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REVIEWSLE RECENSIONI
06/08/2025
Däächt
Crying Houses
Il gruppo post punk tedesco Däächt, originario di Ratisbona, pubblica il suo secondo album, Crying Houses, un’immersione in suoni (post) punk interessanti, energetici e non troppo enigmatici.

Il secondo lavoro del promettente gruppo post punk tedesco Däächt, originario di Ratisbona, è composto da dieci tracce cantate in inglese; Crying Houses è un disco interessante e pieno di energia, che però ha anche qualche limite.

I Däächt si sono formati nella città bavarese nel 2017. La compagine attuale è composta da Clement Hoffer (voce), Dennis Scheffer (chitarra), Benedikt Bartl (basso) e Simon Schuster (batteria). Il loro album d’esordio, Lipstick Love, è uscito, per così dire, nel momento sbagliato, ovvero a fine marzo 2020, quando imperversava la pandemia. Per un gruppo punk, che punta molto sulle esibizioni live, è stato un periodo tutto fuorché ideale. Eppure, non appena possibile, i Däächt hanno subito preso gli strumenti in mano e si sono fiondati a suonare dal vivo sui palchi di svariate città tedesche, austriache e svizzere. La loro tenacia e la voglia di far conoscere la propria musica ha portato ai risultati sperati, tant’è vero che poche settimane fa sono riusciti a pubblicare l’avvincente seguito, Crying Houses .

 

Precisiamo subito che Crying Houses è un disco in gran parte autoprodotto. Si parte forte con “Notopia”, una sorta di antitesi contemporanea a qualsiasi immaginario utopico, che però con un sound deciso in un paio di minuti riesce a catturare l’attenzione degli ascoltatori. Se il brano d’apertura ha qualcosa che richiama vagamente ai migliori Jane’s Addiction, quelli che seguono (“Maybe Later” e “Candle”) riescono a soddisfare puntualmente i gusti degli appassionati di musiche à la Offspring.

Altrettanto godibili sono le canzoni “Time Machine”, una riflessione che spinge a scavare in profondità nel senso dell’amicizia, e “White Link”, che, pur parlando di metodo e follia, non cancella affatto dal vocabolario il significato della parola speranza e il ruolo che questo concetto ha per le giovani generazioni, anche in una società difficile e difettosa come può apparire quella odierna. Passando per le validissime “Eden”, “Ticket” e “Mirror” si arriva così sino al pezzo conclusivo “Smile”, che racconta di un senso di confusione tra narrazioni basate su falsità e sulla sempre più difficile ricognizione tra quello che sembra “giusto” e quello che può apparire “sbagliato”.

Crying Houses è indubbiamente un bel disco, parecchio orecchiabile e consigliato per chi non è intimorito dai ritmi (post) punk come, del resto, anche per coloro che hanno deciso di superare la diffidenza verso questo genere musicale e verso la cultura del “do-it-yourself”. Il suono che pervade l’intero disco non è affatto ermetico o enigmatico, anzi, spesso invoglia a riascoltare l’album più volte da capo. Ma questa considerazione offre altresì la chiave di lettura rispetto alla principale carenza di questo lavoro: manca qualche tratto musicale peculiare in grado di definire i Däächt come una band veramente originale e per poterli decretare come un gruppo nuovo ed essenziale nel panorama europeo alternativo contemporaneo. A questo punto, attendiamo di poter dare un giudizio alla loro musica dal vivo, desiderosi di poterli apprezzare in versione live su qualche palcoscenico italiano.