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REVIEWSLE RECENSIONI
01/02/2021
Kiwi Jr.
Cooler Returns
A due anni dal debutto i Kiwi Jr. tornano con un secondo album che è ancora più bello del primo. Grazie a un’originale miscela tra indie rock anni Novanta e jangle pop anni Sessanta, i quattro canadesi ci regalano “Cooler Returns”, un lavoro che si candida fin da subito a occupare un posto tra i dischi dell’anno.

Oops!... They did it again, verrebbe da dire parafrasando Britney Spears. Quando nel 2001 sono arrivati gli Strokes (e tutto il revival rock che si sono portati dietro), erano passati poco meno di vent’anni dall’ultimo grande disco newyorchese a base di chitarre (no, Lou Reed non conta), ovvero Destiny Street di Richard Hell and The Voidoids, di cui curiosamente è uscita una ristampa soltanto pochi giorni fa. E ora, a vent’anni esatti da Is This It, ci pensano i Kiwi Jr. a riportarci ancora una volta da quelle parti. Ma se in Inghilterra al momento imperversa una versione 2.0 (o 3.0, dipende se nel conteggio includiamo anche la generazione di Interpol ed Editors) del Post Punk – vedi Idles, shame, Sleaford Mods e Fontaines D.C. – i canadesi Kiwi Jr. guardano anche a casa loro – o meglio, allo stato federato che sta sotto il loro –, incorporando elementi del sound dei Pavement di Brighten the Corners, dei Replacements di Let It Be e anche dei Ramones di End of the Century. Come a dire che a loro sì piace il rock ‘n’ roll fatto di chitarre e melodie sghembe, ma allo stesso tempo curano con attenzione e precisione gli arrangiamenti e la produzione delle canzoni, dando al loro secondo album, Cooler Returs, un’atmosfera allo stesso tempo caotica e precisa, casuale e meticolosa.

Dei Kiwi Jr. (un monicker che ha più di un debito con i Dinosaur Jr. di J Mascis, al quale hanno rubato l’idea di utilizzare il suffisso generazionale per evitare cause legali da parte di band con nomi simili) si è iniziato a parlare nel 2019, quando hanno fatto uscire il loro disco di debutto, Football Money, per la Mint Records. Un album dalla lavorazione lunga e complicata, che ha visto Jeremy Gaudet (voce e chitarra), Brohan Moore (batteria), Mike Walker (basso) e Brian Murphy (chitarra) impegnati praticamente per tre anni, tra scrittura, registrazione e pubblicazione. Con questo Cooler Returns, invece, uscito per la gloriosa Sub Pop, complice la pandemia da Covid-19 e lo stop inevitabile di ogni attività dal vivo, le cose sono state giocoforza più celeri. I membri della band, infatti, hanno passato il 2020 come dei veri e propri travet del rock ‘n’ roll, lavorando in studio con orari da ufficio (9-17), componendo e producendo in completa solitudine il disco nella loro Toronto (unico intruso, l’ingegnere del suono Graham Walsh). Il risultato è un lavoro che da un lato non sposta di un millimetro quanto di buono mostrato in Football Money, e dall’altro riesce nell’impresa di aggiungere nuovi elementi al sound del gruppo, arricchendolo e dandogli colore, grazie all’inserimento di strumenti come il pianoforte, l’organo, l’armonica, le chitarre acustiche (“Nashville Wedding”), il mandolino e lo xylofono (“Dodger”).

Quello che stupisce del disco, però, è come la band, in meno di due anni, sia maturata così tanto, facendo enormi passi avanti sia nella scrittura sia nella produzione, per di più facendo tutto da sola. Infatti, se in Football Money abbondavano i richiami ai Modern Lovers di Jonathan Richman e ai Velvet Underground post John Cale, con un sound molto semplice e diretto che prendeva a piene mani dal proto punk e dal garage, in Cooler Returns i Kiwi Jr. guardano invece a Byrds, Television, Strokes e Pavement, meticciando gli anni Sessanta con i Novanta, come testimoniano “Undecided Voters” e “Maid Marian’s Toast”. E non mancano le sorprese, come “Only Here for the Haircut”, che sembra uscita da uno dei primi dischi solisti di George Harrison, con un impasto tra chitarre acustiche ed elettriche che fa un po’ Phil Spector e un po’ Nigel Godrich. Ma il vero pezzo forte dell’album i Kiwi Jr. lo lasciano per il finale, con l’uno-due composto da “Norma Jean’s Jacket” e “Waiting in Line”, malinconica e nostalgica la prima, veloce e insistente la seconda, con un vago sapore di festa che ricorda molto da vicino alcune cose dei Rockpile di Nick Lowe e Dave Edmunds.

È vero, forse non hanno torto i maligni quando dicono che quanto proposto dai Kiwi Jr. non è poi così diverso da ciò che fanno anche i Parquet Courts e (soprattutto) i Rolling Blackouts Costal. Ma il senso di divertimento e cameratismo sprigionato da Cooler Returns – a cui va aggiunto, e non è cosa da poco, le belle canzoni e una produzione fresca e intelligente – si trova a fatica nella discografia delle altre due band. Insomma, siamo solo a gennaio e già possiamo sbilanciarci dicendo che questo secondo lavoro dei Kiwi Jr. si candida di diritto per un posto tra i migliori dischi del 2021.


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