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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
05/10/2017
Sufjan Stevens
Carrie & Lowell
Calma, lentezza, pazienza. Sufjan Stevens lo richiede, lo richiede la sua arte, il suo modo di concepire la musica, che mai nasce da un approccio semplice, accomodante o convenzionale.

Calma, lentezza, pazienza. Sufjan Stevens lo richiede, lo richiede la sua arte, il suo modo di concepire la musica, che mai nasce da un approccio semplice, accomodante o convenzionale. La discografia di Stevens insegna che per arrivare a destinazione si possono imboccare strade alternative a quella maestra, a volte anche più tortuose e lunghe, perché alla fine, ciò che conta davvero, sono le suggestioni del paesaggio e la bellezza che colma gli occhi. Così, ascoltare un suo disco è come mettersi in viaggio per luoghi inesplorati, spinti da quella ragionevole avventatezza che suggerisce il cammino di un esploratore, quando, passo dopo passo, affronta l'ignoto, consapevole dei rischi che corre, ma risoluto alla scoperta. Sensazione provata ai tempi della grandeur di Illinois (2005) e del folle progetto di sovvertire ogni regola discografica, immaginando la possibilità di pubblicare cinquanta album, ognuno dedicato a un diverso stato americano; ed è quello che abbiamo provato, ancor di più, quando ci siamo misurati con le bizzarrie indietronic di The Age Of Adz (2010), un azzardo all'apparenza incomprensibile, eppure compiuto con successo. Calma e lentezza, dunque, è quello che richiede anche l’ascolto di Carrie & Lowell, un disco che si pone come contrappunto frugale al climax raggiunto dalla sovrabbondanza creativa di Stevens: tanto erano ricchi di suoni e rigogliosi di idee i precedenti capitoli della sua discografia, quanto è scarna e minimalista l'impalcatura delle undici canzoni di questo settimo full lenght. Se prima l'idea era quella di ricerca e movimento, oggi Stevens punta a un'affabulante stasi. Eppure, la bellezza di Carrie & Lowell non si coglie immediatamente, occorre scartare con accuratezza la confezione per gioire del regalo che cela. Undici ballate folk pop, coerentemente lo-fi, indipendenti nell'accezione più nobile del termine, quella cioè che richiama le atmosfere del Sundance Film Festival, fragili nell'impianto strumentale ma al contempo fameliche di emozioni; undici canzoni che nascondono la loro bellezza dietro un'omogeneità sonora ovattante, che piano piano si sgretola, facendo emergere personalità melodiche ben distinte fra loro. Come il tepore della primavera schiude la fredda terra in un rinnovato afflato vitale, permettendo ai fiori di sbocciare, così il nostro paziente ascolto disvela lo stordente susseguirsi dei languori di cui Carrie & Lowell è pregno. Sentimenti di afflizione, tenerezza, affetto, rammarico e nostalgia sono illuminati da una luce tenue ma persistente, come se si trattasse di acquarelli, i cui colori vengono esaltati da un tratto deciso, intento a contenere più che a sfumare. Ispirato dalla morte della madre (Carrie), avvenuta nel 2012, e dedicato al rapporto di amicizia col marito di lei, nonché suo padrino (Lowell), Carrie & Lowell inanella alcune delle migliori canzoni scritte da Sufjan nel corso della sua carriera, alcune così pure e cristalline da farci dimenticare tutto ciò che è stato prima, come se l'artista di origini persiane non avesse più un passato artistico, e fosse solo qui, ora, colto per sempre nell'attimo di una melodia. Death With Dignity, Should Have Know Better, Drawn To The Blood, Fourth Of July, Blue Bucket Of Gold sono così clamorosamente belle da lasciarci senza fiato, privati di relativizzazioni, in balia dell'assoluto: canzoni leggere come foglie secche sospinte nel vuoto dal soffio del vento, frementi di vita come ondivaghe spighe di grano al tatto della mano, incombenti come un dolore risaputo e costante dell'anima. Emozioni pure, che trascendono l 'arte.