Trent’anni di carriera alle spalle, undici album in studio pubblicati, i britannici Threshold sono quelli che si possono definire come una vera e propria “istituzione” della scena prog metal. Al dodicesimo capitolo della loro corposa discografia, che vede alla voce Glynn Morgan, vocalist della prima ora, nuovamente arruolato alla causa dal precedente Legends Of The Shires (2017), i progster inglesi si confermano band di altissimo livello, clamorosamente in forma, nonostante il lungo tempo trascorso dai loro esordi.
Ognuna delle dieci tracce di cui si compone questo Dividing Lines è, infatti, realizzata per offrire all'ascoltatore la migliore esperienza sonora possibile, riunendo tutti gli elementi del rock classico sotto l’egida di un inimitabile stile progressivo, che è il marchio di fabbrica dei Threshold.
"Haunted" dà il via alla scaletta, palesando immediatamente le peculiarità di un suono scintillante: un riff di chitarra potente, rabbioso, che inchioda all’ascolto con un ringhio minaccioso, la batteria martellante e la voce ispida di Morgan, e poi, quelle straordinarie aperture melodiche, perfettamente incastonate nella dura pietra del rock. Un’apertura memorabile, seguita dai sei minuti di "Hall Of Echoes", un altro gioiello di melodia che si sviluppa su un tiro power metal dalle caratteristiche innodiche, sull’interazione perfetta tra tastiere e chitarra, e che sfocia in un ritornello da mandare a memoria fin dal primo ascolto.
Una fantastica introduzione alla tastiera apre "Let It Burn", un brano dal piglio galoppante, trainato da una linea di basso incalzante, e da un lavoro alla chitarra di Karl Groom che rasenta la perfezione. "Silenced" è prog moderno al 100%, si apre alla grande con voci in stile androide, e si sviluppa su un fragoroso ritmo di batteria e un lick pesante di chitarra, mentre un geniale riff di tastiera dal sapore funky, attraversa la traccia aggiungendo un tocco atmosferico. La bravura dei Threshold, come si evince da questi brani iniziali, sta soprattutto nel mascherare la pesantezza del metal con un approccio molto melodico, ma non zuccherino, dando vita a un equilibrio del quale ci si accorge solo dopo ripetuti ascolti.
"The Domino Effect" è la prima suite del disco, un brano di undici minuti costruito con gusto e intelligenza: l’introduzione morbida e melodica viene spazzata via da una ritmica aggressiva avvolta in un backup sinfonico. Si batte il piede, certo, ma è impossibile non accorgersi del lavoro straordinario in fase di composizione e arrangiamenti messo in opera dalla band. Trascinante fino a metà, il brano poi apre a una pausa molto melodica, quasi radiofonica, che include un assolo epico di Groom, per correre via veloce verso un finale super prog, con un incredibile duello fra tastiere e chitarra, che evoca, inevitabilmente, gli eroi che portarono in auge il genere negli anni ’70.
"Complex" possiede un tiro potente, riff di chitarra aggressivo, basso e batteria che sparano autentici fuochi d’artificio, e una bizzarra partitura di tastiere spolverata da Richard West attraversa tutto il brano con un effetto fascinoso e straniante. "King Of Nothing" è costruito su drumming inesorabile, sostenuto da bassi pesanti e chitarre schiaccianti, un filo di elettronica e la voce melodica di Morgan a stemperare il ringhio metal della traccia.
Il senso del ritmo dei Threshold è quasi irreale tanto è perfetto, e quando parte "Lost Along The Way", sarà impossibile trattenersi dall’headbagging, salvo poi abbandonarsi a un ritornello super melodico, circondato da bassi ronzanti e un irresistibile groove di chitarra e tastiera. I quattro minuti di "Run" si sviluppano su un mood più oscuro, quasi angosciato, e sfociano in un finale in crescendo, una frenetica chiosa che culmina con l’ennesimo solo stratosferico di Groom.
L'album termina con "Defence Condition", altra suite di dieci minuti, una sorta di ulteriore vademecum di ciò di cui sono capaci i Threshold: è atmosferica, è pesante, è veloce, è melodica, è lenta, è straordinariamente tecnica, è, soprattutto, la testimonianza dell'indubbia abilità di una band che ha pochi eguali in ambito di prog moderno. Tanto che, nonostante l’ora abbondante della scaletta, non esiste un solo momento di stanca, e il desiderio, quando il disco finisce, è quello di riascoltarlo ancora e ancora. Chi ama il rock progressive, al netto di alcune escursioni nel metal, troverà probabilmente in Dividing Lines il suo disco preferito del 2022, posizionandolo alla stessa altezza del celebrato ritorno dei Porcupine Tree. Un autentico gioiello