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MAKING MOVIESAL CINEMA
Chant d'hiver
Otar Iosseliani
2015 
DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
09/10/2020
Otar Iosseliani
Chant d'hiver
A suo merito il film di Ioseliani è sicuramente tutt'altro che banale e percorre strade poco battute che per diversi spettatori potrebbero rivelarsi interessanti da esplorare.

Mi dispiace un poco trovarmi a parlare di questo Chant d'hiver senza conoscere molto del precedente percorso del regista georgiano, il film induce a impressioni contrastanti e forse si potrebbe inquadrarlo meglio nel contesto del lungo viaggio iniziato da Ioseliani nel lontano 1958 e di cui Chant d'hiver è solamente l'ultimo capitolo. Questo non è un film per chi ama le storie dalla costruzione classica e forse non è nemmeno il film per chi ama le storie con una costruzione. Quella di Ioseliani è un'opera completamente anarchica, senza regole e senza registri, impossibile da incasellare e da ridurre a poche battute su un foglio bianco.

Questa premessa, per chi è di vedute aperte, potrebbe essere letta come qualcosa di fantastico, un'occasione per esplorare forme poco battute dagli stessi cineasti, e per qualcuno in effetti la visione di Chant d'hiver sarà di sicuro un'esperienza appagante. Il materiale girato da Ioseliani è però da maneggiare con cura, il film è un'incursione nel grottesco senza regole e con pochi fili conduttori che alla luce delle due ore di durata può facilmente rivelarsi duro da reggere per più d'uno spettatore. Si apre con due brevi prologhi, uno ambientato durante la Rivoluzione francese, uno probabilmente (ma non c'è certezza) in un conflitto nei Balcani, si passa poi alla Parigi dei giorni nostri. Quale sia il collegamento tra questi segmenti non è dato sapersi, è lo spettatore a dover ricollegare i punti e trovare un senso, un fil rouge che attraversa il film. A fare da collante ci sono gli attori che tornano in diversi momenti con diversi ruoli, uno su tutti Rufus che nel primo segmento interpreta un condannato alla ghigliottina che si avvicina alla morte fumando in tutta tranquillità la sua pipa, nei Balcani è un prete tatuatissimo che battezza i suoi soldati scagliandoli in acqua di fiume con una certa foga, nella Parigi moderna è un appassionato di libri antichi che scambia volumi per lui interessanti con pezzi d'artiglieria illegali. Ah, non dimentichiamo, è anche l'uomo che finisce sotto uno schiacciasassi uscendone stirato in due dimensioni come un personaggio dei cartoni animati di Wile E. Coyote. In esame anche alcune brutture del mondo, la barbarie della guerra, i dimenticati dalla società, la povertà, tutto visto da un punto di vista surreale, nel segmento bellico la recitazione è impostata, volutamente artificiosa, il tutto a dare un tono finzionale e ridicolo alle scene, assistiamo ad esempio ai saccheggi in un villaggio preso d'assalto, ma i soldati portano via le cose più improbabili: gabinetti, cavalli a dondolo, tendaggi, pendole. L'autorità è un poco messa alla berlina, soprattutto con i flics intenti nelle retate ai danni dei senzatetto, ma anche nella figura del prefetto (Mathias Jung), mentre tutto attorno a loro bande di innocui e gaudenti ladruncoli imperversano, un borseggiatore innamorato manifesta la sua inadeguatezza nel mostrare i suoi sentimenti alla violinista figlia del prefetto (Fiona Monbet), accetterà i consigli di due anziani eccentrici (Rufus e Amiran Amiranasvili). Tutta una serie di altri personaggi si contendono la scena uno con l'altro creando un miscuglio di gag che spesso fanno sorridere risultando riuscite e fresche, alla stessa maniera è facile in altri momenti perdere la bussola, si fatica a tenere desta l'attenzione nei passaggi meno accattivanti. Da segnalare la presenza nei panni del barone decaduto del nostro Enrico Ghezzi che in vesti d'attore fa anche la sua bella figura.

Frase banale ma che in questo caso si porta dietro una carica di veridicità: Chant d'hiver non è un film per tutti, io stesso se dovessi esprimere un giudizio dovrei limitarmi a dire di aver apprezzato il film solo in parte, o ancor meglio "a tratti", proprio per la sua natura frammentaria e non del tutto coesa. A suo merito il film di Ioseliani è sicuramente, al contrario della frase adoperata poc'anzi, tutt'altro che banale e percorre strade poco battute che per diversi spettatori potrebbero rivelarsi interessanti da esplorare. Ora sta a voi la scelta, addentrarvi o meno in questo "canto d'inverno" che potrebbe rivelare piacevoli sorprese ma anche qualche insidia da superare.


TAGS: chantdhiver | cinema | DarioLopez | loudd | OtarIosseliani