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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/03/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Battista
“Tossico”, con le sue chitarre distorte e la sua vocalità sgraziata, rappresenta un grido di frustrazione per le promesse mancate di una vita intera; non è però una canzone disperata e si accompagna ad una serie di brani che hanno il pregio di affrontare la realtà, senza la paura di rifugiarsi dietro scenari consolatori. Ho avuto la possibilità di ascoltare il disco in anteprima e nel frattempo ho raggiunto Battista per una conversazione telefonica parecchio piacevole...

Evito di fare previsioni perché ormai si contano a decine i progetti di cui ho cantato le lodi e a cui ho profetizzato gloriosi successi, che sono da tempo inesorabilmente spariti dai radar. Al di là delle mie inesistenti capacità di talent scout e di critico musicale, oggi la situazione del mercato è senza dubbio complessa, è inutile stare a ripetere il perché, ed il valore effettivo di un artista o di un gruppo non è di per sé fattore sufficiente a garantirne l’avvenire. Se era già così negli anni importanti della discografia, è ancora più difficile e imprevedibile nel contesto odierno.

Per cui consentitemi semplicemente di segnalare un nome, in totale libertà: Battista. L’artista abruzzese ha la spigolosità del Garage Rock, il carattere dimesso di una New Wave in chiave Lo Fi ma anche la scintillante limpidezza e apertura melodica del miglior cantautorato. Influenze diverse, anche antitetiche tra loro, che al contrario di quel che si potrebbe pensare si equilibrano alla perfezione, dando vita a canzoni dalla chiara impronta decadente, ma dove affiorano talora sprazzi di luce, pur se rigorosamente all’interno di un quadro che celebra la sconfitta di una generazione.

Lo abbiamo conosciuto con il singolo “Tossico”, uscito qualche settimana fa e apripista di un progetto nuovo che però, come abbiamo appreso in diretta da lui, non rappresenta il suo vero e proprio debutto in studio, visto che qualcosa era già uscito in precedenza, seppur poco pubblicizzato.

“Tossico”, con le sue chitarre distorte e la sua vocalità sgraziata, rappresenta un grido di frustrazione per le promesse mancate di una vita intera; non è però una canzone disperata e si accompagna ad una serie di brani che trattano tematiche diverse ma che hanno il pregio di affrontare la realtà, senza la paura di rifugiarsi dietro scenari consolatori o colate melense di politically correct. Ho avuto la possibilità di ascoltare il disco (ancora senza titolo) in anteprima e posso dire che ci sarà da divertirsi. Nel frattempo ho raggiunto Battista per una conversazione telefonica parecchio piacevole, occasione perfetta per conoscerlo meglio in attesa delle mosse future.

 

 

Direi per prima cosa di raccontare un po’ di te, di come hai iniziato a suonare e di come è nato questo progetto.

Ho cominciato a suonare a 12 anni, prima con la chitarra elettrica, poi con quella classica. Ho frequentato il Conservatorio ma ho sempre avuto la passione per la composizione. Ho iniziato a scrivere sin da piccolo, non appena ho iniziato ad imparare, studiare lo strumento e comporre le prime canzoni erano due attività che andavano di pari passo. In un primo momento ho suonato con delle band, poi ho provato ad andare da solo. Nel 2020 infine ho pubblicato il mio primo singolo ma è arrivato il Covid quindi puoi immaginare (risate NDA)!

Sono comunque andato avanti comunque: questa di scrivere è un’esigenza, non potrei fare altrimenti…

 

Quindi avevi già pubblicato qualcosa prima di “Tossico”? Me lo sono perso…

Sono usciti alcuni singoli che sono stati in seguito raccolti in un album. L’ho fatto assieme ad Andrea Maceroni, produttore e fonico, proprietario dello Slam Studio, in zona mia. Successivamente, tramite un contest, ho conosciuto Marco Di Nardo dei Management del Dolore Post operatorio e abbiamo deciso di intraprendere questa avventura insieme. Questo quindi sarebbe il secondo disco, anche se il primo non ho mai voluto promuoverlo davvero, era più una raccolta di cose sparse, alcune cose prodotte, altre suonate e cantate da me solo, registrate davanti al Pc. questo invece è un lavoro più omogeneo, anche a livello di sound. Volevo però chiudere un capitolo, anche soprattutto per lanciare questo nuovo progetto.

