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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
08/03/2021
John Mayer
Continuum
Una serie di accadimenti speciali portò alla svolta musicale di John Mayer: da rocker per ragazzine a virtuoso della chitarra con la passione per il blues, sua influenza primordiale.

“Quando a inizio 2004 seppi che a Giugno di quell’anno si sarebbe svolto a Dallas il primo Crossroads Guitar Festival e scoprii che il mio nome non era incluso nell’elenco degli invitati me ne feci una ragione: John, non è ancora il tuo momento…”.

Il momento arrivò poche settimane dopo, quando gli impegni inderogabili di alcuni artisti, previsti come ospiti, causarono fortunatamente la chiamata di Mayer alla kermesse delle chitarre.

Stare vicino e in alcuni casi condividere il palco insieme a B.B. King, Buddy Guy, Eric Clapton, Jimmie Vaughan e Robert Cray diedero il la alla svolta musicale dell’artista americano che l’anno successivo pubblicò il potente live Try in trio con i formidabili Steve Jordan e Pino Palladino. Terminava -finalmente, almeno per il sottoscritto- il soft pop rock per ragazzine e cominciava un periodo d’oro per il musicista, pronto a ributtarsi nelle influenze primordiali e a evidenziare le sue doti chitarristiche finora celate a vantaggio di un suono più commerciale. Poteva tornare, ora che era famoso e poteva permetterselo, alle sue radici blues rock e da lì costruire qualcosa di originale, che miscelasse la sua innata vena compositiva a una raggiunta saggezza musicale.

Il passo seguente (a partire da Novembre 2005) fu riconvocare i protagonisti del cambiamento Palladino e Jordan, unirli a pregiati session men come, fra i tanti, Larry Goldings, Ricky Peterson e Willie Weeks, per iniziare la registrazione di Continuum, titolo che gli girava per la testa da oltre un anno, ossessionato dal tempo e le sue variabili.

Il risultato è un album coeso, uscito nel Settembre 2006, che ha ben sopportato il peso del tempo, ricco di intuizioni artistiche, ottimamente prodotto e con la chitarra in primo piano. Da questo punto di vista Mayer è un fiume in piena, ha raggiunto la completa maturità e dalla sua sei corde esce un suono suadente, reminiscente dei grandi bluesmen che lo hanno ispirato, ma al tempo stesso originale, vero e proprio trademark che lo caratterizzerà da ora in futuro. Tutte le canzoni sono costruite sulla stratocaster (sua preferita di allora) eccetto il piacevole celebre intro di synth presente nell’iniziale Waiting On the World To Change. A fronte di una melodia orecchiabile troviamo un assolo breve, ma elettrizzante e un testo pacifista, di critica per l’operato della politica nazionale, che non deborda in una facile banalità. Le successive tre tracce rappresentano il manifesto del disco. I Don’t Trust Myself (With Loving You) è un geniale gioiellino dal groove ammaliante, impreziosito dai fiati del compianto trombettista Roy Hargrove, straordinario personaggio che ha dato tanto e tanto ancora avrebbe potuto offrire al jazz moderno. Belief è il classico pezzo la cui presenza fa la differenza in un’opera: riff indimenticabile, ritornello che è impossibile levarsi dalla mente e un altro ospite speciale, Ben Harper. Immaginate un interminabile meraviglioso viaggio alla scoperta del mondo oppure chilometri su chilometri da macinare per finalmente rivedere il/la vostro/a amato/a…ecco potreste affrontarlo e darvi la carica nel tragitto anche solo grazie all’ascolto in loop di questo piccolo capolavoro e probabilmente avere il desio di proseguire nel percorso pure a meta raggiunta! Le liriche sono un po’ criptiche, enfatizzanti pregi e difetti nell’avere forti convinzioni, indubitabili ideali e intanto scorrono piacevoli “conversazioni sonore” tra John e Ben. Dopo tante fiamme arriva la slow ballad Gravity, già presente in Try (insieme alla grintosa Vultures, presente più avanti nel disco) a raffreddare e addolcire le acque. E’ un altro pezzo da novanta che dimostra l’ormai conclamata capacità camaleontica di Mayer. Da brani tiratissimi a canzoni rilassanti e rilassate. L’album prosegue bene con la delicata Heart Of Life, infarcita di preziosi guitar licks, raggiunge un altro picco con la strepitosa Slow Dancing In A Burning Room, si incarta un po’ su se stesso con Dreaming With a Broken Heart e In Repair, gradevoli, ma un tantino sdolcinate, anche se narrano di relazioni sentimentali in bilico o appena terminate. Rimane interessante in quest’ultima, comunque, la collaborazione con l’eclettico Charlie Hunter, maestro della otto corde.

I temi lirici non cambiano, ma quelli musicali riprendono vigore nell’appassionato finale: I’m Gonna Find Another You richiama magnificamente la tradizione soul, rhythm & blues à la Percy Sledge  con una sezione fiati al completo (i sontuosi Ben Carley, Jack Hale, Jim Horn e Lannie McMillan) da brivido.

Ho lasciato per ultima l’analisi dell’unica cover scelta dall’autore nella raccolta, la famosa Bold As Love. Interpretare l’idolo Hendrix pare scontato e pure pericoloso. L’approccio chitarristico risulta pregevole, mentre è un tantino affaticato e impacciato il canto. Troverà la giusta collocazione in un maestoso live, Where the Light Is: John Mayer Live in Los Angeles, registrato subito l’anno dopo.

Questo prezioso documento dal vivo, pubblicato poi nel 2008, raffigura in forma smagliante il chitarrista che si esibisce in tre set. Dopo una sorprendente performance acustica, prima di quella full band, Mayer ci sciorina il pezzo rispolverando il trio in una versione spiritata (con all’interno pure un pippone “filosofico” sull’amore) da otto minuti e mezzo.

Sarà l’apice, al momento, della sua carriera che proseguirà con una serie di lavori man mano sempre più spenti, privi di estro e nuove idee, anche se ben suonati e prodotti.

Fortunatamente andrà meglio con l’attività live, sempre di livello, con la chicca della partecipazione ai tour dei Dead & Company tra il 2015 e il 2019.


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