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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Cod’ine
Buffy Sainte-Marie
1964  (Vanguard)
AMERICANA/FOLK/SONGWRITER
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03/06/2019
Buffy Sainte-Marie
Cod’ine
Troppo colorata per il rigore acustico di Dave Van Ronk, troppo sopra le righe per la lotta politica continua, troppo “indiana” per diventare manifesto della gioventù democratica che affollava le coffe houses.

Hansel e Gretel nel bosco dei Beatnik

Buffy Sainte-Marie, la piccola nativa Cree che scese dal Canada con la chitarra in mano, sembrò una bizzarra proiezione dello spirito più anticonformista del Village di metà anni ’60. Troppo colorata per il rigore acustico di Dave Van Ronk, troppo sopra le righe per la lotta politica continua, troppo “indiana” per diventare manifesto della gioventù democratica che affollava le coffe houses.

Eppure, con un fascino mediano tra la Fata Morgana e l’antica sciamana indigena, Buffy si fece portatrice di uno stile originalissimo e colto come pochi. Un canto estroverso costruito su esagerazioni vocaliche e aperture lunghissime anche sulle consonanti, tenute, sospese, blandite, che rendono il canto espressionista e quasi grottesco, inserito per contrasto su una figura minuta e naif come la sua. Una vocalità unica al tempo che declina in folk gli esperimenti magnetici di Berio e Cathy Berberian, prodromo dei tentativi di estremisti quali Tim Buckley o Demetrio Stratos.

Sempre attenta ai fiori che si metteva nei capelli, raccontava tra le altre la favola “Cod’ine” dissertando sul famigerato alcaloide con la stessa acuta doppiezza con cui le fiabe descrivono la casa di Marzapane della dolce Strega di Hansel e Gretel: una squisitissima, irresistibile trappola. Una canzone che mette in guardia dalla codeina esponendone però con dovizia quasi farmaceutica gli strabilianti effetti: lo stordimento, la perdita di memoria, la perdita di sé. Irresistibile, appunto. Soprattutto se sottoposto alla continua lente deformante di una vocalità che piega e modella la materia attorno e sé e se ne infischia del “beat” che rallenta, accelera si ferma di nuovo a piacimento della cantante.

Per ironia, il brano diventerà un “Nugget” pregiato per decine di band californiane più o meno acide che declineranno a piacimento le allusioni sottili del testo, distorcendo quello che in origine pare un intento educativo eppure fin troppo esplicito.

E se alla fine tanto stordimento sonoro sembra impossibile con la sola voce e chitarra acustica, se il roteare, il cadere sotto l’effetto della codeina sembra il ricordo di un sogno recente, quei versi, ripetuti, insistenti -  it’s rrreeeaaalll, it’s reaallllllll – risuonano ancora come un monito sacrosanto, ma a cui è impossibile obbedire.