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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
28/03/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Marco Fracasia
"Adesso torni a casa" dura poco meno di 15 minuti ma è un’autentica folgorazione, fatta di arrangiamenti scarni, suoni intimi e quasi casalinghi, melodie che comunicano disagio misto ad una strana tristezza quieta. Ne parliamo direttamente con Marco Fracasia per saperne di più.

Marco Fracasia ha 21 anni, vive a Torino e ha da poco fatto il suo esordio discografico per 42Records, un’etichetta che negli ultimi dieci anni ha scritto una fetta gigantesca della musica italiana, tra I Cani, Cosmo, Andrea Laszlo De Simone e Colapesce/Dimartino, solo per citare i più importanti. Non è di per sé garanzia che tutto andrà bene, ma che sia stato notato da loro non può essere considerato un elemento privo d’importanza. Adesso torni a casa dura poco meno di 15 minuti ma è un’autentica folgorazione, fatta di arrangiamenti scarni, suoni intimi e quasi casalinghi, melodie che comunicano disagio misto ad una strana tristezza quieta. Lo ha prodotto Marco Giudici, l’altra metà di Any Other e un artista che andrebbe custodito come un patrimonio raro. Anche questo, oltre a costituire una sorta di certificazione di qualità, fa capire quanto l’etichetta di Emiliano Colasanti creda in questo nuovo progetto.

Queste cinque canzoni hanno conquistato anche me, tanto che non ci ho messo molto a tirare su il telefono e a farmi raccontare qualcosa di questo inizio. Risponde che sta per scendere dal treno che da Torino lo sta portando a Milano, proprio per andare dal suo produttore. C’è comunque tempo a sufficienza perché la mia curiosità venga soddisfatta.

 

 

Innanzitutto complimenti per questo EP. Mi sembra un lavoro che, come altri ascoltati ultimamente (penso ad Ibisco o a Visconti, giusto per fare qualche nome) riporta un po’ indietro le lancette dell’orologio, andando a prendere riferimenti che negli ultimi anni non erano mai stati troppo considerati dagli artisti solisti. In generale, senza troppo azzardare previsioni, mi sembra che questa cosa dell’It Pop stia un po’ andando a svanire. Ci sono idee prese più da un passato genericamente Post Punk e un approccio più Lo Fi, anche se il termine non mi piace molto.

Neanche a me, in effetti. Sono felice quando ci si accorge di questo perché era un po’ la mia volontà. Oddio, non è che abbia deciso di fare certe cose per andare contro una determinata categorizzazione, è stato più che altro un processo naturale. Che le persone che ascoltano si accorgano del risultato è sicuramente positivo, poi in realtà non ascoltando neanche troppa roba italiana e soprattutto trascurando l’It Pop, i miei riferimenti sono altri, quindi forse è abbastanza comprensibile quello che dici.

 

Ho letto nelle note stampa che scrivi a casa di tua nonna.

È solo il luogo in cui registro, non ha tutta questa importanza nella scrittura, mi sono trovato lì per una questione di esigenza, casa dei miei non mi piaceva, era meno adatta.

 

Com’è stato, che è iniziato tutto?

Il mio percorso non ha nulla di speciale: i soliti gruppetti un po’ fallimentari, poi ho iniziato a scrivere le mie cose, infine per fortuna ho incontrato Emiliano [Colasanti, di 42Records NDA] ed è successo.

 

Quindi il deal con 42Records nasce prima del tuo incontro con Marco Giudici?

Sì, ci ha messi in contatto Emiliano.

 

Ecco, perché mi piacerebbe chiederti in che modo il suo contributo è servito a dare la forma definitiva ai brani. Perché la sua impronta io ce la sento abbastanza, in certe soluzioni.

Tieni conto che la corrispondenza con Emiliano è andata avanti circa un anno e mezzo, prima che girasse a lui le mie cose. Aveva visto qualcosa in me ma pensava forse che fossi troppo acerbo, che fosse prematuro fare un discorso più ampio. Poi ho iniziato ad aggiungere elementi alle canzoni e sono arrivato con delle preproduzioni che non sono poi così distanti dal risultato finale. C’erano già le linee dei synth, di basso e di chitarra. Con lui abbiamo rifatto le demo aggiungendo e togliendo cose, ma il risultato finale non si discosta così tanto dai provini, che già non erano solo chitarra e voce o piano e voce.

