- Benvenuto da Mr. Breadsounds' Vinyl Shop, in cosa posso esserle utile?
- Buongiorno. Cercavo un regalo per il compleanno della mia ragazza.
- Uhm, capisco. Ha dei gusti particolari? Intendo fuori dalle lenzuola, a giudicare dal fidanzato intuisco già quanto possa annoiarsi in quel senso.
- Come prego?
- Nulla, lasci stare, era solo per metterla a proprio agio. Posso darti del tu? Allora, cos'avevi in mente?
- Ma allora, va matta per Whitney Houston...
- Non dire altro. Mi è arrivato stamattina un nuovo disco che secondo me fa proprio al caso tuo. Dai un'occhiata.
- Pantera? Cowboys from Hell? Ma cos’è? Non mi sembra sia proprio il suo genere...
- Lo so, lo so amico, tu leggi Pantera e automaticamente il tuo cervellino dalla mentalità ristretta come quella di un impiegato dell'ufficio tributi pensa ai tizi coi capelli cotonati e le tutine vista pacco che qualche tempo fa se ne erano usciti con quell’aborto di album di Metal Magic. Ti dò ragione, sembravano i cugini un po' tardi dei Van Halen, ma non è colpa loro, sono texani, le unioni tra consanguinei dalle loro parti sono la normalità, però è un paio d'anni che hanno un nuovo cantante, c'è questo Phil Anselmo alla voce adesso, e si sono evoluti, hanno cambiato genere, è tutta un'altra storia. Ora fanno Groove.
- Groove? Tipo Barry White?
- Eeeeeeeeh, più o meno... Aspetta che metto il disco sul piatto e ti faccio sentire qualcosa.
GGGG - GGGG - GGGG - GGGG - GGGG - GGGG - GGGG - GGGG…
Appena il palm-muting aggressivo che apre la title track risuona nell'impianto, capiamo che in effetti qualcosa è cambiato. Cowboys from Hell, capolavoro della discografia dei Pantera nonché uno dei picchi assoluti del Metal del secolo scorso, uscito il 24 luglio del 1990, è l’album con cui la band di Arlington cambia definitivamente pelle, inscrivendo con il martello pneumatico il proprio nome nella Storia del Rock dopo i non fortunatissimi esperimenti in stile Hair Metal degli anni passati, anche se, dall'entrata in scena di Phil Anselmo nel precedente Power Metal del 1988, iniziano a intravedersi a livello compositivo e di arrangiamenti i Pantera che verranno.
L’opener “Cowboys from Hell” fa capire da subito che stavolta il quartetto texano fa sul serio: il riffing implacabile e inventivo del chitarrista Dimebag Darrell (al secolo Darrell Abbott, precedentemente conosciuto come “Diamond”) coadiuvato dalla batteria massiccia del fratello Vinnie Paul e dalle linee di basso precise di Rex Brown, è un gancio sulla mandibola del povero ascoltatore, che in una manciata di secondi viene ribaltato dal muro di suono prodotto dalla band per poi essere messo alle corde dalla voce di Anselmo che, con il suo timbro ruvido e aggressivo, dimostra di essere il tassello mancante in grado di trasformare finalmente i Pantera da gruppo Hard Rock fotocopia di mille altri a veri innovatori del metallo. Ma il colpo di grazia è il solo di chitarra, allo stesso tempo melodicamente accattivante e tecnicamente ineccepibile, in cui scale diminuite velocissime si alternano senza soluzione di continuità a fraseggi dalle influenze più bluesy, mettendo infine KO il malcapitato.
La doppia cassa in sedicesimi della batteria apre la successiva “Primal Concrete Sledge”, prototipo di quel Groove Metal del quale i Pantera saranno ricordati come i principali esponenti: urla gutturali si alternano alla linea vocale quasi rappata, per arrivare ad un break strumentale dal sapore orientaleggiante in cui il tempo si dimezza fino alla rapida scarica di note in sestine della chitarra, che riporta infine il pezzo sui binari del chorus per la chiusura. “Psycho Holiday”, invece, è un brano oscuro in cui Phil Anselmo racconta di un viaggio immaginario (ehm, oddio avvocato..) a base di alcol e droghe pesanti, mentre i riff frenetici di Dimebag tirano in avanti il tempo sulle strofe per poi schiantarlo indietro sui ritornelli, come a voler simulare l’alternarsi delle sensazioni di euforia e disforia proprie degli stati alterati.
