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REVIEWSLE RECENSIONI
Chaos For The Fly
GRIAN CHATTEN
2023  (Partisan Records)
IL DISCO DELLA SETTIMANA ALTERNATIVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8/10
all REVIEWS
24/07/2023
GRIAN CHATTEN
Chaos For The Fly
Se l’arte è il continuo tentativo di riempire i propri vuoti e dare risposta alle proprie domande, se le migliori catarsi avvengono quando si è tornati a casa al termine di un viaggio, Grian Chatten con il suo debutto solista, “Chaos For The Fly”, ha realizzato una poesia in musica lunga nove canzoni, che ancora odora della salsedine delle coste irlandesi.

 

«L’arte è pura interrogazione»

«Tutte le arti si assomigliano: un tentativo per riempire gli spazi vuoti»

«Riflettere è ascoltare più forte»

(Samuel Beckett)

 

«Normal is an illusion. What is normal for the spider, is chaos for the fly» (Morticia Addams)

 

 

Cosa accomuna Samuel Beckett, Morticia Addams e Grian Chatten? A parte il fatto che il titolo dell’album deriva da una citazione della dark lady per eccellenza (“La normalità è un’illusione. Ciò che è normale per il ragno, è il caos per la mosca”), sicuramente tutti e tre possono vantare una certa oscurità e profondità d’animo e una spiccata attenzione a cogliere i piccoli e grandi coni d’ombra della vita. Sono personaggi che è difficile pensare ridere o sorridere, educatamente o sguaiatamente, ma che giungono alla mente pensosi, riflessivi o con una certa predisposizione all’osservazione trasversale e non ordinaria, quella capace di poter cogliere l’assurdità della vita e delle sue convenzioni, ma anche di poter riflettere sul suo malinconico fluire.

Samuel Beckett e Grian Chatten, inoltre, sono entrambi dublinesi; pieni di quello spirito irlandese cupo e inquieto che guarda allo svolgersi della vita propria e degli altri e ne coglie anzitutto le insofferenze, i drammi e le incompletezze. Beckett, metaforico figlio di James Joyce, con minuziosa pesatura delle parole mostra nelle sue opere da un lato il senso di desolazione e di vuoto che pervade il mondo, dall’altro i limiti della comunicazione umana: imprecisa nella sua necessità di dover essere definita da poche e semplici sequenze di alfabetiche lettere convenzionali, incapaci di poter contenere tutte le sfumature di un pensiero, e devastante nella sua chirurgica capacità di annientare con un non detto. Chatten, anch’esso avaro e attento nell’uso delle parole, ne condivide lo spirito esistenzialista; nella sua solo apparente verbosità offre scenari solo suggeriti e, come nel caso del suo illustre concittadino, più che narrare storie pone l’attenzione su piccoli eventi, dettagli e protagonisti, suggestioni che in una sola piccola frase mettono in mostra la tragicità dell’esistenza umana.

 

Grian Chatten, che in quest’album è prima di tutto figlio d’Irlanda e solo in secondo luogo frontman dei Fontaines DC, dopo aver emigrato dalle sue terre sulla costa nordorientale a Londra e dopo aver esplorato in tour anche l’America, ritorna a casa nuovamente, ma in modo diverso rispetto a quanto fatto con Skinty Fia assieme al suo gruppo. Se in quel caso vi era la ripresa del gaelico, di James Joyce e delle piccole e grandi storie di persone ed eventi incontrati o sfiorati nel corso delle loro vite, questa volta il rapporto con la terra natia è più intimo, personale e solitario, più Beckettiano e meno corale.