 

La cosa più interessante a mio parere è che le tue sono canzoni che possono essere definite attraverso etichette ma che in realtà esprimono semplicemente quello che sei tu, utilizzando un certo tipo di linguaggio.

Sì, è difficile. Poi ci sono giorni dove mi piacciono da morire e altri in cui vorrei non esistessero. Quando la gente mi chiede che genere faccio non so mai cosa dire di preciso. In realtà quando conosco qualcuno non dico neanche che suono, o comunque non è la prima cosa che mi viene in mente di raccontare di me. È sempre un discorso complesso da fare, poi divento rosso e tutte quelle cose lì.

 

Il primo singolo ha un titolo curioso, citi direttamente i Black Midi e mi pare che ci sia dietro una certa metafora, che esprima un’esperienza di incomprensione.

Musicalmente non ci sono analogie con loro, li ho citati semplicemente perché c’è stato un periodo della mia vita in cui ero ossessionato da una loro live session per Kexp trovata su YouTube. E poi c’è tutto il discorso del MIDI, che esprime un po’ il mio lato nerd. Però non voglio assolutamente assomigliare a loro dal punto di vista musicale, è che loro hanno la mia età, ce l’hanno fatta, mentre invece io all’epoca ero lì come uno scemo e pensavo che non avrei mai combinato nulla. Oddio, non è che adesso abbia fatto chissà che cosa, ho solo fatto uscire 15 minuti di musica, però quando l’ho scritta mi sentivo così: vedo tutti che ce la fanno mentre io sono qui a casa di mia nonna a mangiare la pasta!

 

Ma quindi l’idea del tornare a casa, che compare alla fine della canzone e che dà anche il titolo all’Ep, come la dobbiamo vedere?

È una sorta di: “Basta, vaffanculo, me ne vado!”, una cosa così. Poi non lo so, è interpretabile, ognuno ci vede un po’ quello che vuole ed è questo il suo bello.

 

Bella anche “Solfeggio”, quella che apre il brano. Il titolo è curioso, tra l’altro.

“Solfeggio” è il brano che descrive il mio rapporto con un professore del Conservatorio, che per fortuna adesso non frequento più perché ho superato il suo corso. L’ho scritta di getto un giorno che ero incazzato, anche questa penso sia una dinamica normale. Mi piace questo aspetto dei titoli, credo che “Solfeggio” sia il mio preferito e vorrei farne degli altri di questo tipo, un po’ da matematica, un po’ da lezione, non so se si capisce. “Adesso c’è l’ora di solfeggio e te la becchi tutta!” (Ride NDA)

 

Poi mi ha colpito “Un inizio”, che è  anche quella più up tempo, più piena anche a livello sonoro.

Sì, è quella un po’ più aperta.

 

E c’è questa immagine del professore che ti dice che non vali niente: è stato davvero questo, uno stimolo per iniziare?

È sempre lo stesso professore, tra l’altro. Seguivo le sue lezioni e poi andavo a scrivere le mie canzoni. Non sono mai stato una cima nelle cose che non mi piacevano, però me la prendevo e questo è il risultato. “Un inizio” rappresenta un po’ l’inizio del mio lavoro, sì. È simbolico che non l’abbia messa al primo posto in scaletta, è come dire: “Adesso cominciamo” anche se in realtà abbiamo già cominciato. Tra l’altro è pure quella che mi piace di meno!

 

È forse quella più scontata però anche quella più immediata. Soprattutto dal vivo, potrebbe essere quella che colpisce di più. Tra l’altro lì citi i Beach House, c’è un altro riferimento musicale esplicito… a proposito, qual era il loro ultimo album di cui parli?

Era 7 però sono stato fortunatissimo che ne sia uscito un altro adesso, è pazzesco [risate NDA]! Poi non gliene sarebbe fregato nulla a nessuno però è strano lo stesso!

 

I tuoi riferimenti sono un po’ diversi dalla classica attualità istantanea da presente appiattito che va di moda oggi.

