Partiamo con un po' di storia antica. Nel 1983, una manciata di ragazzi svizzeri che poi andranno a formare la road crew dei mitici Celtic Frost, decide di fondare un gruppo con un nome leggermente inquietante. Dopo numerosi rimpasti, al batterista Marky Edelmann si aggiungeranno il bassista Ron Broder e il batterista Tommy Vetterli. Il leader dei Celtic Frost, Tom G. Warrior crede così tanto in loro da decidere di cantare nel loro primo e leggendario demo Death Cult. Il successo di quelle quattro tracce porterà la band a un meritato contratto discografico con la Noise (casa discografica tedesca che negli anni Ottanta ebbe un’importanza decisiva nell’espansione commerciale dell’heavy metal) e al debutto R.I.P., che gioca con i consueti temi mortiferi, si rivela certamente devoto alla band madre ma mostra anche quel qualcosa in più che sarà esplorato nelle uscite successive.
Come si usava all’epoca, i tre musicisti si trincerano dietro a importanti pseudonimi come Ron Royce, Tommy T. Baron e Marquis Marky, ma soprattutto fanno subito capire di avere una loro identità ben spiccata, grazie soprattutto a una capacità tecnica decisamente fuori dal comune, soprattutto evidente nel chitarrista Vetterli, ispirato dal genere neoclassico che andava alla grande all’epoca, ma anche deciso a inserirlo in un contesto decisamente più duro ed estremo.
Parliamo della fine degli anni Ottanta, dove tra il “vero” metal degli epici Manowar e il glam americano che vendeva milioni di dischi, la musica pesante era rappresentata dal Thrash di Anthrax, Megadeth, Metallica e Testament, dove l’impatto era devastante e sicuramente era presente quale leggero elemento più “progressive”, ma in Europa i Coroner mostravano un lato inedito della medaglia, molto più cupo, contorto e malsano, che diversi anni dopo sarebbe stato d’ispirazione per band di grande talento, saranno acclamate e venderanno tanti album, come Lamb Of God, Meshuggah e Nevermore.
I Coroner invece no. Producono una maniata di album magistrali ma sono evidentemente arrivati troppo presto. Il loro quinto e ultimo album Grin esce nel 1993, nella famosa epoca “grunge”, spinge ancora di più sul versante della sperimentazione e viene a malapena notato. Il gruppo resiste ancora qualche anno, ma nel 1996 si eclissa, dopo un malinconico Greatest hits.
Gli anni passano, il culto silente si espande e nel 2010 sono i fan stessi ad acclamare il ritorno dei Coroner nella formazione storica, ma solo per diversi concerti speciali e celebrativi. Nel 2014 Marquis Marky dichiara il suo addio, ma il gruppo decide di continuare, reclutando il batterista Diego Rapacchietti (già nei 69 Chambers e musicista in studio con Tommy Vetterli, ora diventato produttore di una certa fama).
I tour si susseguono con una certa continuità ma soprattutto la band si mette al lavoro sul nuovo album già nel 2015 e poi alterne vicende umane e la botta del Covid, sembrano prolungare sempre di più l’attesa. La band che vediamo a supporto dei Pantera nella data bolognese del The Return Of The Gods è in forma magistrale e offre un vero e proprio trattato di cattiveria chirurgica distillata in musica, in un pomeriggio bollente e micidiale. E il nuovo disco? Fluttua ancora nell’aria ma nessuno vuole illudere i fan.
Due anni dopo è finalmente arrivato il momento, 32 anni dopo l’ultimo disco. Tommy Vetterli ci ha lavorato talmente tanto in studio che ha deciso di passare la fase del mixing al collaudato Jens Bogren dei Fascination Street. Chi si aspettata un lavoro datato o il ritorno di un culto “piccolo” si ritroverà davanti a un capolavoro moderno, distopico e alienante, e gli underdog oggi sono diventati i maestri da seguire.
I Coroner, con queste dieci tracce, spazzano via gli allievi e tutto quello che di contemporaneo viene trattato come “musica estrema”. Il suono è profondamente attuale, gelido e assassino ma anche perfettamente lucido e pieno. Nessuna nostalgia. Tutti i testi ruotano attorno al concetto di “dissociazione cognitiva”, cioè il conflitto che si scatena nella mente di un individuo quando alcuni aspetti della sua vita sono in contrasto fra di loro. Il tema di fondo è che ci sono diverse verità per ogni cosa, a seconda del punto di vista; non esiste una verità che valga per tutti.
Dissonance Theory non è uno spietato assalto all’arma bianca ma un caleidoscopio sonoro che vince perché vario e perennemente spiazzante. Ogni brano ha un ritmo diverso e funziona per un motivo semplicissimo: è una grande canzone, composta con classe immensa e inattaccabile da qualunque punto la si voglia affrontare. La voce di Ron Broder è abrasiva ma anche espressiva, la sezione ritmica implacabile quanto multiforme, mentre la chitarra di Vetterli è la luce nell’oscurità e cosparge di genio una serie di assoli melodici, cantabili e sinceramente impareggiabili.
L’hammond settantiano e la coda progressive rock dell’epilogo “Prolonging” potrebbero sorprendere i più, ma è solo l’evoluzione logica di un lavoro che sconvolge in ogni minuto della sua esistenza e porta a un livello superiore il metal estremo, senza effetti speciali ma con una montagna di sostanza pura e dura.
Ecco a voi il disco Re del 2025, totalmente lanciato verso il futuro. Dissonante e anche melodico, distopico e oscuro, come siamo noi oggi e come è il mondo in cui viviamo. Un album così va acquistato e consumato. Facciamo diventare i Coroner quello che meritano: primi nelle classifiche del metal.