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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/05/2025
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Finistère
Back in time ai primi anni Dieci e agli inzi di un certo tipo di Indie italiano, in un'intervista a quella che potremmo definire una piccola band di culto, i Finistère. In anteprima inoltre, l’ascolto di "Una rapida mossa": 35 minuti di sfolgorante bellezza Pop per godere per l’ultima volta di un gruppo che avrebbe decisamente meritato una sorte migliore.

Nel 2014, a Milano, l’Ohibò aveva da poco aperto i battenti e stava già diventando uno dei punti di riferimento della scena musicale italiana, tappa obbligata per tutte quelle band da piccoli club, italiane e straniere, che si trovavano a fare tappa in città. Nel 2014 avevo ripreso da un paio d’anni a scrivere di musica e mi stavo dedicando con entusiasmo ad un sottobosco di artisti nostrani particolarmente attivo: si parlava ancora di “Indie” nella sua accezione classica, come di una proposta musicale al di fuori dei grandi circuiti di distribuzione, e anche se di lì a pochissimo le cose sarebbero cambiate, ci gustavamo le uscite che di volta in volta arrivavano come se si trattasse dei piccoli capolavori che le generazioni future avrebbero tenuto come punti di riferimento imprescindibili.

Fa sorridere accorgersi, undici anni dopo, che non siamo stati buoni profeti. Ricordo in particolare una serata all’Ohibò, il 25 ottobre, con i toscani Abiku a presentare il loro secondo disco La vita segreta. In apertura, i Finistère di Carlo Pinchetti e Matteo Griziotti, da Bergamo e dintorni, freschi dell’esordio Alle porte della città, uscito appena pochi giorni prima. Entrambi gli album mi erano piaciuti tantissimo, allora non compilavo ancora classifiche troppo lunghe (collaboravo con due testate e solo una chiedeva ai redattori di compilare la propria a dicembre, mi pare comunque limitata a cinque titoli) ma sono sicurissimo che oggi li avrei indicati tra i miei preferiti.

Prima della serata ebbi modo di intervistare entrambe le band e, rileggendo oggi quanto scritto sulle esibizioni, ritrovo il tono entusiasta di un me stesso più giovane e, probabilmente, anche parecchio ingenuo su quelle che sarebbero potute essere le sorti di quella musica che tanto ci entusiasmava.

Successe poi che arrivò l’It Pop e si mangiò tutto, ma forse il destino di Abiku e Finistère non sarebbe cambiato: i primi sparirono all’indomani di un disco, Montecarlo, uscito fuori tempo massimo dopo una gestazione più che travagliata; i secondi subirono un cambio di formazione subito all’inizio e, sebbene facessero ancora parecchi concerti e iniziassero anche a lavorare a nuove canzoni, di fatto non si ripresero più, andando a morire lentamente, fa male dirlo, anche nell’indifferenza più o meno generale del pubblico.

 

Undici anni dopo, Carlo Pinchetti ha da tempo formato i Lowinsky, con cui suona indefessamente, portando avanti un’idea di passione e coerenza quasi commovente nella sua semplicità; nel frattempo, è saltata fuori la registrazione di uno dei primissimi concerti dei Finistère, quando Alle porte della città non era ancora uscito ma c’era già tutto l’entusiasmo di chi sa che sta costruendo una cosa grande.

Una rapida mossa sarebbe dovuto uscire nel 2024, per celebrare il decimo anniversario di un disco il cui valore rimane intatto, nonostante la mancanza di fortuna. Vicissitudini varie hanno fatto sì che si slittasse di un anno, ma l’ascolto di questi 35 minuti di sfolgorante bellezza Pop, oltretutto registrati benissimo, regala ugualmente sensazioni inattese, e permette di godere per l’ultima volta di un gruppo che avrebbe decisamente meritato una sorte migliore.

Carlo Pinchetti, raggiunto per telefono qualche giorno prima della release ufficiale, ci ha raccontato qualcosa di più sulla genesi di questa operazione e sul perché, evitando ogni atteggiamento nostalgico, sia comunque importante ricordare il passato.

 

 

Partiamo dall’inizio: che cos’è questo concerto? Me lo contestualizzi all’interno della vostra vicenda?

Il live è del giugno 2013, all’Edonè di Bergamo, per il festival di Exhibition. Era una due giorni di concerti e noi suonavamo il primo giorno, di spalla a Mark Gardener dei Ride. Era il nostro primo concerto, “grosso”, la prima volta che ci presentavamo in un certo modo, con palco e impianto adeguati, dopo un paio di cose piccoline. Non avevamo ancora il disco fuori, sarebbe uscito solo a ottobre, per cui ci sono uno o due pezzi che hanno accorgimenti un po’ diversi rispetto a come sono poi stati registrati.

