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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/05/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Silvia Adelaide (Mama Bros)
Questa è la storia di una ragazza tenace, nata con una forte passione per il blues, il soul, e che in carriera non ha mai fermato la sua conoscenza, la sua curiosità, spaziando, nei lavori realizzati, tra vari generi, tutto per amore della musica. La musica, infatti, è un dono incommensurabile, ma pure un giardino che va coltivato, innaffiato, curato e rinnovato e mai come oggi un artista deve aggiornarsi ed esserci per preservare il proprio lavoro e la propria memoria per il presente e il futuro. Silvia Adelaide si è sempre rispecchiata in questa filosofia, e poi è intervenuto anche il destino. L’incontro con i Mama Bros, due geniali fratelli virtuosi del proprio strumento, è determinante, e permette, in seguito, di prendere una direzione precisa, tornando alle sue radici e rielaborando tutte le esperienze vissute.

Sivia Adelaide, innanzitutto, possiede una bellissima voce, fiore all’occhiello per un’artista con notevoli doti compositive e interpretative, che le hanno ampliato gli orizzonti e fatto spiccare il volo anche come attrice di teatro. Inoltre non si è mai fermata, ha messo tutta se stessa, senza perdere una goccia di umiltà, con tanta dedizione e spirito di sacrificio per affinare le abilità canore, meritandosi la soddisfazione di aver partecipato a stimolanti progetti e svariato dal pop al rhythm and blues. Analizzando il suo percorso, possiamo definire cruciale il 2007, anno importante perché è l’inizio della collaborazione con il chitarrista Matteo e il batterista Mauro Masin, i Mama Bros.

Tale affascinante partnership ha in serbo per loro una serie di album in italiano e in inglese, anche se solo nel 2020 uscirà pubblicamente Traffic Islands, registrato nel 2017 al Teatro delle voci di Treviso, dove l’amore per il blues, mai dimenticato, palpita forte, filtrato con arrangiamenti e sonorità pop e soul. Il percorso prosegue nel 2021 con Sun on You, il disco della maturità, in cui la band, con un tocco di ironia e la voglia di divertirsi, riscopre tutte le influenze ricevute in carriera e le trasforma in qualcosa di personale, dando spazio al carisma e all’identità dei musicisti.

La title track è un esempio lampante: buon ritmo, refrain accattivante, produzione vintage e fa pure da spartiacque, stando a metà nella raccolta, tra una prima parte, più fantasiosa e vivace, e una seconda introspettiva, più acustica, molto pregna e concreta. Potendoci concedere due chiacchiere con Silvia risulta piacevole condividere con lei queste sensazioni e scoprire cosa significhi essere artisti emergenti oggi, nel momento della musica moderna in cui potrebbe giustappunto essere più facile avere un successo lampo che consolidarsi.

 

 

Partiamo proprio da Sun on You, il vostro ultimo progetto. La canzone che dà il titolo all’album è un pezzo che ti si appiccica addosso al primo ascolto ed è impossibile non canticchiare già dal secondo. Aveva (e ha) tutti crismi per essere l’oggetto radiofonico del momento, pur mantenendo una sua qualità; non è un brano “usa e getta”, e ha ricevuto migliaia di visualizzazioni su You Tube. State studiando altre strategie per renderlo sempre più conosciuto e condiviso o avete puntato sulla compattezza del disco, costruito con saggezza, senza filler e piacevolissimo da ascoltare nella sua interezza?

Innanzitutto grazie Alessandro per dare voce al nostro progetto e permetterci di raccontarci. L’intero album Sun on you è nato dalla possibilità che abbiamo avuto di registrare una live session allo Studio Fonjka di Cossato (BI). Come tutti, tra il 2020 e il 2021, non avevamo modo di incontrarci né di provare molto insieme, ma avevamo tanti pezzi nel cassetto e la voglia di fare un disco, che per noi è sempre il modo più bello per condividere le nostre idee e portarle nella stessa direzione. Sappiamo che l’arrangiamento del brano “Sun on You”, come dell’intero album, è distante dalle produzioni di oggi che tendono ad avere tanti strumenti all’interno, ma l’idea che avevamo era esattamente quella che abbiamo realizzato: poche elaborazioni e un’atmosfera che portasse l’ascoltatore ad essere lì con noi. Ci tengo a precisare che il lavoro di mixaggio e mastering fatto da Andrea DB Debernardi ha contribuito al sound dell’intero disco; è una parte del lavoro che riteniamo fondamentale per definirne l’identità. Speriamo questo e gli altri brani arrivino al pubblico con questa sonorità, perché ci rappresenta tantissimo. Non escludiamo comunque possano nascere altre versioni in futuro!

