Sergio Corbucci è stato uno di quei registi che hanno lavorato tanto e nel corso delle loro carriere hanno attraversato i generi, curandosi più di portare avanti un discorso su un modo di fare cinema artigianale e onesto che non di seguire un vero e proprio percorso autoriale inteso nel senso più stretto, come oggi noi lo intendiamo.
Magari Corbucci in alcuni periodi autore lo è anche stato, nel novero ristretto di un genere o nell'approccio alla sua arte, non di meno il regista romano non si è fatto scrupolo di abbandonare i generi che lo hanno portato alla grande notorietà, lo spaghetti western su tutti, per inseguire le necessità di un pubblico che è sempre stato il suo primo referente.
Nel 2021 arriva questo omaggio sentito e sincero a opera di Luca Rea (e Steve Della Casa) che per raccontarci il Corbucci regista, con un focus sul suo periodo western, chiama in causa quello che è senza dubbio uno dei suoi fan più affezionati, il Quentin Tarantino di Django Unchained e C'era una volta a... Hollywood, che già nei suoi film ha più volte esplicitato il suo amore per il regista nostro connazionale. A dar manforte a Tarantino ci sono il regista Ruggero Deodato che con Corbucci lavorò in gioventù, e il suo attore feticcio, Franco Nero, interprete del ruolo più iconico della sua carriera e probabilmente di tutto lo spaghetti western che non fu di Sergio Leone, che fu un discorso a parte.
Il ruolo è ovviamente quello di Django. A tenere viva l'attenzione dello spettatore, oltre a un argomento di grande interesse non solo per chi ama il nostro western, c'è proprio la capacità affabulatoria di Tarantino, che ha un talento esagerato nel raccontare i suoi punti di vista e nel trasmettere quell'amore e quella passione genuina che nutre per il cinema, per il lavoro di Corbucci e per il western, che se pure può trovare qua e là qualche forzatura non può mancare di avvincere il pubblico che un po' pende dalle sue labbra.
Django & Django si apre con un racconto nel racconto, è quello dell'incontro tra Rick Dalton, personaggio interpretato da Leonardo Di Caprio in C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino, con il regista Sergio Corbucci, un incontro che si svolge nel "dietro le quinte" del film di Tarantino e che ovviamente, essendo Dalton un personaggio fittizio, non è mai avvenuto, ma questo poco importa. Sia come sia Dalton, noto attore di western americani, convinto dal suo manager vola in Italia per rilanciare la sua carriera nello spaghetti; giunto nel bel paese Dalton incontra per una cena il grande Sergio. Convinto per errore di aver davanti Leone e non Corbucci l'attore americano, che di spaghetti western non capisce nulla, infila un paio di figure di merda non da poco, rischiando di mandare a monte l'intera operazione. Ma Corbucci è un uomo comprensivo e alla fine Dalton riuscirà a lavorare con quello che si rivelerà essere un grande maestro del genere.
Questa sequenza (animata) apre il documentario di Rea e dimostra più che la grandezza di Corbucci l'amore che per lui ha Quentin Tarantino, segue una riproposizione di filmati d'epoca che ci inseriscono nel contesto, nel periodo storico, con numerosi poster dei western di quegli anni esposti davanti ai cinema, la Roma del periodo, le Fiat 600 per strada, Renzo Arbore alla radio. Quentin inizia il suo show fatto di dedizione e ammirazione per il lavoro di Corbucci nel suo "periodo western", ne ipotizza anche un percorso d'autore (tutto da verificare in realtà) che vede i western di Corbucci in chiave di critica al fascismo e alle figure autoritarie, invise in effetti al regista come da lui stesso confermato in qualche intervista d'epoca.
Ovviamente quella che qui ascoltiamo è la versione di Quentin, un'innamorato che traccia il suo percorso critico col cuore, focalizzando l'attenzione su alcuni film, tralasciandone altri, seguendo un fil rouge basato su fatti (e film) concreti dandone un'interpretazione che lo spettatore può decidere se sposare o meno, e tutto ciò è anche un po' il bello di quell'amore che trasuda da ognuna delle parole spese da Tarantino sull'argomento.
Secondo il regista di Pulp Fiction c'è un Corbucci pre Leone (e quindi pre Trilogia del dollaro) e uno successivo; il primo più vicino al western e al cinema americano, il secondo indubbiamente italiano e lanciato verso il titolo di "secondo miglior regista dello spaghetti", perché Leone era pur sempre Leone, inarrivabile.
La situazione di fermento del periodo ce la illustra Ruggero Deodato con alcuni aneddoti: all'epoca si giravano talmente tanti western che se un cavallo si allontanava troppo si trovava protagonista sul set di un altro film dice Deodato. Tema centrale è la violenza nei western di Corbucci, uno crudele come afferma Deodato che dice di aver imparato la crudeltà proprio da Corbucci, con quella ci fece poi cose come Cannibal Holocaust.
Tarantino analizza anche il timbro diverso della violenza in Corbucci e in Leone, regista più epico che cattivo, descrive il lavoro fatto su protagonisti, spalle e antagonisti con teorie molto interessanti, tra personaggi sexy e caratteristiche da fumetto, mentre Franco Nero sottolinea la valenza politica dei film fatti con Corbucci. Dal canto suo Rea alterna le interviste frontali a materiali di repertorio con lo stesso Corbucci, sequenze prese dai film ad analisi su singoli elementi del cinema del regista romano. Quello che ne esce è un documentario sincero, appassionato, magari non esaustivo ma sempre avvincente e divertente da seguire e rivolto non per forza ai soli cultori. Per i fan di Corbucci, ma anche per quelli di Tarantino, un appuntamento da non perdere.