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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/06/2025
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Nicolò Carnesi
Nicolò Carnesi, che i più forse conosceranno per essere chitarrista del tour di Colapesce Dimartino, è un cantautore tutto da scoprire. Da poco è uscito Ananke, il suo quinto lavoro solista, il primo dopo sei anni, un concept sulla mitologia greca tra strumentale, anni '70 e prog rock tutto da scoprire. Ne parliamo con lui in una bellissima chiacchierata.

Quest’estate, quando un po’ a sorpresa ho ritrovato Nicolò Carnesi sul palco nella band di Colapesce e Dimartino, impegnato alla chitarra e ai cori, ho pensato che era veramente da tanto che non si avevano sue notizie come autore di dischi e di canzoni. Poi finalmente, quasi come un fulmine a ciel sereno, è arrivato Ananke, quinto lavoro da solista, il primo da sei anni a questa parte, se escludiamo, nel 2022, la rilettura con ospiti del debutto Gli eroi non escono il sabato.

Neanche a farlo apposta, Ananke non è un disco come gli altri: al di là delle tematiche trattate, di fatto un concept sulla mitologia greca, visto attraverso alcune delle divinità principali, è anche particolare dal punto di vista delle strutture e della composizione. Poca forma canzone, tante parti strumentali, gli anni ’70 e il Progressive Rock come riferimenti principali, in una sorta di ripresa del discorso di Bellissima noia, l’altro disco in cui aveva giocato molto con le fughe e le sperimentazioni.

Lo abbiamo raggiunto per telefono e gli abbiamo chiesto di approfondire il discorso; anche perché all’artista palermitano piace raccontare del suo lavoro ed è un conversatore brillante e piacevole, cosa senza dubbio non scontata, soprattutto all’interno della nostra scena musicale.

In attesa di ritrovarlo dal vivo, qui il resoconto completo.

 

L’ultima volta che ci siamo parlati era il 2019 ed era appena uscito Ho bisogno di dirti domani: siccome Ananke è il tuo primo disco di inediti da allora, mi sembra naturale chiederti cosa tu abbia fatto in questi quasi sei anni. 

Sono successe tante cose, in effetti (ride, NDA)! Innanzitutto c’è da dire che Ho bisogno di dirti domani, su cui avevo lavorato tanto e investito parecchio, è stato bloccato dal covid, che ci ha impedito di promuoverlo coi concerti. Da qui si è aperta una parentesi di due anni nella quale ho fatto ben poco dal punto di vista musicale, e dove ho anche avuto momenti di abbandono, avevo ormai l'impressione che la musica non contasse più nulla. Piano piano mi sono ripreso, ma c’è stato tutto un doversi di nuovo appassionare alle cose, un tornare progressivamente alla vita. È successo quindi che ho deciso di iscrivermi all’università, alla facoltà di Filosofia, e questo è stato anche un po’ l'inizio di tutto questo percorso classico-umanistico che mi ha portato a fare un disco sui miti greci. Purtroppo non sono riuscito a completare gli studi perché nel frattempo si è riaperto tutto e abbiamo ripreso a lavorare: a quel punto, era il 2022, cadeva il decennale de Gli eroi non escono il sabato (il suo disco d'esordio, NDA) per cui ho chiamato un po’ di amici per riregistrarlo e fare festa su quelle canzoni che amo così tanto. Ci sono stati concerti da solo, con la band, ho lavorato ad alcune colonne sonore e, da ultimo, sono andato in tour con Colapesce e Dimartino. Nel frattempo però scrivevo tanto, accumulavo canzoni, era quasi nato un disco, che suonava un po’ come il seguito di Ho bisogno di dirti domani. Mi piaceva ma in qualche modo non lo sentivo completo, così l’ho accantonato. 

 

E quindi Ananke da dove viene fuori? 

Dal fatto che ho deciso di cambiare metodo e di tornare ad approcciarmi alla musica in maniera libera, come facevo prima che diventasse un lavoro, con la scrittura delle canzoni, le playlist, tutte le dinamiche dell'algoritmo, ecc. Volevo tornare semplicemente a suonare: mi mettevo lì, spesso di notte, e facevo lunghe suite, utilizzando sia le chitarre che i sintetizzatori; parallelamente, leggevo di mitologia greca. Ad un certo punto, molto naturalmente, ho deciso di collegare le due cose... 

 

E di fare un disco sulla mitologia greca... 

Sì, anche perché non avevo voglia di parlare di me: l’ho fatto per molto tempo ma ormai mi sembra divenuta una dinamica standardizzata, nell'ambito della musica italiana. Ho pensato che sarebbe stato molto meglio raccontare di un argomento che mi stava appassionando, e così è nato il disco. 

