Non è facile approcciarsi al nuovo album di Bugo dopo l’affaire Sanremo. Quello che è successo durante la quarta serata di gara è sotto gli occhi di tutti e ognuno si è sicuramente fatto la propria opinione. Le varie conferenze stampa e le ospitate televisive dei giorni successivi, inoltre, hanno portato a Morgan e Bugo un’ulteriore dose di notorietà, molto superiore a quella che la semplice partecipazione al Festival avrebbe loro garantito. L’unica a passare in secondo piano, purtroppo, è stata la musica. Ed è un peccato, dal momento che “Sincero” e Cristian Bugatti, nono album in studio di Bugo, sono quanto di meglio il cantautore novarese abbia prodotto negli ultimi anni.
Non è un segreto che Bugo abbia scelto di partecipare al Festival di Sanremo soprattutto per la visibilità che una manifestazione del genere sa offrire. Una scelta assolutamente legittima, visto che l’artista è stato uno dei punti di riferimento della scena indipendente italiana dei primi anni Duemila, ha pubblicato almeno un paio di grandi dischi (Dal lofai al cisei, Golia & Melchiorre, Contatti) e ha anticipato mode e stilemi, arrivando con “C’è crisi” e “Nel giro giusto” quasi alla preveggenza. Il flop di Nuovi rimedi per la miopia, però, ha portato Bugo alla periferia dell’impero, una situazione che il trasferimento in India a seguito della moglie diplomatica non ha contribuito a migliorare. Con il risultato che Bugo si è ritrovato ben presto messo da parte, come avviene spesso in un paese dalla memoria corta come l’Italia. Così, sia l’ottimo Nessuna scala da salire (realizzato assieme a quel Matteo Cantaluppi con il quale ora c’è la fila per lavorare) sia RockBugo (dove il nostro rileggeva il suo repertorio in chiave Oasis) non hanno raccolto quanto effettivamente meritavano. Perché? Difficile dirlo, anche se viene il sospetto che l’unica colpa di Bugo sia stata quella di aver giocato troppo d’anticipo, un po’ come è successo a Dente, ritrovandosi fuori da un gioco del quale aveva contribuito a scrivere le regole.
Ovviamente per Bugo Sanremo era sì un trampolino di lancio in chiave nazionalpopolare, ma anche un punto d’arrivo, a conclusione di un biennio non facile, segnato dal passaggio in Mescal dopo la brusca rottura con Carosello. Il frutto di tanto lavoro è questo Cristian Bugatti, scritto e prodotto assieme ad Andrea Bonomo e Simone Bertolotti (già al lavoro con Marco Mengoni, Francesco Renga, Laura Pausini, Paola Turci e Giusy Ferreri): un disco Pop studiato in ogni dettaglio, costruito tassello su tassello, con il quale Bugo, presentandosi in copertina con il proprio nome e cognome, si rivolge a un pubblico nuovo, e non soltanto a quello che lo ha fin qui sostenuto.
Definito pigramente a inizio Millennio “il Beck delle risaie” per la gamma caleidoscopica di stili musicali di cui erano infarcite le sue canzoni, ricolme com’erano di giochi di parole e immagini surreali, a conti fatti, Bugo in questo nuovo album ha seguito ancora una volta le orme del suo antesignano losangelino, realizzando un disco che ricorda molto da vicino il pluripremiato Colors. E se in quel caso Beck giocava con il Pop degli anni Sessanta e Settanta, in Cristian Bugatti Bugo fa lo stesso con quello italiano, ispirandosi a due dei suoi modelli di riferimento: Vasco Rossi e Lucio Battisti.
Ebbene sì, ad ascoltare attentamente il disco, il convitato di pietra in Cristian Bugatti è proprio Battisti, in special modo i suoi dischi di fine anni Settanta. Spesso e volentieri, infatti, si sentono echi provenienti da Una donna per amico e Una giornata uggiosa, due tra i lavori più internazionali di Lucio, registrati a Londra e prodotti e arrangiati da Geoff Westley. Due album dove – guarda caso – Battisti aveva delegato interamente gli arrangiamenti e non aveva suonato neppure una nota, proprio come ha fatto qui anche Bugo (e non era mai successo prima).
In una struttura Pop Rock tradizionale molto italiana, appaiono allora naturali gli inserti Funky, i richiami alla French touch di Air e Daft Punk, alcuni accenni Disco e l’uso massiccio di archi e fiati. Ma non mancano neanche il Brit Pop, il Rock à la The Killers e quel Techno Pop tanto caro a Morgan: naturale, quindi, chiamarlo a duettare in “Sincero”, un pezzo in tipico stile Bluvertigo e Soerba, impreziosito da un testo nel quale sogni e ambizioni devono fare i conti con la realtà.
Ecco, uno dei punti forti di Cristian Bugatti sono proprio i testi. Perché è bello vedere come si possa fare dell’ottimo Pop e allo stesso tempo fare i conti con sé stessi, scrivendo musica adatta alla propria età, senza facili giovanilismi. Succede in “Fuori dal mondo”, oppure in “Al paese”, legata a filo doppio con La festa del nulla, il romanzo che Bugo ha pubblicato per Rizzoli lo scorso autunno, in un ritratto della provincia tra aspettative e mondo reale. Ma è anche il caso di “Come mi manca”, una ballata di ampio respiro cantata assieme al compagno di etichetta Ermal Meta, nel quale due amici si ritrovano e si raccontano dopo tanto tempo. E sì, viene spontaneo chiedersi cosa sarebbe successo se all’Ariston Bugo si fosse presentato con questo pezzo.
L’album, però, regala anche brani più scanzonati, come l’elogio alla follia positiva e alla creatività di “Quando impazzirò”, la dichiarazione d’intenti di “Come mi pare”, l’invettiva ironica di “Un alieno” e “Che ci vuole”, dove ancora una volta Bugo dimostra di possedere doti da veggente, cantando «Che ci vuole a tirarsela un po’, basta dire che Sanremo fa cagare, ci vuole poco a diventare famosi, basta un vaffanculo in Tv». Senza dimenticare la romantica “Stupido eh?”, dove Bugo congeda l’ascoltatore con la domanda «Io vedi ho bisogno di te, ma tu hai bisogno di me?», affidando la risposta ai tre minuti strumentali che chiudono il disco.
Il Bugo pre-Sanremo era un autore in cerca di una seconda occasione, con 17 mila ascoltatori mensili su Spotify e un grande futuro alle spalle. Sono passate poche settimane, il Festival è diventato per lui un vero e proprio trampolino di lancio e gli ascoltatori sono diventati quasi 700 mila. Forse per Bugo la notorietà è tornata nel modo più inaspettato e improbabile possibile, ma non si può dire che non sia meritata. Speriamo solo che da qui in avanti sia riconosciuta per i contenuti che l’artista ha da offrire piuttosto che per l’ennesimo meme su Facebook.