In un mondo scompaginato da continui stravolgimenti e dominato dall’incertezza, poche cose sono affidabili come un nuovo disco dei Black Label Society. Negli ultimi due decenni, Zakk Wylde e i suoi adepti hanno sfornato dieci album in studio e, a parte la malinconica deviazione di Hangover Music Vol. 6, ognuno di questi ha portato con sè un’incandescente magma di metallo, alimentato da furiosi riff di chitarra. Arrivata all’undicesima prova, la creatura del chitarrista originario del New Jersey continua a esprimersi attraverso uno schema ormai consolidato, che è, allo stesso tempo, il principale punto di forza e di debolezza di Doom Crew Inc.
Il disco inizia con "Set You Free", il suono cadenzato di una dolce chitarra acustica, spazzato via, dopo pochi secondi, da uno di quei clamorosi riff a ritmo medio, che sono il pane quotidiano di Wylde: non sono mai particolarmente veloci, ma il loro slancio è inarrestabile. "Destroy & Conquer" alza ulteriormente il tiro con un paludoso groove metal dagli accenti southern, "You Made Me Want To" risucchia l’ascoltatore in vortici space-rock, prima che "Forever And A Day" introduca al lato più gentile della band, quello delle ballate malinconiche, che sono un marchio di fabbrica di Wylde al pari della sua tecnica chitarrista. Non solo il suo nome, infatti, è sinonimo di un modo fenomenale di suonare la chitarra, ma anche del suo innegabile talento di scrittura, soprattutto, strano a dirsi, quando rallenta il ritmo delle composizioni. Non è, quindi, un caso che alcuni dei momenti migliori del disco siano racchiusi proprio nella citata "Forever And A Day", in "Love Reign Down" e nella conclusiva "Farewell Ballad", gli altri due lentoni strappalacrime presenti in scaletta.
Se è del tutto evidente che la musica dei Black Label Society si muova attraverso le coordinate di un canovaccio immutabile, una novità si può individuare nel diverso ruolo, più preponderante, attribuito al secondo chitarrista, Dario Lorina, che dalle retrovie ritmiche passa a co-protagonista, con il risultato che Doom Crew Inc. presenta melodie per doppia chitarra e incandescenti assoli fra loro intrecciati. Basta ascoltare i doppi riff sovrapposti di "Ruins", che suonano in modo superbo e consentono a Lorina di dimostrare di essersi guadagnato il suo posto al fianco di Wylde: quando le schermaglie di questi due virtuosi dello strumento prendono vita all’interno di un brano, il risultato è di disarmante bellezza.
E’ questo, l’unico elemento interessante di un disco che suona esattamente come tutti i dischi dei Black Label Society: una band consapevole e straordinariamente solida, che continua a fare benissimo il suo, senza cercare nuove strade espressive. Come dicevamo a inizio recensione, questa attitudine è un grande punto di forza ma anche un limite. Dipende dai punti di vista.