 

In effetti, una delle prime cose che si notano ascoltandolo è che sia un lavoro molto meno cantautorale e molto più “musicale”, passami il termine. È un disco dalle strutture più elaborate, con canzoni lunghe, potrebbe anche essere considerato Prog, in un certo senso. 

Sì ci sta, il Prog può essere un riferimento centrato. Sai, una cosa che mi ha fatto venire voglia di uscire dalla classica struttura Pop è stata l'Intelligenza Artificiale: quest’estate in furgone ci siamo divertiti parecchio a creare canzoni con l'Ai, però dopo un po’ ho iniziato a notare che la macchina utilizzava sempre la stessa identica struttura, praticamente sembravano tutti dei tormentoni estivi (ride, NDA)! Così mi sono detto che, per il mio prossimo disco, avrei scritto delle cose che un'Intelligenza Artificiale non avrebbe mai potuto concepire, cose che solo io avrei potuto scrivere.

 

Io ci sento anche un po’ di quella vena settantiana, in stile Anima Latina, che contraddistingue l’ultimo disco di Colapesce e Dimartino, che è molto più ricercato e sofisticato del primo. Non è che il fatto di suonare per così tanto tempo quelle canzoni sui palchi, abbia costituito un'ulteriore fonte di ispirazione? 

Di sicuro qualche cosa è passata, dopotutto io con loro ho fatto tanto, c’è un rapporto di amicizia decennale con entrambi, addirittura con Antonio (Dimartino, NDA) ci conosciamo da vent’anni, è inevitabile che ci siano dei denominatori comuni nel nostro percorso. In tour con loro mi sono trovato benissimo, è stata una bellissima esperienza, sia a livello lavorativo sia a livello di amicizia, tutta la band, anche a livello umano, è stata incredibile, credo che anche per questo un po’ di contaminazioni siano arrivate. In più siamo tutti e tre siciliani e mi piace tanto il loro approccio alla musica: fanno Pop ma con dei bei contenuti, una cosa decisamente rara di questi tempi! 

 

Quest’estate vi ho visto due volte: ad Ypsigrock e a Bergamo qualche settimana dopo. Ho trovato il tuo contributo davvero prezioso, credo che sia stato uno dei motivi per cui questo tour sia stato molto meglio del precedente, dal punto di vista della qualità.

Ti ringrazio molto! È stato bello poter tornare per un po’ a fare semplicemente il musicista, scrollandomi via gran parte di quella responsabilità che negli ultimi anni ho sempre avuto, tenere il palco, cantare, ecc. A questo giro ho fatto quello che mi appartiene di più, cioè suonare, mi sono divertito ed è stata un’esperienza che mi ha dato possibilità maggiori. Poi bisogna dire che la band è composta da musicisti di tutto rispetto: Any Other, Angelo Trabace, Enrico Gabrielli, alla batteria Giordano Colombo, che ha suonato con Battiato: io ho semplicemente portato il mio stile cercando di adattarlo al loro, è stato semplice e ha funzionato, è stato un tour davvero bellissimo, di cui abbiamo ancora tutti molta nostalgia. Recentemente ci siamo rivisti a Fano, al Festival Sopravento, di cui Lorenzo e Antonio hanno curato la direzione artistica. È stato un momento di grande gioia per tutto il tempo passato insieme, ma anche di nostalgia perché prima o poi tutto finisce. 

 

Parlando del nuovo disco: com'è stato il processo di lavorazione? Hai coinvolto qualcuno con te? 

Ho fatto tutto io, non solo la parte musicale ma anche tutto ciò che concerne quella visiva, le grafiche, ecc. Ho voluto che ci fosse dentro tutta la mia visione, ho operato nel massimo dell'egoriferimento (ride, NDA)! È un modo, anche, per essere coerente con tutto quello che è stato il mio percorso. 

 

Come sei arrivato alla versione definitiva dei brani? Ci sono stati prima dei provini che in seguito hai rifinito in studio? 