 

Si tratta ugualmente di un inizio, quindi.

Sì, per il fatto che io e Marco abbiamo lavorato insieme sin dall’inizio, ci siamo occupati di tutto. È un disco con un approccio classico, chitarra basso e batteria, anche i vari effetti che puoi sentire qua e là sono tutti fatti con la chitarra.

 

“Tossico” l’ho trovato un pezzo disturbante. C’è una voce sgraziata che grida, delle distorsioni poco canoniche, un testo che segue l’andamento del pezzo.

Mi piace fare queste cose qui, non è che ci penso troppo, è un terreno nel quale sguazzo volentieri. Si scrive sempre quando si sta male, dicono. Io scrivo sempre quindi forse significa che sto sempre male (ride NDA)! Mi piace il malessere e penso che la sofferenza non vada evitata ma affrontata di petto. Poi mi piacciono anche quei suoni “marci”, quel tipo di armonie particolari, un po’ dissonanti. “Tossico” è costruita su accordi che hanno una distanza di un tono e mezzo l’uno dall’altro, una soluzione che crea un'atmosfera di attrito ed è per questo che all’ascolto hai avvertito una sensazione di disagio: è proprio l’armonia che la suggerisce. Nell’arte mi piace creare domande, non mi piace offrire delle risposte perché credo che sia sempre tutto relativo. Mi diverto a creare mediante le parole delle immagini che formulino delle domande ma che non forniscano una soluzione e neppure giudichino: voglio semplicemente esprimere un senso di insoddisfazione. La cosa bella è che questa insoddisfazione avviene perché l’immagine ti viene proprio spiattellata in faccia, senza nessun tipo di giudizio. È l’immagine che dà il giudizio, non un giro di parole, un discorso.

 

In che senso?

Per esempio nella frase: “Non è la vita che mi avevi promesso, mamma”, che mi immagino detta da un bambino capriccioso, non è ha dentro la condanna della mamma; è semplicemente la constatazione di un dato di fatto.

 

Avverti una distanza tra l’io narrante e quello che pensi tu? Questo disagio della promessa non mantenuta lo senti anche tu?

Lo vedo un po’ come un dramma generazionale, anche se non mi piace tanto mettere in scena dei drammi. Però confrontandomi con colleghi e amici, tutte persone della mia età, mi sono accorto che è da tempo che ci hanno inculcato aspettative, immagini che poi a conti fatti non corrispondevano alla realtà. Le paranoie, i percorsi da fare, i paletti, le regole, il “devi fare così e non così”… poi cresci e ti rendi conto che è tutto casuale. “Tossico” è quindi un brano che dà voce alla posizione di chi si accorge che seguire sempre le regole alla fine non paga, perché non fa avverare quello che tu cerchi.

 

Capisco quello che vuoi dire…

Poi per carità, io personalmente non mi ritengo un infelice, in famiglia per esempio mi hanno sempre sostenuto; è più una condizione collettiva, quella di cui parlo. Un qualcosa che non ti viene trasmesso solo dalla famiglia ma anche dalla scuola, dalla squadra di calcio in cui giochi, dalla politica. Me lo immagino come una matrioska: questo discorso può essere pronunciato da un ipotetico bambino verso la mamma ma può anche essere rivolto ad un maestro o ad un politico. Mi piace immaginare diversi piani di ambiente e di linguaggio.

 

Cos’è che esattamente è “tossico”, in questa dinamica?

Tossico è il circolo vizioso che si va a creare, il fatto che lui dica che non è la vita che gli era stata promessa e allora non fa niente, si immerge nella noia. È tossico perché rappresenta una soluzione che il protagonista cerca solo perché non ha in mente nient’altro. Lamentarsi e non fare nulla: questo è tossico.