Una mitragliata di armonici filtrati dal flanger funge da intro per “Heresy”, brano in cui parti incalzanti dal sapore Trash Metal si alternano a sezioni più groovy, ad accompagnare un testo caratterizzato dal rifiuto delle dottrine dogmatiche e dalla ricerca di una propria verità che vada al di là del credo imposto dalla religione organizzata, temi che in qualche modo verranno ripresi anche nel brano successivo, con toni però sorprendentemente diversi.
“Cemetery Gates” è infatti introdotta da un arpeggio delicato di chitarra acustica composto da Rex Brown, sul quale un dolente Phil Anselmo cerca risposte rapportandosi con un Dio indifferente dopo la perdita di una persona amata. Su questa power ballad (un unicum nel repertorio dei Pantera) possiamo ammirare tutta la padronanza vocale del cantante, che alterna con facilità un tono quasi sussurrato e melodico a un potente cantato heavy rock sulle sezioni del brano più dure, dimostrando una versatilità e un'estensione che pochi altri vocalist del mondo Metal sono in grado di eguagliare. Il solo di Dimebag Darrell è a sua volta un capolavoro clamoroso che unisce tecnica e sentimento, non un mero sfoggio di abilità meccaniche quanto un vero e proprio specchio delle sensazioni suscitate dalla linea vocale: dopo una prima parte melodica in cui il suono dello strumento sembra spezzarsi in un pianto sconsolato, la sei corde esplode in tutta la sua rabbia, tra rapide scale cromatiche in pennata alternata e fulminei licks pentatonici dove la mano alla tastiera si esibisce in stretching al limite delle possibilità umane, fino a crollare su un dive-bomb finale che ricorda un gemito di dolore.
"First take like a muthafucker!". L’incitamento colorito di Vinnie Paul introduce la fan favorite “Domination”, brano tiratissimo e feroce, impreziosito dall’ennesimo, magniloquente solo di Darrell (impegnato qui a macinare fraseggi sulla scala minore armonica) e soprattutto da uno strepitoso breakdown che, nella semplice alternanza tra battere e levare, insegna a tutte le metal band passate, presenti e future come si fa a spaccare la faccia all’ignaro ascoltatore, con una chitarra armonizzata che ronza come uno sciame di calabroni a sovrastare il tutto.
In “Shattered” la doppia cassa della batteria è di nuovo protagonista, mentre la linea vocale richiama il Metal più classico dei Judas Priest e del loro frontman Rob Halford; stile che in Cowboys from Hell è ancora presente tra gli assi nella manica di Phil Anselmo, prima di approdare al cantato più rauco e aggressivo degli album seguenti. La successiva “Clash with Reality” è una grezza esplosione di rabbia che fa parte di diritto del decalogo del buon pezzo Groove Metal, mentre “Medicine Man” è guidata da un riff di chitarra ipnotico e dalla voce gutturale del cantante che descrive questa figura di “uomo magico” affascinante ma malevolo.
“Message in Blood” è intrisa di un'atmosfera malata, con le raffiche di mitra all’unisono della sezione ritmica che spezzano la linea vocale del ritornello, prima del solo di chitarra contraddistinto da una melodia armonizzata quasi circense, come se stesse suonando qui un folle Brian May alternativo proveniente da qualche altra realtà del Multiverso. “The Sleep”, introdotta da un malinconico arpeggio di chitarra acustica, esplora i temi del sogno mettendone in luce tutti gli aspetti più inquietanti, dove la sensazione predominante è quella di sopravvivenza in un ambiente ostile e disperato.
L’ultimo brano di questa cavalcata all’Inferno è “The Art of Shredding”: dopo un’intro ingannevole con reminiscenze di Metal classico, il brano evolve verso un mix delicato come una bomba nucleare tra sonorità Trash e Groove, un vero e proprio assalto alle orecchie di chi ascolta guidato dal lavoro compatto di basso e batteria, con il riffing indiavolato e un assolo tecnicamente esplosivo del solito Dimebag Darrell a sovrastare il tutto.
- Benvenuto da Mr. Breadsou... Ah, sei di nuovo tu, amico! La signora ha gradito il regalo di compleanno?
- Guarda, anche troppo: un paio di giorni dopo sono tornato a casa e l’ho trovata che si divertiva insieme a due capelloni lerci che sembravano usciti direttamente da This Is Spinal Tap!
- L’ho detto io che si annoiava... Come posso esserti utile stavolta?
- Pensavo a un disco malinconico che possa curare le ferite del mio cuore spezzato, con testi intonati da una voce angelica in cui sentimenti di solitudine e rimpianto la fanno da padrone.
- Ce l’ho: che ne pensi dei Cannibal Corpse?