Chi è Nicola Felpieri? si presenta come un raffinato miscuglio di influenze, mescolate con l’intelligenza di chi conosce a fondo le tradizioni musicali, ma non ha paura di smontarle e ricomporle in forme nuove e sorprendenti.
La ricetta sonora? Un groove pulsante intriso di afrobeat, il carattere deciso del jazz-funk, una generosa dose di disco music e, a completare il mix, quella nota inconfondibile di nostalgia cinematica che richiama l’immaginario italiano degli anni ’60 e ’70, con rimandi alle colonne sonore di Piero Umiliani, tra atmosfere lounge, polizieschi e commedie all’italiana.
Dopo il sorprendente EP Maledetta Quella Notte (2023), per il collettivo composto da Giovanni Doneda, Ferruccio Perrone, Pietro Gregori e Alessandro Paolone, l’asticella delle aspettative per pubblico e critica si alza, e queste non vengono certo deluse. Il disco si articola in dieci tracce, ognuna con una precisa ragione d’essere: brani compatti ed essenziali, che costruiscono una serie TV sonora della durata di trenta minuti, densa e avvolgente. A impreziosire il racconto, tre ospiti d’eccezione: la voce seducente di Mélanie Chedeville, il tocco elettrico de Le Feste Antonacci e l’attitudine psichedelica di Venerus.
L’ascolto si snoda come una narrazione per episodi, in cui il protagonista (Nicola Felpieri) è un’ombra, un’identità sfuggente attorno a cui ruotano storie, atmosfere, suggestioni: è il filo conduttore del racconto sonoro. Nella sua apparente normalità, Felpieri assume un ruolo centrale, come un protagonista inconsapevole che attraversa mondi e li collega. Non importa sapere chi sia: ognuno può proiettarvi ciò che vuole, o riconoscervi sé stesso.
Il viaggio del nostro eroe comincia con “Depistaggio”, un brano d’apertura che suona come un inseguimento musicale alla Thelma & Louise: un groove serrato di basso e batteria, percussioni trascinanti, chitarre graffianti e sintetizzatori che esplodono in immaginazione. Un inizio carico di ritmo e cinema, grazie a un coro di voci maschili e femminili capace di creare il senso di urgenza e confusione. Un brano che spalanca la porta su un mondo fatto di enigmi, suoni e visioni.
Nicola Felpieri nasconde un “Segreto” (seconda traccia). Qui il protagonista smette di fuggire: si ritira nell’ombra, forse per nascondersi, forse per confessarsi. Ma lo fa a mezza voce, con discrezione, senza mai svelare troppo. Le linee di synth scorrono liquide come pensieri trattenuti, mentre i beat, essenziali e misurati, accompagnano una narrazione rarefatta, quasi sussurrata.
Ora ci troviamo in un locale notturno dall’atmosfera parigina, dove la notte si mescola con il fumo e le luci soffuse. “Tic Tac” incarna perfettamente questa scena: una donna seduta al bancone del bar incanta Nicola, offrendogli un liquore, proprio come Mélanie Chedeville, sinuosa e ipnotica, seduce l’ascoltatore. La sua voce, calda e magnetica, si fonde con un groove afrobeat avvolgente, trascinando Nicola (e chi ascolta) in un gioco di sguardi, desideri e sospiri silenziosi.
Dopo una notte in bianco, avvolta nel mistero di ciò che è realmente accaduto fra la donna e l'uomo, per Nicola è il momento di rimettersi in carreggiata. Sale a bordo della sua “Granturismo” (quarta traccia) e lo immaginiamo con una giacca di pelle nera e le Adidas Vintage SL 76, in un’iconica combinazione alla Starsky & Hutch. Il pezzo sprigiona un ritmo incalzante e frenetico, come se il battito del cuore e il rombo del motore si fondessero in un’unica pulsazione.
Ed è così che Il Felpieri (quinta traccia) prende il via: un’identità sonora costruita su synth rétro e battiti asciutti, essenziali. Il groove minimal, ispirato alla cold wave francese e alla disco sintetica degli anni ’80, accompagna il ritorno in scena di Nicola, come se ogni nota segnasse il ritmo di una fuga che è anche una rinascita.