La situazione era bellissima: eravamo all’inizio della prima formazione del gruppo, entusiasti del disco che stavamo per registrare e avevamo anche un certo seguito, c’era tanta gente venuta lì proprio per vedere noi. Ci credevamo davvero tanto e, in più, abbiamo suonato anche piuttosto bene, cosa per nulla scontata (ride NDA)! Eravamo anche molto attenti al look, Gianni (Danesi, il bassista NDA) in particolare, che era un po’ il boss degli outfit, mi ricordo che si era messo in testa una bombetta (ride NDA)…

 

Chi ha avuto l’idea di registrare la data?

Loro, ma noi non ne avevamo idea! Ce l’hanno comunicato solo qualche giorno dopo, che avevano registrato tutte le esibizioni e che le avrebbero utilizzate in futuro, probabilmente per trasmetterle sulla loro radio. Noi abbiamo risposto che ci andava benissimo e la cosa è finita lì. Quando mi hanno consegnato le registrazioni, le ho messe nell’hard disk che avevo all’epoca e non ci ho più pensato.

 

E come mai farle uscire, dopo tutto questo tempo?

È successo che Matteo lo scorso anno è tornato da New York (si era trasferito per motivi di lavoro) e così ci siamo detti che sarebbe stato bello vedersi anche con gli altri, bere una birra e, perché no, magari addirittura organizzare un paio di date, visto che si era anche a dieci anni della pubblicazione del disco. Alla fine è successo che non ci siamo ancora beccati, però io mi sono ricordato di avere quel live in archivio e ci ho rimesso mano: si trattava di due tracce, una registrata da banco, l’altra catturata con un microfono ambientale. Quest’ultima non era il massimo perché quella sera c’era un po’ di vento e si sente il fruscio in sottofondo, mentre invece quella da banco era molto buona. Ho recuperato l’ambiente solo per il rumore del pubblico, gli applausi e cose così, mentre per il resto ho tenuto buono l’audio del mixer. Ho messo tutto insieme, ho fatto un mastering e l’ho inviato a Pier Ballarin (che aveva già prodotto Alle porte della città NDA) per avere un riscontro. Lui mi ha dato due o tre dritte, e il risultato finale è quello che ora si può sentire.

 

Si tratta del concerto integrale o avete fatto qualche taglio?

C’è tutto quello che abbiamo suonato quella sera: otto pezzi, tre in meno rispetto alla scaletta del disco.

 

Se non sbaglio mi accennavi anche ad un video…

Un video completo non c’è, però ci sarà un’intervista a Matteo, girata da Exhibition prima del concerto. È interessante perché lui sta presentando una band che è appena nata e non immagina che questa cosa sarebbe finita ai posteri dieci anni dopo… per la verità non lo sa neppure adesso, lo scoprirà a breve (risate NDA)! Assieme all’intervista ci sono poi degli spezzoni di video tratti proprio da quell’esibizione lì e già montate all’epoca da Luca Giazzi, che collaborava con noi. E poi mia sorella aveva fatto delle foto bellissime, per cui quella serata è stata clamorosamente documentata...

 

Quindi, tornando a noi: l’idea era di farlo uscire in occasione dei dieci anni del disco…

Sì, c’era tutto il discorso della reunion, che sarebbe potuta essere nel 2024: avevamo ipotizzato di fare un live, con l’aggiunta di un singolo nuovo, giusto per condire un po’ la cosa. Poi però Matteo è diventato papà, gli altri erano tutti un po’ presi e così ci siamo detti che non era il caso di insistere troppo, non doveva diventare uno sbattimento. La faremo quando saremo pronti, magari nel 2026, magari non la faremo mai. A me piacerebbe, certo, ma dobbiamo essere tutti allineati, cosa niente affatto scontata.

Il live però c’era, ci avevo già lavorato, era tutto pronto, anche la grafica. Gliel’ho girato chiedendo loro il permesso di buttarlo fuori, incrociando le dita perché non era affatto scontato che mi avrebbero detto di sì. Invece si sono presi bene e quindi eccoci qui!

 

Come titolo avete utilizzato un verso di “Stella”: è solo perché suonava bene o c’è dietro qualche altro significato?

Suonava bene, certo. In più anche il disco aveva come titolo il verso di una canzone, “Pronti alla rivolta”, e quindi mi piaceva tenere buono questo collegamento. E poi diciamo che Una rapida mossa rappresenta anche un po’ il riassunto della storia dei Finistère: una band che è arrivata, è esplosa ed è sparita in un attimo.