 

Se ti dico che ascoltando le vostre canzoni sento riflessi di Amy Winehouse, specialmente in “The New Generation” e “Where Is My Home”, e Antony and the Johnsons soprattutto nell’acustica “I Hold You”, poi odo Kate Bush, Janis Joplin ed Etta James nel pezzo più di derivazione blues, “I Ran Away”, ti ci ritrovi? Chi e quali sono le vostre ispirazioni per quest’ultima opera e le pubblicazioni precedenti?

Tutti gli artisti da te citati sono stati per me riferimenti importanti, hanno accompagnato gli ascolti soprattutto della mia adolescenza e in qualche modo sicuramente mi hanno influenzata nel tempo. In fase di scrittura e composizione però, tendo a non ascoltare musica, so che può sembrare strano ma è come se avessi bisogno di isolarmi. Lo stesso è stato per l’album Traffic Islands, durante il quale ho passato tantissimo tempo in sala prove con Matteo lavorando alle melodie e al mondo che volevamo creare attorno ai brani, cercando di realizzare qualcosa di originale e in qualche modo solo nostro.

 

Qual è, invece, dal tuo punto di vista, la canzone in assoluto a cui sei legata maggiormente nella tua carriera e perché?

Ci sono tante canzoni alle quali sono legata, ma quelle che sento più mie sono “My birthday” e “Traffic islands”. La prima perché è la mia parte più buia scritta su due note, e mi ha aiutato a togliermi un peso. La seconda, “Traffic islands”, è nata musicalmente da me e Matteo, poi ci abbiamo lavorato tutti insieme, con Mauro Masin, Mauro Adami e Fabio Pasa, ed è bellissimo quando le idee di cinque musicisti creano qualcosa di così bello e che rende tutti orgogliosi; e poi il testo è scritto dal mio amico Fabio Pasa, che in un periodo difficile mi ha regalato queste parole dalle quali è nata la melodia di “Traffic Islands”, tirando fuori il meglio di me e la forza che pensavo di non avere.

 

Dalle liriche traspare con chiarezza la tua sensibilità e la scelta di essere molto introspettiva, autobiografica. Non penso sia per niente facile mettersi così in gioco. Chi sono i tuoi riferimenti e come vedi ora, dopo averle scritte e pubblicate queste canzoni? Le senti ancora tue o il processo di scrittura le ha liberate e fanno par te del patrimonio di chi vi si identifica?

Sono sempre alla ricerca di qualcosa di importante da dire, che possa arrivare a tante persone e grazie alla musica condividere empatia, forza, rinascita, ma anche sentimenti come la solitudine. Nei testi cerco di inserire spesso un po’ di ironia, che non guasta mai. A volte racconto storie di altre persone, che mi colpiscono, utilizzo la musica e il teatro per dire cose che forse per carattere fatico ad esprimere. Spero le canzoni facciano anche solo compagnia a chi le ascolta; spesso ci sentiamo soli perché pensiamo di non essere capiti; la musica mi ha aiutato a sentirmi parte di un mondo che non credevo esistesse, come è importante trovare le persone giuste che ti valorizzano e credono in te. Per tutti questi motivi una volta pubblicate, per me le canzoni sono anche e soprattutto di chi le ascolta, come fossero un piccolo regalo per condividere bellezza e creatività.

 

Mi hai raccontato che una delle tue maggiori influenze è Muddy Waters: ammetto di essermi spesso sentito, da adolescente, negli anni ottanta, un “misfit”, il cosiddetto “pesce fuor d’acqua”, per queste mie “devianze”, per aver ricevuto il fascino del blues in un decennio felice e spensierato, carico sicuramente di bella musica , ma spesso caratterizzato da altrettanta musica di “plastica”.  Sono curioso, quindi, di capire come abbia vissuto questa infatuazione tu, molto più giovane, che sei andata a cercare questi maestri del secolo scorso in un’epoca tutt’altro che in evoluzione, che nella seconda decade del nuovo millennio ha svoltato ancor maggiormente con eccessivo trionfo di liquidità e fluidità, dove tutto dura poche ore, pochi giorni al massimo, parlando dei social più in voga…

Sappiamo come ci si sente Alessandro, il blues è reputato “vecchio” e spesso “noioso”. Quasi musica da “intenditori” o gente triste, quando per me è esattamente il contrario. Non ho ancora ascoltato una musica più diretta e vera, ed è un paradosso sia così distante dalle persone. Devo a Matteo e Mauro l’avvicinamento al blues. 

