“Diventare un uomo migliore: sempre quella era l’idea di Arturo Bandini, di diventare un grand’uomo, di scrollarsi la polvere della strada, di amare uomini e bestie nello stesso modo. Di andare, e non peccare più”.
John Fante (Denver, 1909 - Los Angeles, 1983) è oggi riconosciuto come uno degli autori più influenti della narrativa americana, sebbene la sua riscoperta sia arrivata solo negli anni Settanta grazie a Charles Bukowski, che lo venerava come maestro (a tal riguardo, nell’introduzione di Chiedi alla polvere scritta da Baricco, è contenuto un aneddoto divertentissimo).
Nato a Denver da una famiglia di immigrati abruzzesi, Fante crebbe tra povertà, orgoglio e desiderio di riscatto. Trasferitosi a Los Angeles per fare lo scrittore, lavorò anche come sceneggiatore a Hollywood. La sua opera principale è il ciclo di Arturo Bandini, composto da quattro romanzi: La strada per Los Angeles (1936, pubblicato postumo nel 1985); Aspetta primavera, Bandini (1938); Chiedi alla polvere (1939); Sogni di Bunker Hill (1982, dettato alla moglie quando era ormai cieco).
Tra gli altri titoli spiccano Dago Red (1940), Full of Life (1952) e La confraternita dell’uva (1977). Colpito dal diabete e dalla cecità, non smise mai di scrivere fino alla fine dei suoi giorni. Oggi Fante è considerato un autore imprescindibile per aver dato voce agli emarginati e smascherato, con lucidità, il mito del sogno americano.
Chiedi alla polvere è considerato il suo capolavoro, un classico della letteratura americana del Novecento. Il suo romanzo più intenso, il cuore del ciclo di Arturo Bandini, attraverso cui ha raccontato l’esperienza degli immigrati italoamericani, in un tira e molla continuo tra sogno, illusione e fallimento.
Ambientato a Los Angeles durante la Grande Depressione, il libro racconta l’educazione sentimentale e letteraria di Arturo Bandini, giovane scrittore squattrinato e alter ego dell’autore, che cerca disperatamente di affermarsi in un mondo decisamente respingente.
La Los Angeles descritta da Fante, però, non è la Los Angeles glamour e patinata: è un paesaggio di sabbia, vento e solitudine. Bandini vive in una squallida stanza d’albergo, nutrendosi a stento, consumato da sogni di gloria letteraria. Per Bandini, l’unico modo di resistere è la scrittura, che si fa strumento di sopravvivenza e di affermazione della sua identità. In questo scenario incontra Camilla Lopez, una cameriera messicana che diventa oggetto di un amore ossessivo e tormentato. Lui ama lei, ma lei ama lui? La loro relazione, fatta di attrazione, disprezzo, desiderio e fuga, rappresenta la difficoltà di trovare un punto di equilibrio o, se vogliamo, il proprio posto nel mondo. Sullo sfondo, la città degli angeli appare come un deserto polveroso. Quella polvere che l’autore cita spessissimo, come metafora della precarietà e della fragilità dei sogni.
“Los Angeles, dammi qualcosa di te! Los Angeles, vienimi incontro come ti vengo incontro io, i miei piedi sulle tue strade, tu, bella città che ho amato tanto, triste fiore nella sabbia.”
Arturo Bandini è un personaggio complesso: si proclama genio, ma basta un rifiuto per ridurlo in un ammasso di insicurezze: orgoglioso delle proprie ambizioni e allo stesso tempo segnato dalla condizione di figlio di immigrati italiani, vive in una continua oscillazione tra l’esaltazione e l’umiliazione. Il narcisismo, tipico della sua giovane età, è lo scudo con cui cerca di difendersi dalla paura di fallire e dalla sensazione di essere un estraneo in America, una sorta di figlio illegittimo.
In questo contesto, Camilla non è soltanto la donna amata e, ahimè, “respinta”, per la quale prova “desiderio senza passione” o “passione senza desiderio”, ma è anche l’altra faccia di Arturo, il suo opposto. È una figura dirompente: orgogliosa, irrequieta, capace di una vitalità magnetica, ribelle, concreta, a tratti autodistruttiva, vera. In lei si concentrano la complessità dell’identità femminile e il peso della marginalità etnica e sociale in un’America segnata da molti pregiudizi.
