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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
15/11/2021
James Taylor
Dad Loves His Work
E’ giunto il tempo di riscoprire un album che all’epoca ebbe come pregio o difetto, a seconda delle interpretazioni, facilità e piacevolezza d’ascolto. In realtà nasconde un intrigante, turbolento mondo di emozioni reso affascinante dalle vicissitudini borderline affrontate dal cantautore.

Pubblicato in un momento complicato della già tormentata vita di James Taylor, Dad Loves His Work racchiude undici gemme di rara bellezza e rappresenta uno dei suoi dischi più autobiografici.

Sofferenza e solitudine accerchiano il problematico rapporto coniugale, tra rabbia, pentimento e ansia per il futuro dei figli.

La fama e la conseguente necessità come artista di essere a casa poco frequentemente per diffondere la propria musica, a causa di tour, promozioni, interviste e quant’altro, acuiscono le asperità di tutti i giorni all’interno del nucleo familiare. La paura di non essere attento e vicino agli amati pargoli Taylor l’ha ereditata dal burrascoso ricordo del padre, luminare della medicina, che, proprio come lui, si assentava parecchio, lasciandolo in balia di frustrazione e odio per questa situazione. Così la scelta del titolo dell’album è frutto di un percorso curativo nel quale il cantautore vuole tranquillizzare i cari piccoli, Sally e Ben: “Non preoccupatevi, a papà piace il suo lavoro” ed esorcizzare il paradosso dell’amore/disamore verso la professione che svolge, fonte di soddisfazione e ricchezza, ma, a volte, pure di avvilimento e rimpianto dovuti alla continua lontananza.

 

In realtà la difficoltà a tenersi sano mentalmente caratterizza gran parte dell’adolescenza del musicista nato a Boston; un intenso sconforto, associato a malcelata debolezza interiore, sfocia in profonda depressione con tendenze suicide e lo costringe anche al ricovero in un ospedale psichiatrico. La forza di tale personaggio si denota nel fatto che a lungo andare riuscirà a contenere questo male di vivere; la sorprendente capacità di gettarsi nel mondo delle sette note, per scrivere le prime composizioni, lo salverà dal baratro della pazzia.

 

Il giovane James raggiunge la popolarità grazie all’aiuto della casa discografica dei Beatles, durante un viaggio a Londra, città ricordata con nostalgia nella bellissima traccia numero dieci, intitolata "London Town", presente proprio in Dad Loves His Work, e McCartney e Harrison in carne e ossa partecipano alla registrazione del primo omonimo album, nel 1968.  Gli anni settanta portano in dote una sfilza di successi e collaborazioni, e solo verso la fine di quel periodo arriva un po’ di stanchezza, con il deludente Flag (1979).

 

Droga e alcool, oltre all’instabilità psicologica, stanno facendo pagare il loro pegno e il matrimonio con Carly Simon sta andando in frantumi. La convivenza fra due grandissimi artisti non è facile, tra invidie, personali carriere e figli. Ecco contestualizzato il momento in cui nasce l’opera di cui parliamo.

Il libro che narra la storia del loro legame è ormai giunto all’ultimo capitolo e in Taylor si percepisce tutto il dolore e la voglia di cambiare il finale, cercando senza riuscirvi di aggiungere altre pagine felici. Convogliare in musica tali angosce, unite, come si accennava all’inizio, ai ricordi del padre e alla preoccupazione per i suoi bambini, sicuramente non è stato facile, ma oggi questo lavoro, che ha da poco compiuto quarant’anni, suona fresco come non mai, nelle proprie irrisolte battaglie contro il tempo che deteriora ogni rapporto e determina nuove realtà, spesso peggiori di quanto si sperasse.

 

L’iniziale "Hard Times" non fa che confermare tale ipotesi, ha un testo vagamente ottimista, d’altronde siamo al principio del racconto, ma si evince già chiaramente l’avvento di “tempi difficili”.

Sembra rasserenante, di primo acchito, la melodia della suadente "Her Town Too", con il Fender Rhodes del mitico Don Grolnick ad accarezzare tutto il percorso sonoro, e il tocco di John David Souther, storico collaboratore degli Eagles, prezioso all’harmony vocal e nella stesura finale del pezzo, nel quale spicca anche il contributo dei chitarristi Waddy Watchel e Dan Dugmore, altre presenze importanti nell’album. Le liriche sono invece malinconiche e allo stesso tempo dolcemente taglienti, prefiguranti un amore al capolinea. Rimane probabilmente la traccia più famosa e straziante, che contribuisce a infondere nell’ascoltatore nostalgie e rimpianti che mai avrebbe creduto di provare. Potere della musica!