Veniamo tutti e tre da stili ed ascolti differenti. A me piaceva il rock/folk come Ani di Franco, Tori Amos, Alanis Morissette, ma anche pop con ritornelli orecchiabilissimi, Mauro ascoltava dal punk dei Blink182 al country di Johnny Cash, e Matteo era fissato con questo benedetto blues: Muddy Waters, Little Walter, Etta James, Howlin’ Wolf e tantissimi altri. Entrambi mi hanno portata ad ascoltare tanta musica che era distante da me e lavorando a melodie blues ho capito che la mia voce in quei momenti veniva trasportata da un’altra parte. Abbiamo quindi lavorato con questa sonorità, scoprendo colori e dinamiche della mia voce che mi hanno permesso di conoscermi meglio. Ho ancora tanta strada da fare e tante cose da scoprire, ma questo genere è stato l’inizio di tutto, e trovo sia saggio cominciare da qui, per scavare dentro le emozioni e come è successo a me, spero, scoprire che c’è un luogo che non vediamo ma che ci può far sentire a casa. 

Credo sia importante educare le persone all’ascolto di diversi generi, anche quelli più di nicchia, che possano arrivare più facilmente a tutti per aiutare a entrare in atmosfere bellissime che spesso ignoriamo.

 

 

Hai/avete calcato palcoscenici importanti anche all’estero, in particolare alcuni show a Londra hanno colto nel segno. Che differenza e che sensazione si provano fuori dalla propria nazione? Avverti diversità di cultura in generale? Secondo la tua esperienza la musica fa da collante, diminuisce la discriminazione e sensibilizza su tematiche importanti?

Assolutamente la musica fa da collante e unisce. In generale le discipline artistiche riescono a tirare fuori un lato delle persone che va oltre l’apparenza.

E’ stato stupendo suonare a Londra al “The Spice of life”, il nostro ultimo concerto prima della pandemia, un pub nel quartiere Soho durante il quale ci siamo divertiti tantissimo e le persone con noi. Non voglio generalizzare, perché spesso tutto il mondo è paese, ma in Italia facciamo sempre fatica a proporci con un repertorio inedito in un locale. La prima domanda solitamente è: “Che cover fate? Quanta gente portate?”. In generale sarebbe bello trovare più situazioni nelle quali esprimere musica nuova, senza doversi giustificare, anzi, l’originalità dovrebbe essere un punto a favore. 

 

Mi intriga molto la scelta di una vostra concezione minimale, voce, chitarra e batteria. E mi hai accennato di questa intuizione, aggiungere alla chitarra alcune corde particolari per trasformarla in basso all’evenienza. Puoi raccontarci bene questo interessante esperimento?

Matteo ha avuto l’idea di creare questa “chitarra/basso”, con due corde del basso che sostituiscono le ultime della chitarra, e... non mi è ancora chiaro come, ha iniziato a suonare questi due strumenti contemporaneamente. Abbiamo pensato potesse essere “comodo” per i live. Dopo un concerto con questo strumento abbiamo iniziato a scrivere il disco e ad arrangiarlo con la nuova arrivata chitarra/basso, batteria e voce. Essere in pochi e allo stesso tempo sentirsi completi è stata una rivelazione e ci è piaciuto tantissimo mantenere l’atmosfera un po’ scarna perché si avvicinava all’idea di naturalezza che avevamo in mente. Abbiamo puntato su pochi elementi, lavorando tantissimo sulle melodie della voce, che se sono belle stanno su con poco. 

 

 

Come si è consolidato il rapporto tra Silvia Adelaide e i Mama Bros nel tempo? Com'eravate prima di conoscervi e come siete adesso?

Non so spiegarti bene questa cosa perché tutto è avvenuto con molta naturalezza. Prima di incontrarci io da qualche anno prendevo lezioni di canto da Marino Bellinaso, insegnante di riferimento con il quale studio ancora oggi, e iniziavo ad approcciarmi al mondo discografico tramite esperienze importanti che ho avuto la fortuna di sperimentare da giovanissima. Vado subito al dunque dicendoti che, parlando di verità nel fare musica che ti piace e che ti fa sentire vivo, ho lasciato tutto quando ho conosciuto Mauro e Matteo che cercavano una cantante per la loro band. Abbiamo iniziato praticamente subito a fare musica nostra. Da quel momento abbiamo passato più tempo in sala prove che da qualsiasi altra parte. Scrivevamo sempre, registravamo album e canzoni di qualsiasi tipo, cercando la nostra identità. Siamo amici e questo credo faccia la differenza, discutiamo e ci confrontiamo per crescere e portare il meglio di noi nella musica.

 

So che state registrando un nuovo album. Puoi anticiparci l’orientamento? Cosa ti senti di promettere ai fan e per conquistarne di altri?

Il nuovo album sarà bellissimo! Stiamo lavorando ad arrangiamenti e melodie e sono gasatissima. Per avvicinarci ancora di più al pubblico speriamo di fare tantissimi live e cercheremo di lavorare a un sound che possa portare la nostra atmosfera e verità a più persone possibili.

 

 

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