Days of being wild può essere considerato come un'opera di passaggio all'interno della filmografia di Wong Kar-wai; se nell'ottimo esordio As days gone by trovavano posto in ampia misura alcuni elementi molto cari al cinema di Hong Kong di quegli anni e che andavano incontro al pubblico, e parliamo principalmente di tutto il côté criminale dell'opera, in questa seconda prova del regista si intuisce una costruzione già proiettata verso quelli che saranno alcuni dei temi poi presenti nei film di maggior successo di Wong Kar-wai, in particolar modo si pensa a quel capolavoro indiscutibile che verrà: In the mood for love. Lo scavo nei sentimenti dei protagonisti diventa centrale, importante il mutamento che questi subiscono nel corso del tempo ma anche, o forse soprattutto, le conseguenze che da questi, o dalla loro mancanza, si scatenano, portando a situazioni esistenziali complesse e spesso foriere di infelicità e desideri inappagati. È l'inizio di un percorso, del passaggio da un cinema ancora condizionato dal mercato e dalla produzione a uno più prettamente d'autore che porterà il regista a essere uno dei più riconosciuti di Hong Kong in quegli anni, così come lo stesso Days of being wild verrà poi considerato uno dei migliori esiti di quella stessa cinematografia.
Siamo negli anni 60 a Hong Kong (come sarà anche per In the mood for love), il giovane Yuddi (Leslie Cheung) tenta di conquistare la bella Su Lizhen (Maggie Cheung) che fa la cassiera presso lo stadio, riuscirà in qualche modo a incantarla con un giochino legato allo scorrere del tempo e a un minuto ricorrente della giornata che diventerà il loro minuto, un po' come altre coppie hanno una loro canzone. Ma quando la loro relazione prenderà il via, i sentimenti di Yuddi non si riveleranno così radicati come i suoi primi sforzi lasciavano supporre, l'uomo si rivelerà freddo tanto da allontanare Su Lizhen. Yuddi si avvicinerà così alla cantante Mimi (Carina Lau), lei come in precedenza era accaduto a Su Lizhen si innamorerà di Yuddi, anche lei verrà presto accantonata. La difficoltà di Yuddi nel trovare un impegno sentimentale, una relazione che possa dare corpo alla sua vita e portarlo alla felicità, è radicata in una mancanza, quella dell'amore della sua vera madre che lo abbandonò da piccolo per affidarlo a una madre adottiva (Rebecca Pan) che per timore di venire abbandonata non vuole rivelare al figlio l'identità della madre naturale. Solo quando finalmente Yuddi riuscirà a mettersi sulle tracce del suo passato, in un viaggio verso le Filippine, capirà ciò che nel corso degli anni per lui è andato perso, ma ora forse è davvero troppo tardi...
Sembra di essere in una Hong Kong sospesa nel tempo in questo Days of being wild, la metropoli è tratteggiata tramite pochi angoli, quasi invisibile, ne cogliamo solo vicoli stretti, particolari, inquadrature che riportano alla mente altro per chi già ha avuto modo di ammirare le successive opere del regista: le strade buie, i personaggi accostati ai muri, la pioggia battente e soprattutto quella sensazione d'attesa (qui ben chiarificata dalle scene con la cabina telefonica), quella presenza costante di sentimenti sospesi, inesplosi, inespressi che donano profondità alla narrazione. Come si diceva in apertura è una fase di passaggio, il film non è ancora completamente a fuoco, in alcuni punti addirittura enigmatico, come nel caso della comparsa sul finale di Tony Leung, futuro protagonista di In the mood for love, c'è già però tutto il fascino dell'opera di un regista che sa come catturare il pubblico, interessato ai sentimenti e ai tormenti dell'animo umano, schiavo di sé stesso e del tempo, degli eventi, forse anche della predestinazione. Prove di stile, già significanti, un'apertura verso un discorso che porterà a grandi risultati.