L’ispirazione non per nulla arriva sul lungomare di una delle spiagge che collegano Dublino a Skerries, luogo da cui proviene la famiglia di Grian. Il vento continuo, le onde e la loro risacca, il fascino decadente delle piccole città costiere che mostrano tutta la loro solitaria ruggine e una certa malcelata nostalgia. Tra oggetti, edifici e locali abbandonati troviamo il “Bob’s Casino” della traccia numero quattro, che si rivela un centro di intrattenimento di Skerries fatto di vecchi giochi meccanici e slot machine, ma anche i porti e le insenature dove si appollaiano i pescatori, secolari depositari di una lunga tradizione di storie e malinconiche ballate. Tra le pennellate sonore e verbali, guidate dalla profonda e avvolgente voce di Chatten, prendono vita piccole storie del tutto simili a vividi acquerelli: evocative, poetiche, ma mai piene di dettagli fiamminghi, quanto piuttosto di giochi di luce (che in questo caso sono di semplici melodie) che talvolta divengono così scarni da rivelare verità taciute, come quelle che si presentano catartiche alla mente dopo una lunga passeggiata sulla battigia.

 

Chaos For The Fly è inequivocabilmente un disco dell’anima. Uno di quegli album che non ascolti perché appartiene ad un genere o ad un altro (non è post punk, ma non è nemmeno folk), ma perché è un frammento di animo che parla tramite le profonde suggestioni del non detto, vestito prevalentemente di una semplice chitarra e qualche coro (eseguito della fidanzata di Chatten, Georgie Jesson), accompagnato sullo sfondo dal tocco leggero della batteria dell’amico Tom Coll (Fontaines DC) e da qualche piccola aggiunta derivata dalla supervisione del produttore di fiducia Dan Carey.

Un disco che ha coinvolto quante meno persone possibili proprio perché profondamente personale, da tempo desiderato e pensato, ma che solo di recente è stato messo nero su bianco, con una velocità quasi eccessiva tanto era chiaro e limpido il risultato che doveva realizzarsi. Impossibile da rendere in una versione Fontaines DC perché avrebbe significato scendere a compromessi affinché divenisse di tutti, qualcosa che con la propria identità, l’arte e la vera poesia non è possibile fare. Ogni accordo ed ogni nota, ogni tocco di archi a sostegno degli arpeggi era come venuto dal mare e così andava scritto e tramandato.

 

Chaos For The Fly è una sintesi vivida e viscerale dei paesaggi e della vita delle coste irlandesi, dove storie tormentate e intime vengono sussurrate e fatte filtrare attraverso il suono. Le parole rivelano solo un terzo di ciò che l’album comunica, tutto il resto è nell’atmosfera, nel riconoscibile e profondo timbro di Chatten, nel modo in cui ogni accordo è suonato e nella maniera in cui la voce si incrina, sale o scivola.

La somma delle parti è un racconto fatto per essere comunicato da anima ad anima, senza possibilità di mediazione tramite spiegazione scritta. La lingua della nostalgia tormentata, dei dubbi che vacillano e delle certezze incrinate, del dolore assordante e dell’inferno apatico non si esprime a parole, ma attraverso un’incomunicabilità verbale che riesce a diventare palpabile e presente grazie alla sua capacità di essere distillata a gocce nella forma di una canzone e nella sua melodia.

 

Voci disadorne e quasi disincarnate si mescolano ad emozioni quasi senza tempo, fatte di storie quotidiane, mancanze, sofferenze, disagi, splendori sbiaditi, isolamenti, frustrazioni brucianti, riflessioni e osservazioni pungenti («Celebreranno le cose che fanno di te ciò che non sei», “All Of The People”). Amaro, dolce, cupo, onesto e complesso, romantico e riflessivo senza mai essere rassicurante. Nessun compromesso, solo sincera e disarmante intensità.

Chaos For The Fly è un riassunto del ventaglio di alcune delle personalità e sentimenti che sono Grian Chatten ma in cui ognuno a suo modo può riconoscersi. Un’ipnotica poesia fatta musica, dove rimane incerto dove inizi la narrazione, la suggestione, la verità o la catarsi, da cui ci si risveglia più vuoti e arricchiti al tempo stesso, dove qualcosa è stato corroso e al tempo stesso qualcosa di nuovo è stato portato alla luce, come se l’animo fosse stato accarezzato dalla risacca marina.