Da Kalamazoo, Michigan, i God Bullies[1] misero a ferro e fuoco il Midwest per circa un lustro e cinque album prima di venire probabilmente inghiottiti da un crepaccio infernale.
Essi organizzarono una serie di sarabande elettriche contrassegnate dall'interpretazione di Hard (più che un cantante un candidato alla camicia di forza) materiata da urla trattenute, gemiti distorti, singulti recitativi; dal lavoro di Livingstone, ricco di riff pesanti e ripetitivi; da inserzioni sonore spurie (dialoghi ripresi dalla televisione, comizi, finti annunci...). Il risultato è una bolgia sferragliante, con echi di Cramps e Sisters Of Mercy, densa di episodi sonori degni di una camera imbottita, spesso ispirati dal grand-guignol cinematografico, e tuttavia sempre melodicamente riconoscibili e dotati di una propria interna ironia (raggelante). Nel capolavoro Mama Womb Womb non ci sono cadute, da “Act Of Desire” a “Creepy People”, da “All I Want Is My Mamma” a “Shit” (in cui un Hard assolutamente antipetrarchesco piagnucola: “you're ugly and I love you oh shit”) sino a “Follow The Leader” (allude a Jim Jones, il predicatore che si suicidò nella Guyana assieme a 911 adepti).
I successivi Plastic Eye Miracle e Dog Show (1990) non allentano la tensione, anzi. Nello stesso anno viene inoltre pubblicato il doppio 7'' “Join Satan's Army” che vale davvero come manifesto. I God Bullies aggiungono code di rospo e denti di lupo al loro fumante calderone: “It's Over”, “She's Wild”, “Let's Go To Hell”, “Do It Again”, “I Am Invisible” sono eccezionali rock 'n' roll (con tocchi hard) depravati ed eccitanti in cui il tono franto e scheggiato del primo album è abbandonato a favore di una sepolcrale compattezza che si abbandona persino alla ballata (“Abigail”). Il livello è sempre alto. Il successivo War On Everybody non molla la presa: la sezione ritmica è più pesante e marziale (“Automaker”), Hard ripristina l'interpretazione vecchia maniera, minacciosa e filtrata (“Book Report Time”), e si ritrovano le incastonature di materiale sonoro diverso (“Senojmot”), tanto più inquietanti poiché immesse in un contesto in cui la scorza più facile e gigioneggiante sottintende un tono da tragedia universale irrimediabile (vedi anche il dialogo “Pretty On The Inside”, nell'ultimo, imperdibile, Kill The King, sottolineato da distorsioni chitarristiche e litanie alla Goblin).
Come spesso accade in terra americana anche i God Bullies, dietro una figura truce e più facilmente riconoscibile nella sua sovversività, rivelano in filigrana un disagio profondo, sociale e metafisico, che è la fonte prima e reale delle loro devastazioni sonore.
[1] Mike Hard (voce); David Livingstone (chitarra, tastiere); Mike Corso (basso); Adam Berg (batteria), questi ultimi due sostituiti rispettivamente da Eric Polcyn e Toni Oliveri dal terzo album in poi.