Cito quello che mi interessa: se una cosa è vera per me, la nomino senza troppo pensarci. Poi, per quanto mi riguarda, i Beach House sono una delle migliori cose mai capitate alla musica, sono in fissa con loro da diversi anni, non potevo non metterli.

 

Beh, poi quest’ultimo disco è forse tra i più belli della loro carriera.

Non l’ho ancora ascoltato: sto aspettando che la gente smetta di parlarne.

 

In che senso?

Pensa che non ho ancora ascoltato nemmeno quello di Iosonouncane… sai com’è, c’è tutta questa roba, a me non piace l’hype, è un termine che non ho mai usato nella vita, lo so che sembra che abbia ottant’anni [ride NDA]! Se una roba la sento mia, voglio ascoltarla in maniera profonda, non voglio essere condizionato dal parlare che se ne fa attorno a me. Poi mi dà fastidio tutte quelle volte che una cosa la ascolti per un po’ di tempo solo tu e improvvisamente la scoprono altri e si inizia a parlarne, è un fenomeno che mi dà fastidio perché mi sembra superficiale. Quindi aspetto: dopotutto se un disco è valido sarà valido sempre, non solo quando è di moda. Ascolto normalmente anche roba uscita nel 2016 senza nessun problema.

 

In effetti la cosa assurda di Ira, visto che l’hai nominato, è che ho letto pareri, entusiasti o negativi che fossero, già dopo un’ora che era uscito. E parliamo di un disco che dura due ore!

Esatto, volevo dire proprio questo! Tutti questi commenti, tutti questi tentativi di analisi mi danno fastidio per cui preferisco aspettare.

 

È un disco clamoroso, vedrai che ti piacerà molto!

Eh lo so, me l’hanno detto in tanti!

 

Non sapevo che studiassi al Conservatorio. Come questo influisce sul tuo modo di scrivere canzoni? Voglio dire, alla fin fine sei un musicista vero.

No beh, “musicista vero” mi sembra esagerato [ride NDA]! Non sono uno di quelli che fanno il Conservatorio e si atteggiano come se fossero chissà chi. Ne conosco, di gente così, tutta atteggiata, primi violini che sfottono chi fa flauto traverso, per dire. Io per fortuna faccio parte di quelli che studiano musica elettronica, che stanno addirittura sotto i jazzisti nella gerarchia sociale, sono proprio una cacca di balena [risate NDA]! Siamo in otto in classe, siamo tutti amici, ci stimiamo reciprocamente ed è tutto qui. So leggere la musica, forse questa è l’unica cosa che mi differenzia da altri miei colleghi. Per il resto, non c’è il musicista vero e quello no; o forse sì ma dipende dagli ascolti, non dalla formazione accademica. E poi quello che studio è roba concreta: Cage, Maderna… tutta roba inascoltabile [ride NDA]!

 

Quindi, da una parte c’è il tuo scrivere canzoni, dall’altra lo studio accademico, come se fossero due ambiti separati.

Sì certo! Poi boh, ci sono certi accorgimenti, tipo chiamare il primo pezzo “Solfeggio”, oppure che il primo e l’ultimo brano sono in 6/8… sono tutte cose pensate, che mi diverte fare.

 

Uscirà la musicassetta, un formato che sta stranamente tornando di moda, anche se in una dimensione di ultra nicchia.

È stata un’idea di Emiliano alla quale io ho detto di sì. Personalmente non ho mai ascoltato le cassette ma penso che sia una decisione volta a dare l’idea di un progetto piccolo, da boutique, anche la copertina va in quella direzione.

 

Ho visto che sarai al Miami, quindi sarà una bella occasione per vederci. Nel frattempo hai già fatto altre date?

Abbiamo suonato a Torino e a Roma, sono andate molto bene.

 

In quanti siete sul palco?

In quattro. Siamo un vero e proprio gruppo e siamo tutti molto amici, ci divertiamo. A Rivoli, dove apriremo per Generic Animal, dovrebbe esserci anche Marco, che probabilmente sarà con noi anche al Miami. Direi che dal vivo siamo molto più “rock”, anche se detta così sembro un po’ matto! Comunque, è un’esperienza molto divertente, vedrai con i tuoi occhi!