No, niente di tutto questo: ho buttato dentro un sacco di roba, suonata in tanti stili differenti: di solito partivo con una drum machine, poi scrivevo una parte di Synth... il basso è stato fondamentale, soprattutto in “Prometeo”, dove ci sono tutta una serie di riff che si legano all'armonia principale, è stato molto divertente da scrivere. Poi ho fatto un grosso lavoro di campionamento: andavo nei negozi e scovavo vinili sconosciuti a un euro, roba che nessuno voleva, è stato un modo interessante per nobilitare l’abbandono (ride, NDA). Me ne portavo via anche 10-15 per volta, me li ascoltavo e, quando trovavo qualcosa di interessante (perché tante cose, come immaginerai, non erano così interessanti) prendevo un campionatore che ho a casa, un modello vintage ma con funzionalità moderne, lo attaccavo al giradischi e via. In pratica, prendevo una parte e la distruggevo, facendola diventare tutt’altro. È stato un modus operandi peculiare, perché ha dato il via a tutto il resto ed è coerente con alcuni degli aspetti principali del disco: la sonorità scricchiolante, la batteria anni ‘70, il suono compresso, un po’ come farebbero i Flaming Lips... e poi c’è la balena con l’autotune... 

 

Cioè? 

Ad un certo punto ho trovato un vinile contenente suoni di varia provenienza, registrato con vecchi microfoni e tra questi c’era anche il verso della balena. Ho pensato di inserirla all'interno di “Prometeo” per raccontare la parte centrale, dove viene descritta la fase primordiale della storia della terra, che io ho sempre immaginato svolgersi tutta all'interno dell’acqua. Dopodiché ho inserito anche astronavi, elicotteri, aerei, perché la questione sottesa a tutto il brano è come si sia arrivati dal fuoco alla bomba atomica. Ho preso ispirazione anche dai Pink Floyd, che infarcivano i loro dischi con tantissimi suoni diversi. Mi è piaciuto costruire un piccolo mondo con tutti i mezzi che avevo a disposizione, assemblando tutto nei due studi che mi sono costruito: a Bologna, dove vivo tuttora, e a Villafrati, vicino a Palermo, dove sto quando vado a trovare la mia famiglia. 

 

Sei andato anche in uno studio vero e proprio? 

Qualcosina, ma molto poco, oramai le tecnologie permettono di avere buona qualità anche con mezzi casalinghi. La cosa che mi fa ridere, tornando alla balena, è che per intonare la sua voce alla mia, ho usato l'autotune. E questo accadeva proprio nei giorni della polemica che ha coinvolto Elio e altri, sull'uso di questo effetto; ci si è scaldati tanto e ci si scalda ancora, però per me è semplicemente uno strumento che permette di sfogare la propria creatività; e come tutti gli strumenti, dipende da come lo si usa. In definitiva, comunque, realizzare questo disco è stato appagante: mi ha fatto scoprire un sacco di nuova musica e mi ha anche migliorato tanto come musicista. 

 

“Ananke” è una parola che per i Greci indicava il Fato, il Destino: un principio universale, più che una divinità vera e propria. Perché questo titolo? 

Credo che una delle spinte più forti dell'animo umano sia la necessità (c’è anche il detto, no? “Fare di necessità virtù”) e il fatto che per i Greci questa necessità fosse ineluttabile, si collega benissimo coi personaggi che popolano il disco. Prometeo sembra destinato a quella fine, il suo fato spaventa Zeus ma lo stesso Zeus deve sottostare a quelle leggi. L'Ananke lega tutti i personaggi ad un filo da cui non possono liberarsi. Orfeo si volterà sempre, per esempio. Sono rimasti fermi, ripetono sempre la stessa dinamica, è un processo talmente forte che ho voluto sottolinearlo musicalmente, quando in “Orfeo” ripeto: “mi giro, ti vedo”. Mi sono chiesto: “Come posso renderlo musicalmente?” Ho quindi pensato di glitchare la canzone, di bloccarla; questo blocco poi diventa qualcos'altro ma rimane sempre una figura che si gira all’infinito. Si tratta di una sconfitta che però, in qualche modo, l'ha portato a fare tutta l’esperienza che ha fatto, a guadagnare una sorta di saggezza... trovo che sia anche una bella metafora del lavoro che dovrebbe fare ogni artista: sconfiggere la morte col proprio canto equivale ad un tentativo di superare i propri limiti, un qualcosa che oggi mi sembra si sia perso, gli artisti tendono infatti ad assecondare i limiti. 

 

È un mito che amo moltissimo e mi ha sempre colpito il finale: perché Orfeo si gira? Dopotutto Ade non gli aveva imposto una condizione così difficile, no? Per quanto potesse essere lunga la strada verso la superficie, avrebbe potuto resistere, non mi sembrava uno sforzo così sovrumano, eppure si gira e la perde. Allora credo che il punto sia proprio questo: i Greci hanno inventato questo mito per celebrare la musica, la poesia, talmente potenti da arrivare quasi a sconfiggere la morte. Però, appunto, c’è quel “quasi”: la morte è inesorabile, non si può sconfiggere... 

