In una sera stranamente mite, a Roma, dove l’inverno sembra aver dato una tregua e l’aria vibra di una sospensione quasi magica, il cielo trattiene il respiro e profuma di festa imminente; in quest’atmosfera sospesa pre-natalizia, il Monk si accende come una stanza illuminata per chi ha smarrito la strada, pronta ad accogliere il ritorno e il fremito di una musica che attende solo di esplodere.
Dutch Nazari, pseudonimo di Edoardo Nazari, entra in scena e il tempo si ferma: quello personale, quello politico, quello minuscolo delle frasi dette al volo e quello enorme delle notizie che scorrono senza peso. Tutto tiene insieme. Tutto suona. Per circa due ore l’artista veneto, assistito dalla sua band, mostra la sua cifra unica: emotiva, romantica, profondamente umana, e al tempo stesso ribelle e politica, vocazione costante nella sua carriera.
La scenografia è minimale. Una sala concerti buia, quasi neutra, il palco ritagliato da pochi giochi di luce che si alternano senza mai diventare protagonisti. Alle spalle, gigantesca e rossa, la scritta Dutch Nazari: un’insegna più che un fondale, un nome che incombe e insieme protegge, come se bastasse quello a tenere in piedi tutto.
Il tour Guarda le luci amore mio arriva a Roma come una lettera mai spedita, letta ad alta voce davanti a chi sa ascoltare. Dopo aver attraversato l’Italia da nord a sud, da costa a costa, lo storico locale romano si trasforma in uno spazio sospeso: un luogo in cui i volti si ritrovano, le mani si sfiorano, le voci cantano insieme, imperfette ma incandescenti. La serata è un sold out che pulsa, ogni posto occupato, ogni anima presente, pronta a lasciarsi attraversare dalla musica. Nessuna distanza, nessuna barriera: soltanto corpi che si muovono dentro parole leggere e affilate, delicate e feroci allo stesso tempo.
La scaletta scorre attraverso il nuovo disco senza cristallizzarlo in un oggetto da ammirare: Guarda le luci amore mio è il vero cuore pulsante della serata, il perno emotivo e politico attorno a cui tutto prende vita. Eppure Dutch non rinuncia a scavare nel passato, riportando alla luce piccole gemme e brani ormai radicati nella memoria collettiva: da "Amore povero" (2017) a "Ce lo chiede l’Europa" (2018), fino a "Cori da sdraio" (2022). Non c’è nostalgia, ma un filo sottile di continuità: le canzoni dialogano tra loro, capitoli di un discorso sempre in divenire, sempre urgente, sempre vivo.
Il concerto scorre come un racconto a più strati, senza ospiti né orpelli decorativi. Tutto si regge sulla parola, sul suono e su un legame diretto con il pubblico, che ascolta, risponde e si riconosce. Nel corso della serata Dutch ha interpretato anche le strofe dei featuring con Levante e Willie Peyote, intrecciando la propria voce con le collaborazioni artistiche e riportandole sul palco in una nuova, viva armonia.
Uno dei momenti più intensi e necessari arriva con "Aqaba", singolo del 2024 rimasto fuori da qualsiasi disco, fuori da ogni etichetta. Un brano nato dall’urgenza, dalla necessità di prendere posizione, di esprimere vicinanza e insieme denunciare la sofferenza del popolo palestinese, ancora oggi vittima di un genocidio. La sala si tinge dei colori delle bandiere rosse, nere, bianche e verdi, e ogni voce si fonde in un canto corale, potente e senza esitazioni. Qualcuno ha le guance rigate di lacrime, mentre le parole colpiscono come pugni nello stomaco:
Difficile restare umani
Dimmi cos’è normale
Dimmi cos’è l’umanità
La vedi anche tu crollare
Sbriciolarsi tra le mani
È un istante sospeso, fragile e feroce insieme, in cui il concerto smette di essere intrattenimento e diventa presa di coscienza, coro, gesto politico condiviso. Ogni cuore batte all’unisono, ogni silenzio tra le note pesa quanto la verità che incombe sulle nostre coscienze.
La chiusura del concerto è affidato a "Calma le onde" con cui Dutch riesce a trasforma la solitudine esistenziale in un abbraccio collettivo: ogni ascoltatore può sentirsi fragile, smarrito, eppure dentro il buio del Monk scopre che è possibile essere soli insieme, riconoscersi, respirare la stessa malinconia e trasformare l’isolamento in un momento di comunione autentica.
Poi cala il sole e calma le onde e mi vesto ed esco un po' fuori di me
E un po’ mi isolo e penso che non ci sia nessuno all’infuori di me
E a volte mi fisso un po’ troppo su
Cose anche stupide e vado un po' fuori di me
Ed ho pensieri che so solo io e che non devono uscire mai fuori
Non è un live che cerca l’effetto speciale. È uno spazio condiviso, un esercizio di attenzione. Dutch Nazari non alza la voce per farsi ascoltare: abbassa il rumore intorno, mostrando il lato umano, emotivo e romantico della sua arte, insieme all’anima ribelle e politica che da sempre la guida.
Al Monk, per una sera, le luci non servono a distrarre.
Servono a illuminare ciò che resta dentro, a rendere visibile l’invisibile.
A restare vivi.
A esistere.
Ma soprattutto, a resistere.

