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REVIEWSLE RECENSIONI
03/08/2023
Francesco Lettieri
Controfigura
"Controfigura " è un disco tremendamente affascinante, che certifica il talento di un artista come Francesco Lettieri, meritevole senza dubbio di platee più ampie.

Cinque anni dopo L'alieno al cinema, Francesco Lettieri è tornato al disco. Controfigura è il suo secondo lavoro, che ancora una volta ricorre alla metafora cinematografica per riflettere sul rapporto tra l'io e gli altri, tra l’io e la realtà circostante, il tutto all'interno di una forte componente autobiografica. 

Tra questi due album ci sono stati un po’ di premi, tra cui Musicultura, l'AFI, Arezzo Wave Campania e il Pierangelo Bertoli. Nel 2020, infine, è arrivato il tentativo di partecipazione a Sanremo Giovani, dove ha fatto parte dei sessanta finalisti. 

Scritto e arrangiato assieme a Joe Santelli, che si è occupato anche della produzione, impreziosito dalla partecipazione della sezione ritmica della Brunori Sas (Stefano Amato al basso e Massimo Palermo alla batteria), Controfigura è un disco raffinato e complesso, quasi interamente incentrato sul pianoforte, con un songwriting senza dubbio debitore al grande cantautorato italiano (in certi momenti mi ha ricordato le primissime cose di Roberto Vecchioni) ma con una strizzata d’occhio ai Divine Comedy e ad altre realtà internazionali con una forte componente orchestrale e cameristica al proprio interno. 

 

“Cornamuse” è un biglietto da visita perfetto: splendida costruzione melodica, ritornello che accelera e crea uno stacco di intenzioni notevole rispetto alla strofa, anche per mezzo dell'entrata di batteria e archi. È forse il brano di maggiore impatto, sicuramente il migliore per chi scrive, e denota una perfetta padronanza della materia da parte di Francesco, in grado di accostare aperture luminose ad un testo che parla in realtà di un funerale, attraverso una sorta di lettera alla persona amata che alterna il rimpianto per le occasioni perse al desiderio che gli attimi passati insieme non si perdano per sempre. 

Lo stesso grado di elaborazione e di ricercatezza si ritrova nella successiva “Tutta questa gente”, caratterizzata da variazioni melodiche e da soluzioni non scontate, un brano che non è costruito sulla classica alternanza strofa/ritornello bensì su una successione di diversi elementi, legati assieme da un certo feeling operistico. Anche qui il testo è complesso e profondo, per come prende le mosse da uno dei premi vinti in questi ultimi anni e lo associa ad un generale senso di insoddisfazione, l'intuizione che la vita è molto più grande di quello che saremo in grado di vivere con le nostre forze, che le persone che vivono nel mondo sono molte di più di quelle che saremo in grado di conoscere. 

 

“L'inizio della storia” e “Quello che resta” sono due ballate pianistiche, la prima resa più dinamica da una sezione di percussioni, la seconda si avvale di un bel lavoro di orchestrazioni, entrambe sono poi caratterizzate da un crescendo di intensità nella seconda parte, una soluzione che, a ben vedere, è stata adottata in tutto il disco. Sono forse gli episodi maggiormente autobiografici, rivolti entrambi verso la dimensione dell’inizio, che siano le prime ore del mattino oppure gli anni della giovinezza, sono brani in cui convivono aspettative e rimpianti. 

C’è una nota più movimentata in “Mi muovo dentro”, dove viene aggiunta una buona dose di Jazz (mi ha ricordato a tratti due autori come Sergio Caputo e Fabio Concato), per un brano dalle atmosfere spensierate e liberatorie, che racconta in maniera semplice la gioia di essere musicista. 

“Questo non sono io” ha invece molto della performance teatrale, soprattutto per come gioca sullo spoken word, e si avvicina in tal senso alla proposta eclettica di Lucio Leoni. Ad un certo punto arrivano inserti elettronici, con un Synth un po’ tamarro che lui stesso, in una sorta di incursione metatestuale, dice essere simile al tema principale di Beverly Hills Cop. È un episodio musicalmente più atipico ma in un certo senso esemplificativo del linguaggio utilizzato da Francesco che, così come in “Cornamuse”, è in grado di trattare argomenti difficili (in questo caso si parla di un suicidio) con grande leggerezza. 

 

“Il passeggero” è invece una struggente composizione piano e voce, il cui testo riprende una famosa poesia di Bertold Brecht e che sembra un invito a godersi l'istante, la libera contemplazione della bellezza opposta ad una concentrazione eccessiva che rischia di sfociare nell’ansia da prestazione, un tema dunque fin troppo attuale in questi nostri tempi. 

“Diventare” cita musicalmente Niccolò Fabi ed è un pezzo che appartiene alla quota malinconica di questo lavoro, anche qui il crescendo d’intensità è notevolissimo. 

A chiudere abbiamo poi la title track, ancora una volta col piano assoluto protagonista, echi di Battiato e alcune domande in sottofondo: sono veramente io quello che vive la vita? C’è differenza tra il me stesso che suona il piano e quello che vive la quotidianità? Esiste davvero una separazione oppure è possibile riconquistare l'unità della propria esistenza? 

Un disco tremendamente affascinante, che certifica il talento di un artista meritevole senza dubbio di platee più ampie.