 

Il rock blues di "Hour That the Morning Comes" evidenzia la potenza e l’esperienza di una sezione ritmica che incarna l’eccellenza, con l’onnipresente basso di Leland Sklar e la poderosa batteria di Rick Marotta, due certezze per un brano che parrebbe alludere alla droga e ai problemi a essa collegati, con la descrizione minuziosa e misteriosa di alcuni curiosi personaggi.

"I Will Follow", dolce ballata che suscita speranza, riporta tutto su binari di tranquillità, come "Believe It or Not", anche se alcune frasi di quest’ultima offrono spunti ambigui e non particolarmente confortanti, perfetto trampolino per il tuffo nella tonitruante "Stand and Fight", scritta a quattro mani con Jacob Brackman, e sicuramente fra i vertici del disco. L’armonica di Fingers Taylor taglia a pezzetti un incandescente e duro rhythm and blues, che lancia tuoni e fulmini prima dell’arcobaleno commuovente di "Only for Me": ascoltare con attenzione questa canzone potrebbe far piangere anche il padre più severo.

 

“It happened to me

 wonderful sight

 Only for me

 only for you

It happened to be a light

   shining through

From one who was lost

   and found

Just like me and you”.

 

“E’ accaduto a me, visione meravigliosa, solo per me, solo per te. E’ accaduto che ci sia una luce, che brilla all’interno di una persona smarrita, proprio come me e te.”

 

Il sogno della riconciliazione tra genitore e figlio, che dopo tanti sbagli commessi riscoprono intimità e sotterrano l’ascia di guerra, è perfettamente raffigurato e fa parte dell’io interiore così spesso cercato dall’autore.

 

“James è un sognatore. Sogna tantissimo di essere dove non è, di fare cose che non farà mai, di vivere situazioni mai vissute…Non è altro che uno strano miscuglio di dipendenza e indipendenza, proprio un paradosso. Fin da piccolo sembrava indipendente perché riusciva, e gli riesce tuttora, a starsene in disparte, a chiudersi nel suo guscio. Ma, ad esempio, quando fu spedito a scuola, lontano dai genitori affiorò il suo grande bisogno di connettersi con loro e la cosa divenne critica e traumatica.”                  

                                                        Carly Simon

 

                                                        

E che Taylor sia un personaggio sui generis lo si intuisce anche dall’inserimento dell’allegra e un poco pacchiana "Summer’s Here", inno dedicato alla propria stagione preferita, dopo la struggente e sopra menzionata "Only for Me". Si arriva già al tempo dei saluti con la deliziosa e criptica "Sugar Trade", gioiellino prevalentemente acustico nella cui composizione c’è lo zampino degli amici Jimmy Buffett e Timothy Mayer e dove il cantautore suona chitarra e bass harmonica, ma il finale è per la meravigliosa e profonda "That Lonesome Road", arrangiata  come se fosse un coro a cappella gospel, semplicemente addolcita dal piano del coautore Don Grolnick. Vi partecipano, fra gli altri, oltre ai fidi David Lasley e Arnold McCuller, il produttore del disco Peter Asher e Jennifer Warnes, per una chiusura dalla forte carica emotiva.

 

“Walk down that lonesome road
All by yourself
Don't turn your head
Back over your shoulder
And only stop to rest yourself
When the silver moon
Is shining high above the trees

If I had stopped to listen once or twice
If I had closed my mouth and opened my eyes
If I had cooled my head and warmed my heart
I'd not be on this road tonight…”

“Cammina lungo quella strada solitaria, tutto da solo, non girar mai le spalle e fermati a riposare solo quando la luna argentata brillerà alta sopra gli alberi. Se mi fossi fermato ad ascoltare almeno una o due volte, se avessi chiuso la bocca e aperto gli occhi, se avessi rinfrescato la mia testa calda e intiepidito il mio cuore, non sarei su questa strada stanotte…”

 

James Taylor e Carly Simon annunciano la separazione a Settembre 1981, sei mesi dopo la pubblicazione di Dad Loves His Work e l’autore di "Carolina in My Mind" ne uscirà distrutto, meditando pure il ritiro dalle scene. Sarà la musica, come spesso capita, a salvarlo e a dargli la forza di andare avanti. Inciderà il piacevole That’s Why I’m Here (1985) e vivrà un periodo di costante successo, avvalorato da un’intensa attività live e piccoli capolavori come New Moonshine (1991), Hourglass (1997) fino al recente American Standard (2020) che quest’anno, a Marzo, si aggiudicherà un Grammy.

La vita sentimentale percorrerà nuovamente diversi tragitti, ma ora, genitore da vent’anni anche di due gemelli e felice sposo di Caroline “Kim” Smedvig, il lungo cammino sembra terminato. La strada non è più solitaria: è bello sapere che ci sono le stelle oltre le nuvole, e, altra cosa per lui fondamentale, un tour americano ed europeo è cominciato e lo porterà in giro per parecchi mesi. Papà James ama il suo lavoro ed è, finalmente ripartito, felice.