “Brutto Figlio Di” e “El diablo”. In ogni caso, al netto di queste considerazioni, Caos è un disco riuscito, tra le altre cose anche nel suo intento principale: rimettere Fabri Fibra al centro della scena rap.