È proprio quello il punto. La morte non si sconfigge, ma l'arte dovrebbe quantomeno provarci! Perché è forse l’unica arma che abbiamo a nostra disposizione. La morte, secondo me, la si sconfigge nel momento in cui si riesce a dimenticarla. Che cosa c’è di meglio di una bella musica, di una canzone scritta così bene che ti fa scordare della morte? L'arte questo lo può fare: nel momento in cui riesca ad offrire dei momenti di dimenticanza, la morte non esisterà più. È questo, secondo me, il significato del mito di Orfeo, e lo trovo meraviglioso. Io personalmente cerco sempre di nutrirmi di arte ma guardandomi in giro vedo che non è più la priorità... 

 

Era quello che dicevi anche prima, puoi approfondirlo? 

Si sta perdendo l'attitudine a creare un'opera d'arte, è tutto molto parcellizzato, ci sono  i generi, i sottogeneri, le piattaforme, l'omologazione. I produttori oggi guardano la top 10 di Spotify e si muovono di conseguenza. Lo trovo svilente, piuttosto che iniziare a farlo anch’io, avrei smesso. Il mio futuro ha a che fare con una nicchia di pubblico, ho una visione dell'arte che ha bisogno di essere libera, non potrà mai arrivare al grande consumo ma va bene così, il mio ideale è che si crei un piccolo gruppo di affezionati che mi permetta di continuare a fare quello che faccio. 

 

Il semplice esserci, l'apparire, sembra contare molto di più della sostanza...

Bisogna abbandonare questa idea per cui la musica debba portare la fama. È un concetto che non ha più valore, online ormai siamo tutti famosi, abbiamo tutti la facoltà di farci sentire. Lo scopo dell’arte musicale dovrebbe essere la realizzazione di un percorso il più possibile contro corrente, bisogna sconfiggere la morte dell'arte con l'arte stessa. Spero che il pubblico attento continui ad avere voglia di aiutare i musicisti che fanno cose belle. È uno scambio continuo, altrimenti non ci si potrebbe permettere di scrivere dischi.

 

Tutto giusto, però ti butto lì una provocazione: nella storia, quasi tutti i grandi artisti hanno lavorato su commissione. Virgilio ha scritto l’Eneide perché gliel’ha chiesto Ottaviano Augusto, Michelangelo ha dipinto per Giulio II, Petrarca venne accusato dagli amici di opportunismo quando decise di mettersi al servizio dei Visconti... semplificando molto, il mito dell'artista libero e indipendente nonostante tutto, non nasce prima della seconda metà dell'Ottocento. Eppure, non è che prima non venissero prodotti capolavori... 

Ho capito dove vuoi arrivare, continua... 

 

Ecco, te la butto lì: non è che forse, più che il contesto che è mutato, gli artisti di oggi mancano semplicemente di talento? Perché se uno ha talento, il capolavoro lo realizzerà sempre, che sia libero o sottoposto a qualcuno... 

Certo, è sicuramente così, è un fattore da considerare, non ho paura a dirlo. È però dovuto anche al numero degli artisti, al fatto che sia diventato molto più semplice produrre, al fatto che all'interno della musica oggi contino di più dinamiche che con essa nulla hanno a che vedere: i follower, il modo in cui comunichi e vendi la tua immagine. Siamo nell'epoca della narrazione che però, in realtà, è solo informazione pura e semplice. In questo modo la qualità ne risente: se il fine ultimo non è quello di fare buona musica, magari il talento uno ce l'ha anche, però non ha modo di emergere. E poi, magari ci fossero ancora i magnati! Spotify paga una miseria, e poi devi pubblicare in continuazione, non c’è più la possibilità di prendersi il proprio tempo, di fermarsi a pensare, di elaborare un’idea. È tutto troppo veloce e chiaramente questo va a discapito della creatività. 

 

Poi c’è da dire che i tempi sono senza dubbio diversi, c’è meno fermento... 

Certo, non è più l'epoca dei Beatles, in cui succedeva qualcosa di nuovo ogni giorno, in cui venivano inventati strumenti e accessori nuovi. Oggi la vera novità è l'Intelligenza Artificiale, che però non fa altro che riprodurre cose che sono già state fatte dagli esseri umani, crea canzoni che ricordano quelle in voga che esistono già, è come avere sempre un unico tormentone estivo. Sai, negli anni ‘60 ti svegliavi e poteva esserci uno strumento nuovo ad aspettarti! 