Camilla rappresenta quella realtà che Bandini non sa affrontare. Lui vive di illusioni letterarie, fantasie e visioni grandiose, con il salvavita sempre attivo. Lei, invece, è una professionista dei lanci senza paracadute, ancorata alla durezza della vita quotidiana. È fuoco che brucia, ama la vita e non vuole semplicemente sopravvivere, vuole Vivere. Ama le emozioni forti e non si accontenta di assaggiare… è vorace. Il loro rapporto, fatto di attrazione e repulsione e di ferite reciproche, diventa il luogo in cui emergono tutte le contraddizioni del protagonista. Rapporto che, a poco a poco, diventa il cuore pulsante del romanzo. Però, non si tratta della mera cronaca di una relazione tormentata, ma del ritratto intenso di due anime alla deriva.
Un rapporto che, per certi versi, mi ha riportato alla mente quello tra Horacio Oliveira e “La Maga” in Rayuela (qui trovate la recensione), il meraviglioso “antiromanzo” di Julio Cortázar e, in particolare, una pagina bellissima scritta nel suo gliglico: “Appena lui le amava il noema, a lei sopraggiungeva la clamise e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti”.
Bandini, in fondo, è spaventato da quello che prova per Camilla e tenta, senza mai riuscirci davvero, di alzare un muro per proteggersi, perché sente di essere in pericolo. Un pericolo che ha a che fare con la sfera emotiva, naturalmente. Perché quella donna “pazza” e sensuale, con i suoi capelli neri e la sua pelle bruna, è diversa dalle altre, e potrebbe seriamente minare il suo già precario equilibrio. Perché lei riesce a leggergli dentro e a “toccarlo” in un modo speciale e diverso. E allora sì, forse è meglio starne alla larga… o perlomeno, provarci.
“Non venire Camilla, non ancora; lascia che me ne stia seduto per un po’ e che mi abitui a questa rara eccitazione; lasciami tranquillo mentre la mia mente esplora l’infinito splendore della tua gloria; lasciami solo, a desiderarti e a sognare a occhi aperti.”
Altro tema importante all’interno del romanzo è il peso della religione cattolica nell’animo e nella cultura di Bandini. Cresciuto tra dogmi e sensi di colpa, vive ogni gesto come contaminato dal peccato. Il desiderio sessuale, l’ambizione, persino la rabbia diventano per lui motivo di vergogna e autoaccusa. La religione non lo consola, ma lo perseguita: è una voce interiore che lo giudica e che gli ricorda costantemente di non essere all’altezza. Il suo è un Dio che punisce. In questo conflitto tra fede e ribellione si annida la sua nevrosi più profonda, la stessa che lo spinge a cercare nella scrittura un atto di liberazione.
“Sei stato tu, Arturo, e questa è la collera di Dio. […] Sei stato tu, Arturo. Questa è la punizione per quello che hai fatto su quel letto.”
Chiedi alla polvere è un romanzo di formazione, che racconta della caducità dei sogni e, al contempo, della potenza del desiderio di riscatto. Bandini è imperfetto, arrogante e insicuro, ma anche gentile e sensibile. Nelle sue paure e nei suoi fallimenti possiamo riconoscere i nostri. Cresce attraverso la perdita, non attraverso il successo. È questo che rende il romanzo feroce e struggente: non la vittoria, ma l’inevitabile caduta. Il protagonista giunge alla maturità confrontandosi con le sue fragilità e con l’impossibilità di possedere davvero ciò che desidera. Perché non tutto ha un prezzo…
Fante, attraverso la sua scrittura ruvida e poetica al tempo stesso, capace di catturare la fame, il desiderio e la disperazione di chi cerca un posto nel mondo, ci ricorda che la grandezza non sta nel successo, ma nell’ostinazione di Bandini nel continuare a scrivere, a vivere e a tentare, giorno dopo giorno, anche nelle avversità. E forse è proprio questa ostinazione che rende Chiedi alla polvere un libro necessario ancora oggi: perché parla a chiunque ha avuto un sogno troppo grande per le proprie mani, e nonostante tutto ha continuato a inseguirlo.
Ho solo un piccolissimo suggerimento da darvi: iniziate a leggere il libro saltando a piè pari l’introduzione scritta da Baricco e le note successive di Emanuele Trevi. Tornateci solo alla fine… se no, rischiate di lasciarvi condizionare dalle loro interpretazioni del romanzo e di perdervi parte del gusto della lettura.
“Procedemmo verso sud, seguendo la linea bianca della strada. Andavo piano. Era una giornata mite; il cielo era simile al mare, il mare al cielo. A sinistra, sulle colline, brillava l’oro dell’inverno. Era una giornata fatta per non parlare, per ammirare gli alberi isolati, le dune sabbiose, i mucchi di sassi candidi lungo la strada. La terra di Camilla, la sua casa, il mare e il deserto, la terra e il cielo sconfinato e, più a nord, la luna, che era ancora là dalla notte prima.”