 

A proposito di parole gridate: c’è un pezzo come “Mangiala” che è veramente forte ma anche “Venderò” suona alquanto scomodo. Non hai assolutamente paura di dire le cose come stanno, mi pare, ed è ancora più preziosa come attitudine, nel momento in cui sembra si stia attraversando una fase del Pop italiano in cui la tendenza è quella di essere parecchio accomodanti, di rimanere nella propria comfort zone stando attenti a non dare fastidio a nessuno.

Capisco anche chi non lo fa ma per me è proprio un bisogno. La cosa strana è che ci sono tutte queste canzoni con le parolacce ma in realtà io non le dico quasi mai (ride NDA)! Eppure qui mi viene da metterle perché sento che descrivono meglio i concetti che voglio esprimere. Per me l’arte è quello, altrimenti non avrebbe senso. Se uno non riversa tutto se stesso nell’arte non funziona. L’arte è lo spazio per la follia, non ha certo a che vedere col compromesso! È anche una cura, per me: se non lasciamo libero sfogo alla follia attraverso l’arte, poi c’è il rischio che impazziamo nella vita reale, in questo senso non possono esserci mezzi termini. Poi sono convinto che ci siano delle figure Pop (nel senso di “popolare”) che sentono di voler fare le cose in un altro modo e per me non c’è problema. Solo, io non sono mai stato così.

 

È curioso perché fai un genere apparentemente Lo Fi, canzoni un po’ trasandate, senza troppi accorgimenti in sede di produzione, però poi sei diplomato al Conservatorio, quindi sei davvero un musicista, la musica la conosci a fondo. Dico che è curioso perché siamo abituati soprattutto negli ultimi anni, forse da Calcutta in avanti ma un po’ anche prima, ad associare questo tipo di musica ad una non particolare abilità musicale: come a dire, più suoni di merda e più sei bravo!

Ho studiato in Conservatorio, ho dedicato la maggior parte del mio tempo a ricercare un suono pulito con la chitarra: ho fatto chitarra classica, tieni conto che il 90% dei chitarristi dedicano la maggior parte della vita a far uscire un suono bello da uno strumento che poi in quel senso è veramente stronzo (ed ecco qui che ho detto la prima parolaccia! Risate NDA). Vengo da quel mondo lì ma poi dal punto di vista compositivo ho sempre tirato fuori tutt’altro. Poi è vero che a me è sempre piaciuto tutto: il primo disco che ho comprato, per esempio, è stato l’esordio dei Korn ed è da lì che ho deciso di suonare la chitarra elettrica. Poi però sono andato a lezione e il maestro mi ha fatto conoscere il Blues. Me ne sono innamorato e da quel momento non ho più ascoltato Metal. Mi piacciono però anche i suoni scordati, le dissonanze, ed anche questa è una cosa che va coltivata. In questo momento, ad esempio, è un aspetto che ritengo più vicino al mio modo di comporre. Comunque sì, c’è in me questa dicotomia: una preparazione classica ma poi faccio tutt’altro.

 

Senza fare la lista della spesa, se dovessi indicare alcune delle tue fonti di ispirazione cosa diresti?

C’è di tutto. A livello testuale potrei dirti De André, che è stato quello che più mi ha avvicinato a questo mondo. Come visione della vita è stato importantissimo, come del resto lo è stato per tanti altri che fanno quello che faccio io. Invece, come visione della musica pura, sono innamorato di Bach, l’ho suonato tantissimo in Conservatorio, ma poi amo tantissimo anche compositori classici come Villa Lobos o Piazzolla, c’è un po’ di loro nella musica che suono, oserei dire. E poi c’è il Blues: Eric Clapton, Albert King (che preferisco all’altro King!), i suoni acidi dell’elettrica credo che derivino sopratutto da lui. Poi c’è Peter Green, un altro chitarrista che adoro, morto tra l’altro non molto tempo fa. Blues, classica, Barocco, un po’ di atmosfere da chiesa anche, con l’organetto che abbiamo messo in alcuni pezzi, poi (ride NDA).