 

Ricordo che all’epoca ne avevamo parlato, però è comunque interessante tornarci sopra adesso, dopo tutto questo tempo: com’è oggi il tuo atteggiamento, di fronte a tutta quella vicenda?

Sarò totalmente onesto: per me è un rimpianto gigantesco che sia andata così, non te lo nascondo. Dopodiché, so anche perché è successo: non ci sono stati litigi, né con la prima né con la seconda formazione, anzi. Siamo ancora in contatto e siamo tuttora amici. Purtroppo si è trattato di una morte progressiva: il cambio di line up così veloce, subito dopo l’uscita del disco, si era sentito. Non che quelli che sono arrivati dopo fossero cattivi musicisti, anzi, ci era andata pure di culo perché erano veramente bravi. Forse però (in questo più Matteo che io) abbiamo sentito un po’ di contraccolpo, per cui quella spinta originale di “Last gang in town” era un po’ venuta meno.

Poi anche all’esterno, quella risposta che all’inizio sembrava molto forte, è scemata rapidamente. Le interviste e le anteprime su rockit, la gente che veniva ai live e ci comprava i cd (già nelle due Release che avevamo fatto, a Milano e a Bergamo, ne avevamo venduti tantissimi), tutto questo è andato progressivamente a scemare, negli ultimi tempi sembrava che del gruppo non interessasse più niente a nessuno.

In quel periodo stavamo anche scrivendo cose per il disco nuovo, però avevamo iniziato a lavorare in maniera diversa: all’inizio scrivevamo io e Matteo da soli, con le chitarre acustiche, e portavamo il risultato agli altri. Ora invece Matteo voleva provare a scrivere tutti insieme partendo da zero, in saletta, un sistema che io non ho mai sopportato. Alla lunga questo ha deteriorato le dinamiche artistiche, fino a quando Triz (Pietro Trizzullo NDA) il bassista, è andato a Londra qualche mese per lavoro e quasi contemporaneamente Brena (Marco NDA), il batterista, è andato a suonare nei Vanarin. A quel punto avremmo potuto tranquillamente trovare qualcun altro al suo posto però Matteo non ha voluto: probabilmente era stanco e non aveva voglia di ripartire da zero. Mi ha detto che non se la sentiva, che preferiva prendersi una pausa e vedere poi come sarebbe andata, però di fatto non abbiamo più ripreso.

 

Che ne è stato di quei pezzi che avevate iniziato a comporre?

In parte sono finiti nel primo disco dei Lowinski: “Coltelli”, “Vertigine” e probabilmente anche “Lei” erano pezzi che avevo scritto per i Finistère e che avevo già fatto sentire agli altri, sicuramente in versione demo e forse anche in sala prove.

 

Era appena iniziata l’epoca di Spotify, arrivato in Italia l’anno precedente, inoltre c’era già in atto quella mutazione che avrebbe portato alla progressiva scomparsa dell’Indie “originale” e alla sua sostituzione con quello che inizieremo a chiamare “It Pop”: si potrebbe dire che vi siete trovati nel mezzo di una serie di contingenze non proprio favorevoli alla vostra proposta…

Spotify è sicuramente un dato: infatti oggi il disco lì lo si trova ancora proprio perché Costello’s (l’etichetta che lo pubblicò NDA) all’epoca vi caricava già le sue uscite. A livello di live era però ancora un periodo d’oro, quindi direi che, più che la crisi di una scena, si trattava proprio di un disinteresse nei nostri confronti (ride NDA)! Sai com’è, probabilmente all’inizio vieni individuato come la roba nuova figa ma non dura molto e dopo un po’ non lo sei più. Poi è vero che il fattore It Pop non è secondario: quella metamorfosi tra “Indie vero” e “Indie Mainstream” o “It Pop”, come vogliamo chiamarlo, accade proprio in quegli anni. Se ti ricordi, era il periodo in cui Calcutta fece quel famoso concerto all’Ohibò che andò super sold out…

 

Era il dicembre 2015, poco prima di Natale…

Eh vedi, il periodo è quello: noi nel 2015 avevamo già cambiato formazione e c’era già in giro un nuovo tipo di musica, che si definiva Indie, ma che non era più quella roba lì che avevamo in mente noi. Non è un giudizio di valore, attenzione, però erano proprio cos’è diverse, per stile e tipologia, ed era già un fenomeno troppo grande per posti come l’Ohibò, si capiva perfettamente che sarebbe cresciuto tantissimo…

 

Quella sera in effetti c’era molta più gente fuori senza biglietto di quanta ce ne fosse dentro…

