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REVIEWSLE RECENSIONI
10/11/2025
Sorry
Cosplay
Terzo album per la band di Asha Lorenz, un capolavoro ispirato e intrigante che ne conferma la maturità compositiva e l’assoluta originalità artistica.

Tempo fa, nel corso di una discussione sui social in cui si ridimensionava il “fenomeno” (tra virgolette, in quanto così liquidi da essersi sciolti in un battibaleno) dei Måneskin a cosplayer del rock, e nemmeno poi così originali, l’intuizione di un commentatore tagliava ancora più corto la voglia di gogna dei partecipanti alla querelle rilanciando che, d’altronde, fosse la musica rock in sé a essere un cosplay della vita. Tutto vero? L’identità parallela degli artisti che, al netto del conciarsi o meno con abiti di scena e truccarsi o addirittura ballare per aggiungere valore alla portata delle canzoni proposte interpretano personaggi di fantasia rispetto alla conduzione delle rispettive realtà quotidiane e domestiche, non è altro che un gioco di ruolo, una finzione in carne e ossa. 

Il punto è che è l’identità stessa dei Sorry a essere sfuggente e inafferrabile. Indefinibile, fino a prova contraria, e sta a noi confermarne l’accezione, circoscriverla con bordi e confini per la smania che ci contraddistingue di trovare al volo quello che cerchiamo al posto che deve occupare. Se avete amato a dismisura, come me, 925 e Anywhere But Here, i primi due album della band guidata dai due cantanti Asha Lorenz e Louis O'Bryen, comprenderete questa sensazione di spaesamento. Poche realtà artistiche riescono a risultare così coinvolgenti e a lasciare il segno proponendo un non-genere musicale, un non-stile che, se per non accendere inutili questioni approssimiamo per eccesso nell’incommensurabile famiglia dell’indie rock, oggettivamente si non-caratterizza per così tanti non-richiami a cose che l’hanno preceduto tanto da lasciare l’ascoltatore, per tutto il tempo, con un senso di non-smarrimento fatale.

E il bello è che non possiamo nemmeno tirare in ballo filosofia da tanto al mucchio e parlare di decostruttivismo, astrazioni, o di banali tentativi (per fini meramente commerciali) di musicisti che forzano strutture a tavolino per conferire connotazioni innaturali alle composizioni e, proprio per questo, risultare artificiali, stentate, superfluamente esclusive. In questa chiave di lettura, Cosplay se possibile è un disco ancora più fluido e imperscrutabile e, per questo, monumentale. Provocazioni noise, ammiccamenti trip hop, graffianti sussulti post-punk, collage di sample, cantilene, pose sardoniche secondo la moda del momento, minimalismo lo-fi e aperture mozzafiato contribuiscono a rendere il nuovo album dei Sorry un’opera imperdibile.

 

La spigolosa tracklist di Cosplay si conferma una colonna sonora ai margini, una sintesi consapevole della mole incommensurabile di dati (acustici e non) a cui siamo soggetti quotidianamente ma dei quali non riusciamo a mettere a frutto la connessione. Copiamo e incolliamo, spostiamo e perdiamo l’inizio, la fine e il filo stesso delle cose, e i Sorry interpretano perfettamente, con la loro elegante ispirazione, l’urgenza, i paradossi e la complessità del presente restituendoci un disco squisitamente raffinato. La copia di qualcosa che non è stato nemmeno inventato. I riferimenti alla cultura pop vanno da Walt Disney a Mishima, da Bob Dylan ai Guided By Voices, un minestrone corretto da una propensione alla sperimentazione che ha pochi confronti e caratterizzato da residui palesemente riconoscibili annegati tra dettagli difficilmente rintracciabili, un classico della scrittura dell’era digitale. Anzi, per certi versi quasi superata, ai tempi dell’AI. 

Dalla tagliente elettricità pop di “Echoes” alla cupa e velenosa drum’n’bass post-punk di “Jetplane”, dal passo maestoso di “Love Posture” al temperamento da ballad di “Antelope”, dalle citazioni di “Candle” ai nonsense di “Today Might Be The Hit”, dalle intimità acustiche di “Life In This Body” alle distorsioni elettroniche di “Waxwing”, dalla frammentarietà di “Magic” alla compattezza di “Into The Dark” fino alla visionaria chiusura di “Jive” e il suo infinito loop di accordi che ci accompagna mestamente lungo il fade out conclusivo fino al buio, per poi abbandonarci sbigottiti con una sorta di fugace ghost track completamente agli antipodi, ogni traccia di Cosplay sembra vivere e morire in un alter ego simmetrico in grado di far ripartire, ogni volta, tutto dall’inizio. I Sorry sono una band indiscutibilmente seminale e Cosplay ne conferma il valore, il punto più alto - al momento - della loro carriera.