Benedetti anni ’70 e benedetti Rival Sons, il gruppo che, a tutt’oggi, è probabilmente il miglior interprete delle sonorità risalenti a quel decennio d’oro. Darkfighter è il primo album in studio dal 2019, da quando cioè la band originaria di Long Beach pubblicò Feral Roots, splendido disco con cui ottenne anche una candidatura ai Grammy.
Per lo più scritto e registrato durante la pandemia, questo nuovo lavoro ha dato alla band un'opportunità d'oro per affinare la propria arte e mettere ulteriormente a fuoco il proprio suono distintivo, diventato ancora più ricco e più maturo. I Rival Sons, insomma, dimostrano di essere, se mai ce ne fosse stato bisogno, una macchina da guerra collaudatissima, con un proprio stile e una propria identità, tanto che pigri paragoni con grandi band del passato, Led Zeppelin su tutte, sono ormai solo meri esercizi di stile giornalistico che non hanno più ragione d’essere.
In cabina di regia torna nuovamente Dave “Re Mida” Cobb, che anche fuori dagli steccati dell’americana, si trova meravigliosamente a suo agio. Nello specifico, mette lo zampino pure in alcune delle esecuzioni, e soprattutto, forgia un suono dal tiro pazzesco, capace di essere, al contempo, secco, pulito e letale, ma anche morbido come il velluto. Un disco, quindi, ancora più consapevole e maturo, in cui oltre alla qualità del songwriting, troviamo una band in gran spolvero, professionale al massimo, certo, ma ancora capace di lasciarsi emozionare dalla passione. Il timbro emotivamente inconfondibile di Jay Buchanan, lo scattante istrionismo della chitarra di Scott Holiday, le solide fondamenta create dal batterista Mike Miley e dal bassista Dave Beste, e le pennellate del tastierista Todd Ögren, sono il marchio di fabbrica con cui la band si distingue dalla massa.
Ed è proprio l’hammond di Ögren ad aprire le danze con le prime note di "Mirrors", un brano che solo in parte può richiamare alla memoria gli Zep, visto il riff graffiante di Holiday, ma che poi prende direzioni diverse, in un incastro armonico e complesso di momenti energici e altri deliziosamente delicati. Una canzone, questa, che dimostra come la band, disco dopo disco, sia cresciuta, e non poco, a livello di scrittura.
Ciò è del tutto evidente anche nella successiva "Nobody Wants to Die", in cui Buchanan canta il terrore esistenziale, l'inevitabilità del destino e la realizzazione che la vita è fugace, argomenti probabilmente ispirati dalla pandemia. "Niente ti salverà, ma qualunque cosa tu faccia, ti verrà dietro", canta Buchanan. Una canzone che fila via alla massima velocità, con ritornelli punk rock costruiti attorno a furiosi accordi e strofe cariche di pathos. Un gioiello, insomma.
"Bird in The Hand" è, invece, quanto di più vicino alla classica canzone rock blues che era la formula standard dei primi Rival Sons. Buchanan usa le immagini del battesimo per cantare sulla ricerca della redenzione. "Quando pensi che non ti sia rimasto nessun posto dove andare, è allora che ti aggrappi forte al diavolo che conosci", declama sopra un croccante shuffle blues.
L'esplosiva "Guillotine" è la traccia più pesante di Darkfighter e forse anche la sua canzone migliore. Il brano cambia ripetutamente di tempo e intensità, i ritornelli iniziano piano, con Buchanan che canticchia mentre suona una chitarra acustica, e poi improvvisamente lasciano il passo a una corrosiva potenza, mentre Buchanan letteralmente urla sopra un riff forte e distorto. Hard rock, psichedelia e melodia: un’autentica bomba!
Quei cambiamenti dinamici mostrano il target compositivo della band, che si regge su una sezione ritmica assassina, sul suono della chitarra di Holiday, che sa essere sia caldo che minaccioso, e sulla voce di Buchanan, che si alterna tra un cantato pieno di sentimento e un ululato feroce. Solo otto tracce compongono la scaletta di Darkfighter, ma questi quaranta minuti sono di livello altissimo.
Tra riff rumorosi e hook melodici irresistibili, ogni nota suona essenziale, dando vita a un filotto di composizioni intense e suonate con straordinaria consapevolezza. La band è in evoluzione, e si sente che continua a migliorare. Di certo, questa tavolozza di colori rock blues (ma non solo) dipinge lo status di un gruppo in palla, che scrive grandi canzoni, magari non immediate, ma che quando entrano in circolo, fanno ribollire il sangue. Discone.