 

In generale è un lavoro molto vario: ci sono pezzi dissonanti, altri più dimessi, quasi Wave, che ricordano un po’ un Fiumani scazzato; però poi, all’improvviso, arrivano pezzi come “Indaco”, che è un brano da cantautore vero…

Non è una dinamica così controllata: posso scrivere “Mangiala”, due giorni dopo “Indaco” ma non è meditato, viene fuori così, poi magari qualche giorno dopo mi metto a pensare e mi chiedo: “Come è possibile che mi siano venuti fuori due brani così diversi (ride)?”.

 

Come sei arrivato ai tipi di Costello’s?

Facevano parte di una lista di contatti che mi avevano suggerito, non li conoscevo personalmente ma poi mi sono ricordato che mi ero imbattuto in alcuni loro lavori negli anni precedenti. Una volta avuto pronto il master del disco ho mandato il solito giro di mail e tra quelli che mi hanno risposto, loro mi sembravano i più interessati, oltre che mi sono sembrati i più adatti per quello che avevo in mente. Ci siamo conosciuti tramite video call, non ci siamo ancora visti di persona, ma anche così ci siamo trovati subito in sintonia e abbiamo deciso di lavorare insieme.

 

A tal proposito: cosa succederà adesso?

Il 17 marzo uscirà il secondo singolo, che sarà “M’innamoro”. Ad aprile sarà la volta di “Mangiala” mentre il disco completo sarà fuori per maggio.

 

Hai in programma di suonare dal vivo?

C’è una data già fissata, il 26 marzo al B-Folk di Roma. Sarà un concerto insieme ai Bram Stalker, un duo Stoner delle mie zone, uno dei due componenti è Andrea Maceroni, di cui ti parlavo all’inizio. È un ottimo gruppo, oltretutto sono appena usciti con un singolo firmato assieme a Nic Oliveri, direi che sono lanciati. Faremo un live insieme, io canterò qualche brano in acustico e qualche brano assieme a loro, e poi ovviamente faranno il loro concerto. Poi la mia volontà è ovviamente quella di suonare il più possibile, quindi vedremo che cosa salterà fuori.

 

Un’ultima domanda, più che altro una curiosità da parte mia: com’è vivere in Abruzzo, dalla prospettiva di un musicista? È una regione senza dubbio bellissima ma piuttosto periferica, non è mai emersa una vera e propria scena e, a parte gli anni in cui c’è stato il Siren a Vasto, anche la carenza di eventi è piuttosto consistente…

Amo l’Abruzzo però purtroppo per la musica è la provincia della provincia, ancora peggio se come me vieni da Avezzano. Quel che manca è soprattutto una educazione e una sensibilità per la musica inedita. Prima del Covid mi capitava di suonare tanto, anche due volte alla settimana ma i gestori dei locali ci proibivano tassativamente di eseguire pezzi nostri! Anche Roma comunque è così, anche se essendo una città enorme di sono più punti di sfogo. Quello che però mi ha sempre regalato l’Abruzzo è la disponibilità di tempo: non è scontato il fatto di avere degli amici con cui fare musica, con cui ti puoi beccare ovunque nel giro di cinque minuti, persone con cui puoi condividere quello che hai dentro a livello artistico. Di questo sono grato. Sul resto ci sarebbe tanto da fare perché i gruppi poi ci sono anche, solo che manca una coesione, non c’è un movimento, ci sono tante realtà diverse che cercano ciascuna la propria strada. Per dire, io ho trovato Costello’s ma una realtà come la loro da noi non c’è. Non ci sono neppure locali dove suonare la tua proposta, da noi sono rimasti solo lo Scumm a Pescara, il Garbage a Pratola, il Poco Loco a L'Aquila e l'Irish Pub di Pianola. La gente in fondo non è interessata. Io vivo di questo ma non riesco a pretendere che gli altri vivano allo stesso modo. È così, non deve essere per forza una cosa brutta.