La diciannovenne Diane Edwards lavorava come cameriera al ristorante Perkins nella zona ovest di St. Paul. Quella sera del 1980, uscita dal lavoro, decise che avrebbe fatto una passeggiata per tornare a casa. Joseph Ture Jr., Joe per gli amici, la vide e le offrì un passaggio.
Due settimane dopo, il corpo di Diane fu ritrovato completamente nudo, martoriato da diverse pugnalate, i vestiti che indossava accuratamente impilati lì a pochi passi, la faccia giù in un fosso. A seguito delle indagini (e dell’arresto di Joe), la polizia scoprì altri stupri e omicidi commessi dall’uomo, il quale, a tutt’oggi, si dichiara innocente.
“Diane”, seconda traccia del lato B dell’EP Metal Circus pubblicato dal terzetto di St.Paul nel 1983, è una pietra miliare, un punto di svolta chiave nella storia degli Hüsker Dü, poiché segna il passaggio dall’hardcore crudo e devastante che fino a quel momento era stata la loro precipua cifra stilistica, a un songwriting che, pur senza mai perdere l’ethos punk e ancorandosi in modo obliquo alla tradizione americana, si sposterà sempre di più verso territori pop sperimentali che ridefiniranno (o, si potrebbe addirittura affermare, “inventeranno”) il concetto di alternative rock nei decenni successivi.
Hey, little girl, do you need a ride?
Well, I’ve got room in my wagon, why don’t you hop inside?
We could cruise down Robert Street all night long
But I think I’ll just rape you and kill you instead.
Diane. Diane. Diane
Scritta da Grant Hart, la canzone parla dalla prospettiva dello stupratore, cosa che diede luogo ad alcune polemiche e fraintendimenti. “Non è una canzone pro-stupro,” disse Bob Mould all’epoca, “e mi dispiace per la gente che prende queste cose alla lettera, ma è un rischio che si corre ogni volta che si ha che fare con l’esprimersi a voce o per iscritto, immagino. Alla gente piacciono le cose facili.”
I heard there's a party down at Lake Cove
It would be so much easier if I drove
We could check it out, we could go and see
Oh won't you come and take a ride with me.
Diane. Diane. Diane.
Come ogni grande canzone che affronta argomenti scomodi e pericolosi, anche “Diane”, pur nella sua crudezza, offre una catarsi che si compie nell’indimenticabile ritornello: il nome della ragazza, gridato con dolente, melodica disperazione per tre volte, gela il sangue e pare quasi un pianto. La batteria inizia minacciosa come la tragedia che sta per incombere sulla ragazza e la chitarra di Mould sferza lancinanti presagi, che a metà del brano si fanno incandescenti come avvertimenti inascoltati.
In una intervista rilasciata nel 2012, Grant Hart (che, ricordiamo, morì a 56 anni per un cancro al fegato il 13 settembre del 2017) ci tenne a spiegare come fosse cambiato il suo personale sentire verso la canzone: “Smisi di suonarla perché non sopportavo più di dover indossare la maschera di un mostro. Quando uscì il libro su Joseph Ture Jr. [Justice for Marlys by John Munday, 2004], lo lessi e mi fece male anche fisicamente. Sull’assassinio di Diane c’erano poche informazioni. La crudeltà delle confessioni di questo psicopatico mi fece sentire autodistruttivo.”
We could lay in the weeds for a little while
I'll put your clothes in a nice, neat little pile
You're the cutest girl I've ever seen in my life
It's all over now, and with my knife.
Diane. Diane. Diane.