Poi ti dico: nonostante fossimo diversi, secondo me in quel mondo lì ci saremmo anche potuti stare: cantavamo in italiano, facevamo canzoni con delle belle melodie, che per certi versi erano anche Pop… però evidentemente non è stato il nostro treno. Penso che dipenda soprattutto da quanti ci credono, dentro e fuori la band. Devi avere soldi, devi avere agganci e devi crederci tanto. Se band ed etichetta si sbattono, allora si può tenere alta l’attenzione e si possono fare cose belle; se questo non accade, si fa molta più fatica, considerato anche che ormai ci troviamo in un mondo dove c’è molta più gente che suona rispetto a quanti ascoltano. Sia chiaro che non sto accusando nessuno: è evidente che ognuno ha lavorato secondo le proprie possibilità e secondo come se la sentiva, però è chiaro che se si spinge in quattro, si va più forte…

 

Tra l’altro, me lo sono riascoltato in questi giorni e sai che è veramente un bel disco? Ha un suono stupendo e non è per niente invecchiato in tutti questi anni…

Non posso valutarlo obiettivamente, però l’ho riascoltato e non me ne sono vergognato, cosa che è già un bel risultato (ride NDA)! Confermo che è un gran bel disco: siamo riusciti a fare quello che volevamo, un Indie Pop a metà tra Belle and Sebastian e Girls, melodie limpide e chitarre non troppo ruvide, che però avessero un suono “Indie”, non da radio. Cose che la gente potesse cantare ma senza fare i ruffiani. Allo stesso tempo, non avevamo nessuna ritrosia rispetto al successo: fosse arrivata la Universal, per dire, non ci saremmo certo tirati indietro, a patto di poter continuare a fare quello che ci piaceva! È un bel disco, e mi fa piacere che le persone che lo ascoltavano all’epoca ogni tanto mi mandino su whatsapp dei filmati in cui lo hanno messo su, in occasione di una festa o di una grigliata! Diciamo che un piccolo zoccolo duro ce lo abbiamo ancora!

 

Fa comunque strano che siano già passati più di dieci anni: nella prospettiva di una vita intera può non essere molto, però se ci si ferma a pensare, è veramente un periodo lungo, durante il quale ciascuno di noi ha fatto un sacco di cose. Che utilità ha per te, guardarsi indietro e celebrare quella fase, considerando anche che il tuo cammino artistico è andato avanti, hai messo insieme altri progetti e hai pubblicato altri dischi…

Quello che per me è cambiato è che la mia prima figlia, che all’epoca aveva un anno, adesso è in prima media, mentre il secondo ancora non c’era. Quindi diciamo che, dal mio punto di vista, si è ampliata la famiglia. Poi c’è che sono ufficialmente un vecchio (risate NDA), nel senso che lo percepisco ogni giorno, mentre nel 2014 mi sentivo ancora giovane. Ma la cosa più importante è che, alla fin fine, a parte un lavoro che ho e che mi permette di pagare le bollette, la mia vita è stata fare canzoni, per cui è importante per me ogni tanto tornare indietro e chiedermi: “Tutto questo tempo, tutte queste energie che ho impiegato a fare musica anziché, per esempio, andare a fare delle camminate in montagna, è stato utile? Ne è valsa la pena?”. E allora mi ascolto un po’ di cose e mi dico che sì, tutto sommato qualche cosa di carino l’ho fatta, per cui proseguo sereno. Peraltro all’epoca ero molto più in difficoltà, a livello umano, rispetto al suonare dal vivo, a come pormi… avevo già più di trent’anni ma ero molto immaturo; oggi invece sento di aver inquadrato meglio quello che faccio e riesco a godermelo molto di più; all’epoca era sì una mia passione totale, ma anche fonte di crucci e pensieri, piuttosto che di gioie e felicità. Quando ascolto il disco dei Finistère, dunque, mi dico che qualche cosa di bello l’ho lasciato, è lì e mi fa stare bene.

 

Va bene che stiamo parlando del passato, ma ci terrei che ci lasciassimo con una breve anticipazione del futuro: so che avete appena finito di registrare il nuovo disco dei Lowinski, lo possiamo scrivere?

Sì certo, non è un segreto!

 

Sai già quando uscirà?

Presumibilmente a settembre con Tenderfoot Corps, ma non sappiamo molto di più. È un disco che ci piace molto e non vediamo l’ora di buttarlo fuori, nel frattempo faremo qualche data e poi, da settembre, inizieremo a portarlo in giro. Tutto come al solito, insomma!

 

 

 

Anteprima esclusiva di Una rapida mossa

 

 

 

Le foto della serata di registrazione dell'album (giugno 2013), a cura di Anna Lisa Pinchetti