Mentre la strada scorre veloce fuori dal finestrino, Nicola si volta di scatto e, con un misto di stupore e inevitabilità, scopre che la donna del night club è lì, seduta sul sedile posteriore. Lo ha seguito, decisa a far parte del suo viaggio. In un attimo, si sposta accanto a lui, accende la radio, e parte “In Punta di Piedi”, il brano più disco-dance dell’album, arricchito dalla collaborazione con il duo elettro-pop Le Feste Antonacci. La donna si rilassa, distende le gambe sul cruscotto, a piedi nudi, e si accende una sigaretta in un’atmosfera tarantiniana:
"Così siamo qui, nudi senza mani sugli occhi
Ne ho conosciuta io di gente, però
Non sono mai come te
E così, nudo, mi muovo in punta di piedi
Cosa c'è che non so?"
E così, fra una sigaretta e l’altra, il viaggio on the road dell’improbabile coppia attraversa strade vuote, polvere e silenzi rotti solo dal rombo del motore: è l’atmosfera di “Sembrava Deserto” (settima traccia), un brano che sembra emergere direttamente da questo paesaggio incandescente, con le sue chitarre riverberate, i synth spaziali e i battiti diradati. La musica evoca una sospensione quasi mistica, un senso di deriva, come se Felpieri e la sua passeggera stessero fuggendo dal tempo e dalla realtà.
Ma Felpieri è un tipo solitario, sfuggente. Nonostante l’intesa, decide di scaricare la donna a una pompa di benzina, come in un sogno a metà. E proprio in quel momento inizia “Controtempo” (feat. Venerus): l’uscita di scena. Onirica e malinconica, la base si sviluppa su un tempo dilatato, quasi sospeso, come se il brano viaggiasse fuori sincrono rispetto al resto del disco.
“La Fiamma Dell’Amore” (nona traccia) evoca una sensazione di caldo abbandono, come se Nicola Felpieri si fosse risvegliato in un’estate infinita degli anni '80, sospeso tra i ricordi e la malinconia. La produzione del brano mescola con maestria synth avvolgenti e groove morbidi, un mix che richiama prepotentemente la sfacciataggine elegante disco- funk della musica leggera italiana anni ‘80 (D'Angiò). La melodia sensuale e senza tempo del pezzo si inserisce in una dimensione retrò, caratterizzata da un’eleganza vintage che si stacca dalle sonorità più vivaci del resto dell'album, ma mantiene intatta la sua capacità di evocare atmosfere di languore e desiderio. È un amore che vive nel ricordo, che si fa struggente e nostalgico.
Nel decimo e ultimo brano di questo "film sonoro", “Enrico Lascia Perdere”, voci sconosciute si levano come un coro di osservatori indiscreti, cercando di convincere Nicola a cedere, a conformarsi alle convenzioni sociali e a rinunciare al suo desiderio di vivere controcorrente. Le voci, filtrate e distorte come eco lontane, creano l'effetto di un conflitto interiore che si fa sentire, amplificando il tema dell'alienazione e della lotta contro le imposizioni esterne.
Ma il protagonista è deciso a non cedere. Con determinazione, sceglie ancora una volta di seguire la propria strada, ignorando quel mormorio di giudizi. La melodia, pur semplice, è potente, con linee vocali che si intrecciano armonicamente in modo naturale. L'uomo inverte la rotta, tornando sui suoi passi per ritrovare la donna, per inseguire la fiamma dell'amore, come se fosse l'unica cosa che davvero meriti di essere vissuta. In questo, l'idea di anticonformismo diventa un atto di rivoluzione esistenziale, un'affermazione di sé in un mondo che sembra chiedere di rinunciare a ciò che ci rende unici:
“Faccio una follia
Io resto qua
Sembra un'utopia
Ma è la realtà
La rivoluzione
La mia città
Sento l'emozione
Nonostante tutto resto qua”