 

Dell'attualità di Orfeo abbiamo già parlato. Anche Narciso, tuttavia, mi pare rispecchi una caratteristica ben presente nella nostra società... 

Sì, noi umani del 21esimo secolo che ci specchiamo nei telefonini non siamo poi così diverso da Narciso, che cerca di trovare il proprio riflesso nell'acqua. Una volta annegato, Narciso prova a specchiarsi nell'Acheronte perché sente ancora questo bisogno, in continuazione. Mi piace pensare che probabilmente anche per noi sarà così: ci specchieremo in uno smartphone prima di andarcene. 

 

Il disco è organizzato come un'unica suite, coi brani che si fondono tra loro, e contiene anche molte più parti strumentali rispetto al passato.

Il trittico iniziale, “Prometeo”, “Orfeo”, “Narciso” è quello più “raccontato”, quello che segue più da vicino la forma canzone; in seguito tutto diventa più simile ad una suggestione. Questo perché non volevo essere didascalico: volevo fornire l'impronta iniziale e lasciare poi che l'ascoltatore si immaginasse il resto come meglio credeva. Il disco infatti vuole raccontare la mitologia attraverso la musica, non vuole spiegare il mito. Il focus è sempre la musica, poi all’interno di essa ci ho ricamato alcune considerazioni. Il modello è un po’ quello di Gluck: ha scritto Orfeo ed Euridice ma all'interno del linguaggio della musica classica. È poi è anche un disco Pop, a suo modo: in “Motel Olimpo”, ad esempio, ho provato ad omaggiare Battiato, armonizzando come faceva lui.

 

Senza nulla togliere al valore del resto, le prime tre canzoni hanno una certa potenza, una certa forza comunicativa... 

Raccontano i miti che per me erano più importanti, più rappresentativi: “Prometeo” parla della tecnica, che è la capacità di creare strutture grazie al pensiero complesso. Però questa caratteristica così peculiare ci porta su sentieri pericolosi: il fuoco e la bomba atomica, quell’immagine in cui mi soffermo nella canzone, sono più o meno la stessa cosa. Ed è un discorso che in questo periodo soprattutto suona particolarmente attuale. Di “Orfeo” abbiamo parlato, mentre “Narciso” rappresenta molto della modalità con cui affrontiamo l’esistenza. Nella seconda parte, invece, ho voluto prendermi la libertà di dedicarmi totalmente alla musica. 

 

Adesso suonerai dal vivo, immagino.

Sai, mentre scrivevo, pensavo che questo sarebbe stato un disco che non avrei mai portato sul palco. Invece adesso mi è venuta voglia, mi immagino un live in cui i pezzi avranno code più lunghe, ad esempio “Prometeo” vorrei farla durare almeno 15 minuti... 

 

Fantastico! 

Sarà da preparare, ci vorrà parecchio lavoro, penso che se ne parlerà per questo autunno. Quest’estate invece farò alcune date da solo: racconterò il disco, ne suonerò i pezzi ma farò anche le vecchie canzoni. In autunno, invece, sarò in giro con la band e suoneremo l'album per intero. 

 

In effetti è un disco che si presta ad essere suonato tutto di fila. Me lo immagino così: un primo set col disco ed un secondo con una selezione del vecchio materiale. 

Penso che faremo così, in effetti. Speriamo che la gente lo recepisca, perché non è un disco semplice. È stato difficile arrivare alla pubblicazione, all’inizio quelli dell'etichetta erano un po’ scettici, normalmente quando la gente sente che non ci sono ritornelli e che c’è un pezzo da otto minuti, ti danno del pazzo. Invece sono riuscito a farlo uscire come volevo io ed è una bella sensazione: un po’ come Prometeo che si libera dal monte, senza più l'aquila che gli mangia il fegato (ride, NDA). 

 

Che poi, a guardarla bene, non è la prima volta che ti prendi dei rischi sperimentando... 

Su Bellissima noia il pezzo conclusivo, “M.I.A.”, è una traccia da dieci minuti che anticipava in un certo modo tutto il discorso sull'intelligenza artificiale. Avevo preso spunto da Philip Dick, uno scrittore che amo moltissimo, e avevo inventato la storia di un computer che pensa come un essere umano e che alla fine rimane l’unico essere vivente, un contenitore dell’umanità stessa. E poi i riferimenti classici, all’interno della mia discografia, ci sono sempre stati: Cassandra, Medusa, Penelope, un brano tra l'altro che avevo scritto con Dimartino (“Penelope, spara!”, NDA). In questo caso ho cristallizzato delle suggestioni che avevo da tempo e che avevano semplicemente bisogno di trovare la giusta maturità.